Capitolo 12: Oro

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Dal momento in cui avevo chiuso la porta della mia nuova stanza ero rimasta seduta nell'ingresso senza muovermi fissando dritto davanti a me, senza provare nulla, senza pensare a nulla. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Non avevo idea di ciò che avrei fatto da quel momento in poi ma non provavo più quell'inquietudine che pensavo mi sarebbe rimasta addosso per sempre. Riuscivo stranamente ad accettare l'idea che la mia vita era stata stravolta e resettata. Un salto nel buio come quello che avevo appena fatto avrebbe dovuto distruggermi. Forse ero molto più forte di quello che credevo o forse ero destinata a non provare più assolutamente nulla. Probabilmente la realtà era che non riuscivo davvero a rendermi conto della scelta che avevo preso in quell'ufficio.

D'un tratto, la consapevolezza, quella vera, mi diede un pugno in faccia: non avrei più rivisto mio padre e anche se mi fosse stato concesso questo lusso lui non mi avrebbe mai più riconosciuta. Immaginai i suoi bellissimi occhi, guardarmi confusi come si fa con una sconosciuta. Eccola, l'inquietudine accompagnata dalla paura e dalla tristezza. Mi colpirono forte. Che stupida ero stata a fingere di essere coraggiosa, che stupida ero stata a non salutarlo, che stupida ero stata a scegliere di lasciarlo pur per proteggerlo. Perché non mi ero nemmeno soffermata a pensare se potesse esserci un'altra soluzione? La testa riprese a pulsarmi dolorosamente, mi veniva da vomitare.

Decisi di impegnarmi per chiudere i pensieri su mio padre nella stanza in cui avevo rinchiuso quelli che riguardavano mia madre. In quello ero brava, allenata, potevo farcela. Era l'unico modo.

Dopo altri millenni dolorosi decisi di distrarmi guardandomi intorno. Il piccolo ingresso dove mi trovavo era colmo di scatoloni di cartone. Su ognuno di essi c'erano delle targhette bianche che riportavano il mio nome e gli oggetti che vi erano contenuti. Era tutto ciò che restava della mia vecchia vita. In un angolo era appoggiata la borsa da ginnastica che pensavo di aver perso al parco durante l'attacco di quel mostro che in quella gabbia di matti chiamavano Predone. Possibile che fosse stato solo quella mattina?

Una porta bianca alla mia sinistra conduceva a un piccolo bagnetto lilla, provvisto di doccia e moltissimi asciugamani. Dopo una prima occhiata, superai l'ingresso dirigendomi nella mia nuova camera: era un ampio quadrato dalle pareti bianche. Una grande finestra che affacciava sul giardino si apriva sulla parete di fronte alla porta. Era piuttosto particolare, una di quelle che si vedono nei vecchi film: bassa e provvista di una specie di davanzale interno foderato di cuscini che faceva da divanetto. Un letto di legno scuro, piuttosto grande, svettava al centro della stanza appoggiato alla parete sulla sinistra della porta. Una piccola scrivania e una sedia, entrambe dello stesso tipo di legno del letto, erano sistemate in un angolo all'estremo opposto della stanza. Alla destra della scrivania, una grande libreria già mezza piena copriva il resto della parete.

Recuperai il cellulare dalla borsa che lanciai sulla scrivania e mi stesi sul letto. In quella base supersegreta non c'era linea telefonica ma tanto non avrei comunque potuto chiamare nessuno. Mi infilai le cuffiette e misi un po' di musica. Presi un respiro profondo e mi rassegnai a quella nuova realtà.

***

Mi svegliai qualche ora più tardi in preda al mal di testa. Avevo la sensazione che quel dolore martellante non sarebbe mai più andato via. Nonostante la dormita non mi sentivo affatto riposata, non riuscivo a farmi spazio per non affogare nell'affollamento dei pensieri. Potevo elaborare pian piano solo piccole quantità di informazioni, come un computer troppo vecchio e lento.

Cercavo di sgarbugliare quella matassa complicata di elementi: iniziai ad analizzarli uno per uno ma mi resi subito conto che la mia scarsa concentrazione non si era soffermata molto sul "perché tu sei una Guardiana del Destino" che il signor Loi aveva pronunciato qualche ora prima ma era tornata indietro al giorno prima quando, chiusa nello sgabuzzino della scuola, avevo confessato tanti terribili segreti a suo figlio. Una domanda in particolare si faceva spazio nella mia mente, crudele si ripeteva all'infinito per torturarmi: ero stata di nuovo tradita?

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