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Non smetto di ripetermi che non è possibile e che deve essere uno scherzo: Noah che non passa un provino del genere? È assurdo. Il mistero si infittisce e sono pronta a scommettere che Sherlock Holmes troverebbe il mio caso degno della sua attenzione.

Passo l'intero pomeriggio concentrata sullo studio, cercando disperatamente una scusa per non pensare all'accaduto. Non so bene perché, ma per qualche motivo mi sento terribilmente coinvolta. Mi alzo di scatto e comincio a camminare avanti e indietro per tutta la stanza, picchiettando la matita contro le labbra.

«Mamma, è possibile che io esca questa sera?» le chiedo affacciandomi a metà rampa di scale. Ho intenzione di andare a trovare Noah: non mi rassegno all'idea di non poterlo aiutare. D'altronde lui lo ha fatto quando ne ho avuto bisogno e devo trovare un modo per contraccambiare, ora che le parti si sono misteriosamente invertite.

«Penso proprio di no, tesoro mio. Guarda che tempaccio fuori!» esclama puntando un dito contro la finestra del soggiorno imperlata di goccioline. «E poi dove dovresti andare di preciso?»

Guardo la matita con una gomma a forma di cuore incastonata nell'estremità superiore. «A guarire un cuore spezzato».

Ma la missione 'Salvare Noah' è necessariamente da rimandare.

***

La mattina seguente a svegliarmi è il rumore delle persiane che sbattono irrequiete contro la finestra. Il vento è aumentato e la pioggia ticchetta sul vetro producendo un suono bizzarro e non pare abbia intenzione di smettere.

Quella volta non aspetto nemmeno di incontrare Jenny: mi catapulto direttamente in palestra con la speranza di trovare Noah e di potergli parlare, senza interruzioni.

Per fortuna ho la meglio su qualunque imprevisto e, nonostante scivoli due volte e cada in una pozzanghera di acqua gelida, riesco ad arrivare alle porte della Tiptoes più o meno tutta intera. Afferro la bottiglietta d'acqua e mi siedo nel corridoio per riprendere fiato.

«Claire, che ti è successo?» esordisce George.

È impossibile non notare il mio aspetto disperato e la mia tuta completamente zuppa.

«Ah, non saprei. C'è la possibilità che, in un impeto di pura follia, abbia volontariamente deciso di versarmi il contenuto di questa bottiglia addosso...» comincio ironica «... oppure che FUORI SI STIA SCATENANDO L'INFERNO!»

«Tu dici? Considerato il soggetto opterei per la prima soluzione» ride incrociando le braccia.

«Molto simpatico». Allungo un braccio così che mi aiuti ad alzarmi. «Pensi di potermi dire dove si trova Noah?»

«Chi? Oh, il ballerino in calzamaglia...» lo guardo inviperita e subito si corregge. «Cioè di Contemporanea, naturalmente. Dovrebbe essere nella Hall of Shame».

«Come scusa?»

Dimmi che non esiste sul serio un'Aula della Vergogna!

George diventa rosso per l'ennesima imprevista gaffe. E si corregge di nuovo: «È uno stupido nomignolo che abbiamo dato all'Aula 17 dove, in genere, ballano quelli che... insomma...» Lo so che sta trovando un modo carino per dirmi che tutti i ragazzi fuori dalle squadre si mettono lì ad esalare gli ultimi respiri da professionisti ma, davvero? L'Aula della Vergogna?

«Sei stato davvero indispensabile, grazie». Lo guardo ancora incredula per la rivelazione ottenuta e, dopo aver sbagliato strada, mi avvio a cercare il mio amico.

«Ciao!» esclamo, forse esageratamente allegra. Vorrei solo alleggerire la tensione ma non riesco nemmeno ad attirare la sua attenzione. È da quel giorno che non ci parliamo, che mi tiene lontana.

Balla con meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora