Capitolo 11

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David

Entro sbattendo la porta di casa e mi fiondo in camera senza salutare nessuno.
Da lontano sento Susan strillare: <<Ma sono modi!>> e mi trattengo dal risponderle male.

Mi infilo le cuffie e faccio partire l'mp3. La canzone dei Nirvana, Smells like a teen spirit, mi fa un effetto immediato, e mi calmo all'istante.

La porta si apre e fa capolino la testa castana di Susan. <<Tutto bene?>> mi chiede dolcemente.
Annuisco, piuttosto bruscamente, e lei si incupisce.
<<Quando ti va, scendi, noi siamo in salotto.>>

Sospiro. Non mi va di trattare male anche mia sorella. Solo che lei ogni tanto mi ricorda terribilmente Shirley, la mia Shirley, e io non riesco a sopportarlo.

Hanno gli stessi capelli e lo stesso sguardo profondo. Fortuna che almeno Susan ha gli occhi castani, altrimenti non riuscirei a togliermi dalla testa la mia gemella.

Scuoto la testa e provo a concentrarmi su altro: Shirley è un argomento proibito, non devo pensare a lei.

Gli occhi verdi e limpidi di mia sorella si trasformano negli occhi scuri più belli che abbia mai visto. Gli occhi di Sarah. E no, dannazione! Anche lei è un argomento proibito ormai.

Ha scelto ancora una volta Brown, e devo accettarlo.
Devo ammettere che ho sperato che in questi  giorni in cui si è presa una pausa di riflessione abbia capito che Brown non è la sua anima gemella, il suo vero amore.

Ma evidentemente la pensa diversamente, per avergli dato un'altra possibilità.

Brown non mi piace. Credo gli piaccia davvero Sarah, ma la guarda come un cacciatore guarda la sua presa. E non mi piace. Vuole solo portarsela a letto, soddisfare i suoi bisogni perversi. Scaccio il pensiero, infastidito. Possono fare quello che vogliono, non è affar mio.

Sarah ha scelto e non posso dire di esserne entusiasta, ma non può pretendere che le stia vicino come un amico fedele. No.

Per questo, quando quell'oca di Victoria Lauren mi si è avvicinata con bramosia ho colto l'opportunità al volo. Ho affogato la rabbia con lei ma alla fine non mi sono sentito meglio, anzi. Tutto il contrario. Lauren non è che una stupida troia che si accaparra i più bei ragazzi per poi portarseli a letto.
Ora che ha avuto anche me, ciò che voleva da sempre, può starmi alla larga. Non è lei che voglio.

Qualche ora dopo, dopo essermi spaccato i timpani a furia di ascoltare martellante musica rock, ho deciso di scendere dai miei fratelli in salotto.
Susan e Roy preparavano la cena, i gemelli giocavano alla play. Mi siedo accanto ad Abel e lui alza lo sguardo interrogativo. Scuoto la testa per evitare domande scomode e osservo la partita di PES alla play.

Più tardi Susan viene ad annunciarci la cena e tutti e tre la seguiamo in sala da pranzo, dove è già seduto a tavola Roy.
<<Tutto bene?>> mi chiede, non appena mi siedo accanto a lui.

Annuisco e comincio a mangiare con foga, ignorando gli sguardi di Susan.
<<Dave, che ti prende?>> mi sussurra dolcemente. Mi blocco con la forchetta a mezz'aria.
<<Nulla>> rispondo, scuotendo la testa. Lei mi accarezza una mano. <<A noi puoi dire tutto. Siamo tuoi fratelli>> insiste.
<<È per Shirley, Susan, mi manca come al solito. Ti ho detto, nulla di che>> mento. Non sto pensando a Shirley in quel momento. Il mio tormento fisso ha due occhi scuri come la pece. Il mio tormento si chiama Sarah. Ma questo non lo voglio dire a Susan.

<<La troveremo, Dave. Stanne certo>> mi rassicura Sean.
Tutti annuiscono e io mi rincuoro un po': dopotutto, anche loro soffrono per la nostra situazione. Shirley è nostra sorella, non solo mia.

<<Mamma ha chiamato?>> chiedo, ma me ne pento subito. Anche mia madre è un argomento proibito. La mia famiglia è un argomento proibito.

Susan scuote la testa, delusa. <<Nessun miglioramento>> sussurra.
Finisco di mangiare e un'idea si impossessa di me. Mi alzo da tavola e, davanti alle domande incredule dei miei fratelli, esco di casa senza dire una parola.

Monto sul motorino, la macchina serve a Roy per andare al lavoro più tardi, e mi dirigo verso la periferia di Londra.
La mia destinazione è una casa di cura, un ospedale psichiatrico per la precisione. Mia madre vive lì da anni ormai.

Non si è mai ripresa dallo shock del rapimento di Shirley, così papà decise di ricoverarla tempo fa. Credo non voglia più vivere, ha smesso di mangiare, di sperare. Non è mai stata una donna forte, purtroppo. E quando papà, qualche anno fa, è dovuto partire per l'America, è peggiorata.

Entro nella sua camera e la trovo stesa a letto con una flebo, ad accarezzare la coperta.
Appena mi vede i suoi occhi castani spenti brillano leggermente. <<Dave>> sussurra.
<<Mamma>> deglutisco, sedendomi accanto a lei.
Un mucchio di ossa, nulla più, penso rabbrividendo.

Parliamo del più e del meno, e io le racconto la mia vita a scuola. Le racconto anche di Sarah, e dei sentimenti che provo verso di lei. Non lo avevo mai detto a nessuno.
<<Credi in questo tuo amore>> mormora lei, accarezzandomi i capelli.
<<Lei non mi vuole.>> Il mio sussurro esce strozzato e lei sembra capire il mio tormento interiore.
<<Parla con i tuoi fratelli. Ti vogliono bene anche loro. Ti sapranno consigliare meglio di me su questa ragazza>> mi esorta mia madre e io le prometto che lo farò.

Recupererò il rapporto con i miei fratelli.

<<E poi abbi pazienza, figlio mio. Con le ragazze ci vuole tempo>> aggiunge con voce flebile.
<<Tu ne sai qualcosa?>> le chiedo, quasi scherzosamente.
Lei sorride appena, la mente che vaga al passato. <<Tuo padre ha aspettato anni prima che accettassi di uscire con lui>> mi rassicura, poi il suo sguardo si intristisce.
<<Papà tornerà dall'America presto, mamma>> le dico, accarezzandole una mano. E lo spero davvero. Voglio una famiglia normale.

Voglio essere felice, felice da far schifo. E lo sarò. Prima o poi avrò quello che la vita mi ha tolto.

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