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«Almeno un milione di volte» dice Noah rispondendo alla mia domanda "Hai mai visto Dirty Dancing?", «ma esercitarsi con i lift in acqua a dicembre mi sembra abbastanza problematico per quanto geniale, no?»

Inarco le sopracciglia: non fa una piega.

«Conosci un mare senz'acqua per caso?»

Lui riflette per qualche istante e mi coglie impreparata.

«Un posto in effetti ci sarebbe».

Una manciata di passi più tardi ci ritroviamo davanti ad una piscina di palline colorate.

Sì, quelle di plastica in cui nuotano i bambini dell'asilo. Proprio lei.

«Mi prendi in giro?» domando perplessa.

«Ti sembro il tipo?» Entra nella piscina e si posizione con le ginocchia leggermente piegate in avanti. «Va bene, tu lanciati. Il massimo che può accaderti è finire qui dentro».

«Sono di plastica, però, non di zucchero filato» dico incrociando le braccia.

Perché mi faccio tanti problemi?

«Ti assicuro che non ti farai male. Sopra le palline e sotto di te ci sono io: cadresti comunque sul morbido».

Sospiro profondamente perché è più strano di quanto si possa immaginare dover temere una cosa che hai fatto per tutta la vita. Ma va bene, facciamolo.

Prendo la rincorsa, poso le mani sulle sue spalle e salto con il risultato che eseguo il lift più brutto della mia vita. In quel momento realizzo per la prima volta perché gli struzzi nascondono la testa sotto la terra: l'imbarazzo li ucciderebbe, ecco perché! Non riesco ad aprire le gambe in spaccata, così che sono tutta storta e che a Noah non è possibile tenermi in posizione per più di un secondo. Ma lui non mi lascia. Come promesso cade per primo accogliendomi tra le sue braccia. Io sbuffo irritata.

«Ma perché? Mi sembra di essere una bambinetta di due anni!»

«Il contesto è quello giusto, effettivamente» dice ridendo. «Non ti preoccupare, riprova. Questa volta datti più spinta».

Prendo ancora più rincorsa della prima volta e facendo leva sulle sue spalle riesco a sollevarmi, ma solo per qualche millesimo di secondo, prima di rovinare nell'oceano colorato insieme a lui, di nuovo.

«Ok, c'eri quasi. Ma datti meno spinta».

Mi sembro mia madre: senza mezze misure.

Insomma, andiamo avanti così per due ore buone e alla fine del primo giorno ancora non riesco a saltare; o meglio, ci riesco ma non mi fido ancora abbastanza per rimanere nella posizione del lift per più di un momento.

Alla millesima volta che cado decido di rimanere sommersa dalle palline multicolore.

«Claire?» mi cerca Noah. Per qualche secondo rimango immobile e in silenzio; poi quando si avvicina abbastanza a me, lo afferro per un braccio e tiro, facendolo cadere in quell'arcobaleno di sfere.

Non possiamo fare a meno di ridere di gusto, prendendoci una pausa dallo stress psicologico a cui questo compito ci ha sottoposti.

«Ti farò volare, Claire. Te lo prometto» asserisce.

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