PROLOGO

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<<Buongiorno piccolina>>, mi svegliò mio padre avvicinandosi alla persiana della mia camera per tirarla su. Mi stiracchiai pigramente e sbadigliai.

Quando mi alzai dal letto, camminai controvoglia in cucina, preparai una tazza di caffè e cercai di soffiarci sopra per evitare di scottarmi la bocca con il liquido bollente.

Era una giornata piovosa. Un sabato, più precisamente. Le gocce d’acqua picchiettavano contro il vetro della finestra e gli alberi danzavano cullati dall’aria che segnava l’inizio dell’autunno. La scuola era già iniziata da un mese, eppure a me sembrava che fosse passata un’eternità dalla festa di fine estate organizzata dalla mia migliore amica Angel, una ragazza dagli occhi azzurri, i capelli biondo cenere e la pelle pallida che evidenziava le sue labbra rosee.

Mi vestii pesantemente ed uscii a fare una passeggiata nel parco. Era notevole come quell’area fosse deserta quando il cielo piangeva.

Ero sola. Un colpo di vento gelido mi fece nascondere il viso nella sciarpa ed un brivido percorse la mia schiena. Mi sedetti su una panchina e mi misi ad ascoltare la musica, la mia fedele compagna da quando ero piccola.

Un lampo passò davanti al mio sguardo. Il mio ombrello giallo non era più in grado di proteggermi dalla pioggia: si era rotto a causa della vera e propria tempesta che si stava scatenando dinnanzi a me.

Cercai di correre ai ripari senza badare a dove stessi mettendo i piedi, finendo contro il petto di un ragazzo e caddi per terra .

Quando alzai lo sguardo per scusarmi, mi incantai a guardarlo. Era alto, capelli color cioccolato ed occhi color corteccia. Mi sorrise imbarazzato e mi porse la mano per aiutarmi a mettermi in piedi.

<<Scusa, non stavo facendo attenzione>>, parlai a disagio.

<<Tranquilla, anche io ero distratto>>, mi guardò intensamente negli occhi. <<Cameron, piacere>>, continuò.

Il telefono squillò. Era mio padre. Chiedendo nuovamente perdono a colui che avevo davanti, risposi. <<Jade, torna subito a casa. Non hai visto che tempo c’è? È pericoloso>>, mi ammonì e riattaccò la chiamata.

Posai il telefono in tasca e sistemai la ciocca di capelli che era finita distrattamente sul mio viso. <<Devo andare. Ci si vede in giro, magari>>, salutai il ragazzo.

Mi allontanai da quest’ultimo con passo spedito, lasciandolo da solo sotto la tempesta. <<Aspetta, non mi hai detto il tuo nome!>>, lo sentii dire ma fu troppo tardi: ormai la sua immagine mi pareva quasi inesistente a causa della lontananza tra i nostri corpi.

Ciò che non sapevo, era che quel ragazzo mi avrebbe scombussolato la vita.

Downfall || Cameron Dallas Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora