Capitolo 2: Pioggia

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Il mattino mi svegliai con la voce di mio padre che urlava a ripetizione il mio nome dalla cucina.

Diedi un'occhiata all'orologio: le 7 e quaranta.

Avevo dormito malissimo e mi ero svegliata davvero troppe volte durante la notte, tanto che sarei rimasta volentieri a letto per il resto della giornata. Alla fine, sconfitta dal senso del dovere, mi alzai. Alla prima ora c'era la professoressa Maccario. Corsi in bagno e mi vestii velocemente, poi afferrai la cartella e scesi di sotto. Mio padre se ne stava seduto al tavolo della cucina a leggere un giornale e bere caffè. Per colazione mi aveva preparato un piatto di frittelle e un bicchiere di succo d'arancia che aveva messo sul tavolo davanti al mio posto. Senza sedermi bevvi il succo tutto in un sorso e spiluccai un po' di frittella poi feci per correre via. – Ciao – urlai a mio padre.

– Nina! Aspetta non hai mangiato nulla, anche ieri sei corsa via senza fare colazione – disse raggiungendomi in salotto con il piatto di frittelle.

Avevo già la mano sulla maniglia della porta – Sono in ritardo, prenderò qualcosa ai distributori automatici. Scusa – e detto questo corsi via.

Un'arietta gelida mi accolse pizzicandomi il viso e le mani. Anche se era ancora settembre ormai il freddo iniziava a farsi sentire. Il cielo era colmo di nuvole grigie, probabilmente avrebbe piovuto. Controllai nella cartella mentre ancora correvo: avevo dimenticato l'ombrello. Pazienza, comunque non avevo tempo per tornare a prenderlo.

Arrivai senza fiato ma stranamente in anticipo di 5 minuti, la campanella non era ancora suonata. Mi fermai un attimo per prendere fiato davanti all'entrata. Due ragazzi stavano entrando in quel momento mano nella mano e mentre mi passavano davanti notai i loro fili. Non erano anime gemelle. Il filo che univa le loro mani era di un rosa molto chiaro, si sarebbero lasciati presto, era questione di giorni.

La campanella suonò e mi riportò fuori dai miei pensieri. Con una mezza imprecazione mi rimproverai per aver perso tempo imbambolata. Dovevo ancora salire tre piani e arrivare prima della professoressa, che tra tutti i soprannomi che le avevano appioppato esibiva anche quello di Miss Puntualità.

Corsi su per le scale sperando con tutte le mie forze di arrivare in tempo ma, svoltando l'angolo dietro al quale c'era il corridoio della mia classe, vidi la professoressa chiudersi la porta alle spalle proprio in quel momento. Se fossi entrata mi avrebbe dato un'altra nota, la quarta quel mese. Avrebbe fatto chiamato mio padre quasi sicuramente.

Decisi di optare per il piano B. Scesi di nuovo le scale fino al primo piano tenendomi lo stomaco e camminando molto lentamente con sguardo sofferente. Mi fermai davanti alla porta bianca dell'infermeria che tante volte mi aveva salvata. Bussai.

– Avanti – disse una voce dolce – Nina, che fai ancora qui?– chiese l'infermiera per niente sorpresa di vedermi. Era una donna molto bella, sulla trentina. Aveva una cascata di capelli ricci e biondi che le arrivavano alle spalle e le circondavano ribelli il volto piccolo e allungato. Era anche l'unica amica che mi era rimasta in quel dannatissimo posto.

– Scusa Livia ma sono arrivata in ritardo solo per un soffio, giuro. Fammi stare qui per la prima ora– chiesi quasi supplicante.

– Non dovresti rivolgerti a me con tanta confidenza – disse lei volta senza rimproverarmi veramente – Sono pur sempre una docente anche se non insegno nella tua classe. –

– Scusi ha ragione professoressa Reami – dissi cercando di rimanere seria.

– No hai ragione tu, Livia è meglio – cambiò idea lei ridendo.

– Allora posso restare? – chiesi divertita.

– Sì, ma sdraiati sul quel lettino e non svegliare il ragazzo che dorme lì. È quasi svenuto in classe – disse indicando una specie di tenda blu che separava le due lettighe presenti nella stanza – sei un po' pallida, sicura di stare bene?– mi chiese con sguardo preoccupato.

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