52. Farrell

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Sono un imbecille. Non c'è altro da aggiungere. Non so cosa mi sia preso poco fa, ma continuo a rigirarmi irrequieto nel letto senza riuscire a chiudere occhio, senza saperne più il motivo.

Da una parte, infatti, ripenso al messaggio ricevuto da Andy mentre ero a tavola con Grace, che mi ha fatto cadere nel panico: lei sarà presente alla festa aziendale al fianco di Vanessa e di sua sorella Rory. D'altra parte, mi chiedo il motivo per cui abbia riversato tutto l'astio e il rancore represso sulla ragazza a cui credo di aver detto una delle cose più importanti che potessi. E poi quel bacio...

Devo essere sembrato uno stronzo ai suoi occhi, perché sono perfettamente consapevole che il mio atteggiamento ha distrutto tutte le fantasie che la sua testa probabilmente stava iniziando a partorire. Ma non posso rischiare. Non con lei, i cui occhi mi ricordano così tanto una sofferenza d'amore che ancora mi continua a corrodere dentro.

Potrei anche buttarmi ma se mi sbagliassi di nuovo? Se anche le intenzioni di lei fossero diverse dalle mie? D'altronde, l'incontro con quell'energumeno che si aggirava nel suo condominio una settimana fa me lo ha confermato. Io non la conosco. Non conosco il suo passato, il suo modo di innamorarsi e amare. Non so chi sia lui, chi sia stato nella sua vita e le abbia lasciato dei pezzi di sé, prendendosene altri. Non so nemmeno se una persona come me possa mai riuscirne a far parte.

In preda a tutti questi pensieri, mi alzo dal letto. Forse mi farò una tisana per calmarmi un po' o la cioccolata calda che nel pomeriggio ho rifiutato.

Facendo attenzione a non battere i piedi sugli infissi o ad urtare i mobili in giro, mi muovo nel buio senza problemi perché, in fondo, è casa mia e la conosco bene.

Poi mi prende un'idea folle: ripenso alla sera in cui ci siamo addormentati l'uno accanto all'altro davanti a quel noiosissimo film. Avrei forse dovuto guardarla con più attenzione per rasserenarmi al solo pensiero del viso angelico di lei.

Ho, però, bisogno di vederla, ora. Ora che i suoi occhi verdi, persi nel sonno, non possono minacciarmi di riportare alla luce un passato che non riesco a lasciare alle spalle in nessun modo.

Prestando attenzione ai souvenir, mi avvicino piano al divano, ma, prima di vederlo vuoto, un alito di vento gelido mi investe e noto le tende fluttuare nell'aria.

Mi precipito fuori, in preda ai pensieri più brutti, e la trovo affacciata alla ringhiera con le braccia conserte, ad osservare le luci di New York che illuminano questa notte senza luna né stelle.

<<Ehi>> la chiamo, e lei sobbalza dallo spavento, forse troppo presa dai suoi pensieri. <<Non riesci a dormire nemmeno tu?>>

Scuote la testa e torna a farsi rapire dallo skyline. Il cielo, su di noi, è completamente coperto. Nemmeno una stella.

Per me, in questo momento, lo spettacolo è altrove. Il suo volto è stanco ma bello e dolce come al solito. I suoi capelli si muovono ad ogni soffio leggeri ma il suo sguardo è pieno di preoccupazioni.

<<Mio padre, in realtà, si è suicidato, Farrell.>>

Quelle parole arrivano al mio petto come una coltellata inaspettata.

<<Dopo la separazione, io sono stata l'unica dei figli che ha deciso di restare con lui. Il che voleva dire meno soldi per sé, meno soldi per le cure e tanta tanta sofferenza>> sospira. <<Lui si è ucciso per me, Farrell>> continua e io sono immobile, cercando di elaborare quelle informazioni.

<<Si è buttato dal balcone la notte di Natale. Se n'è andato senza dirmi niente, voleva che pensassi che fosse colpa della malattia, e invece era solo colpa mia.>>

Mi aspetto che scoppi in lacrime ma l'espressione che ha è fredda e assente.

<<Grace...come potrebbe essere colpa tua?>>

<<Era travolto dai debiti, i litigi con mia madre erano aumentati anche perché lei sperava che tornassi a casa, perché lui non si poteva permettere di mantenermi. Non avrebbe potuto crescermi con il suo solo amore. Servivano anche i soldi, soldi che non aveva.>>

Ogni volta che si apre un po' di più, provo a rimettere insieme i pezzi sparsi della sua vita per tirarne fuori una storia, ma mi è molto complicato. Da subito ho capito che il suo legame con il padre fosse ciò che di più importante esistesse per lei, che con la madre e il resto della famiglia non andasse tanto d'accordo era cosa nota. Ma è la prima volta che parla di suicidio.

<<Quel giorno mi aveva portata a vedere l'accensione dell'albero al Rockefeller Center>> riprende. <<Mi disse che ogni anno ci saremmo ritrovati sotto quell'albero perché io ero stata per lui il regalo più bello che potesse desiderare>> ora la sua voce inizia a incrinarsi un po'. <<Ma non diedi peso a quelle parole, ero troppo piccola per farlo. Mi portò a pattinare con lui, mi insegnò quel giorno. Fece tutto come fosse l'ultima volta, ma io non sapevo che lo sarebbe stata.>> A quella frase mi stritolo con la mano il colletto del pigiama. <<Eravamo così felici insieme. Non pensavo avesse già programmato di abbandonarmi.>> Le sue gambe sembra si facciano molli improvvisamente, perché si tiene alla ringhiera con più forza, facendo leva sulle braccia, come se, da un momento all'altro, dovesse cadere a terra priva di sensi, così mi avvicino e le avvolgo un braccio intorno alla vita, di cui sembra non accorgersi.

<<Nemmeno per lui ero abbastanza. Non sono stata abbastanza per convincerlo che valesse la pena vivere per me.>>

Senza che aggiunga altro e prima che versi altre lacrime, la abbraccio da dietro le spalle con tutta la forza e il calore che ho. <<Non dire mai più una cosa del genere>> le ordino. <<Grace, cazzo, una cosa così terribile non la devi nemmeno più pensare.>>

La mia voce trema, così come le mie gambe davanti all'impassibilità che sta dimostrando. Dunque è questo il volto del dolore? Quello che condividiamo tutti? Un volto mascherato dall'indifferenza per nascondere la più grande sofferenza che ci uccide e travolge ogni giorno?

<<Tuo papà, da quello che mi hai raccontato, ti amava con tutto il suo cuore. Ma, se avesse continuato così, avrebbe finito per perderti, forse anche prima che fosse la malattia a portarlo via. Ha voluto darti tutto, assicurarsi che tu avessi tutto prima che se ne andasse. Ha voluto scegliere il giorno del suo ultimo saluto per non affidare tutto al caso, morendo con i rimpianti. E, se non ti convincerò di questo, ti dimostrerò che sei molto più che abbastanza. Per tutti quelli che ti stanno intorno, nella vita di cui entri, ma, soprattutto, per te stessa.>>

La accompagno nel mio letto aiutandola a camminare. Sembra così piccola e innocente in questo momento, nel suo stato di semicoscienza presonno.

Le apro le coperte, la aiuto a mettersi sotto e io mi limito a guardarla da sopra le lenzuola.

<<Grazie, Farrell>> sussurra, con gli occhi chiusi. Pensavo dormisse, così rimuovo subito la mano che le stava accarezzando una spalla. <<Stasera per me sei stato luce.>>

A Natale mi innamoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora