Capitolo 18 || Away from home

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Sento il mio smartphone vibrare nella tasca dei jeans, così lo recupero senza guardare chi è il mittente della chiamata.
«Pronto?» Rispondo appoggiando le spalle magre al muro rovinato dall'umidità del vecchio locale.
«Abigalla, stasera verrò verso le otto, odio aspettare.» La voce fastidiosa di Lorenzo riempie il mio orecchio destro, lasciandomi sorpresa.
«No, tu non hai capito proprio niente, io stasera non vado da nessuna parte.» Affermo con tono sicuro, poggiando la mia mano sinistra sul braccio destro.
«Sì, come no, ci vediamo alle otto.» Risponde sarcastico, chiudendo poi la fastidiosa chiamata.
«'Fanculo Lorenzo Ostuni.» Borbotto avviandomi verso la strada di casa.

«Aby, mi sono permessa di comprarti il vestito per il ballo di stasera, sai, è una grande soddisfazione per una mamma...» Mia madre mi richiama in salotto appena metto un piede a casa, con in mano un vestito nero con decorazioni in pizzo tra le mani.
«Non voglio crederci!» Esclamo fra me e me.
«Santo Gesù, cosa ti costa capire che io e te non dobbiamo avere nulla a che fare!? Perché è così difficile infilarlo in quella tua testa dura?!» Urlo ormai sempre le stesse parole da una settimana a questa parte.
«E in ogni caso non ci sarà nessun fottuto ballo!» Concludo gettando il costoso vestito sul pavimento.
«Abigail! Sono stanca di starti dietro, di cercare di farti ragionare, ho capito che è tutto inutile. Da oggi in poi, come dici tu, io e te non ci conosciamo. 'Fanculo l'essere madre, se devo avere te, preferisco smettere di esserlo!» Risponde sbraitando, lasciando cadere lungo la sua guancia accuratamente truccata una lacrima di delusione.
«Era così difficile?!» Chiedo retorica mantenendo il tono di voce alto.
«Sì, e lo è ancora Abigail!» Continua la discussione, lasciando finalmente scendere lacrime amare lungo il viso stanco e segnato da qualche piccola ruga.
«Sopporterai, dopotutto sarai felice adesso con lo zio, eh? Non sforzarti a piangere, so che non ti importa nulla.» Riporto a galla la causa della rovina del nostro prezioso rapporto.
«È stato solo un enorme errore! Sono umana anch'io, Abigail!» Urla più forte, iniziando a singhiozzare.
«"Sono umano anch'io", la scusa più ovvia al mondo! Andiamo, sappiamo entrambe che hai sempre avuto un debole per lui!» Ormai è diventata una gara a chi alza di più la voce.
«Amavo e amo tutt'ora Davide, non gli avrei mai fatto nulla di tutto ciò se non avessi avuto altra scelta!» Butta fuori in fine, lasciandosi cadere sul divano in pelle bianca del salotto.
«Quale scelta? Chi scopare per primo?!» Azzardo, pur sapendo che forse questa è un po' pesante.
«Abigail, perché sei cambiata così tanto? Non ti riconosco più!» Abbassa notevolmente il tono di voce, strofinando il volto tra le sue mani screpolate dal freddo.
«A mai più allora.» Concludo salendo le scale.
«Che significa!?» Si allarma la trentenne, seguendomi lungo le scale.
«Me ne vado.» Rispondo varcando la soglia della mia camera.
«Dove? Non hai nemmeno un riparo!»
Esclama osservando con occhi sgranati i miei movimenti repentini.
«Troverò un posto.» Affermo raggruppando più vestiti possibili e buttandoli dentro la mia valigia rossa.
«Non puoi restare qui finché non trovi un posto dove stare?» Propone disperata la donna dietro di me.
«Non ti tollero più, ho bisogno di andarmene.» Rispondo dura cercando di chiudere la cerniera della valigia.
Sbuffo sonoramente sedendomici sopra per far sbloccare la cerniera.
«Abigail, non sai neanche chiudere una valigia!» Cerca ancora di farmi cambiare idea, indicando i miei disperati tentativi.
«Dovrebbe essere compito tuo insegnarmi a farlo, no!? Evidentemente non sei servita neanche a questo!» Urlo verso di lei, scendendo poi dalla valigia una volta essere riuscita a chiuderla.
«Addio, Aurora, a mai più.» Affermo a un centimetro dal suo viso, tirando la valigia dietro di me.
«Sei sicura di volerlo fare? I soldi?» Continua imperterrita a cercare di fermarmi, ma ormai è deciso.
«Andrò a lavorare insieme a Melissa.» Rispondo aprendo la porta d'ingresso.
Mi volto verso di lei, guardandola negli occhi scuri pieni di lacrime di fallimento.
«Grazie per essere riuscita a non insegnarmi nulla di buono fin ora.» Pronuncio lentamente per poi voltarmi e varcare la soglia dell'ingresso.
«Ti voglio bene, Abigail!» Esclama tra le lacrime. Sospiro, iniziando a camminare verso il centro, alla ricerca di un posto dove stare.

****
«Pronto?»
Sono ormai le sette e trenta di sera ed io sono ferma su una panchina in legno rovinato dalla pioggia, ad osservare le macchine accavallarsi ai semafori, per poi suonare il clacson una volta scattato il verde.
«Ab, dove sei?» Alberico sembra avere il fiatone dall'altro capo della chiamata.
«Che t'importa?» Chiedo stanca, fissando una coppia baciarsi davanti a me, sotto le stelle e dinnanzi al bellissimo Duomo di Milano. Sarebbe un bel soggetto per una fotografia, peccato che io abbia ormai perso l'agilità con la macchina fotografica.
«Tua madre è disperata e io sono preoccupato per te...» Mormora mio cugino, sperando di cavare qualche informazione dalla mia bocca.
«Non preoccuparti, sto bene. Ti prego di stare tranquillo, so quello che faccio, so difendermi.» Cerco di tranquillizzarlo, adottando un tono di voce dolce.
«Non cercare di farmi calmare, non lo farò finché non sarai al sicuro, Ab.» Afferma duro. In sottofondo il rumore delle auto che scorrono veloci sull'asfalto.
«Ti prego Albe, credimi, ho bisogno di tranquillità...» Mormoro in tono disperato, alzandomi dalla panchina in legno e avviandomi sulla strada del locale di Melissa.
«Fa come vuoi, ma sappi che dovrai venire a scuola per gli esami, non puoi permetterti di farti bocciare adesso!» Esclama esausto. Il rumore di una porta che sbatte mi fa intuire che sia tornato a casa.
«Verrò, rilassati.» Sospiro, staccando poi la chiamata. Il mio smartphone prende a vibrare continuamene nella mia mano, segnando almeno dieci chiamate perse da un numero non salvato. Decido di ignorarle, conservando il cellulare nella tasca dei jeans. Continuo a camminare e passo davanti alla casa che fino a qualche ora fa era la mia. Mi fermo a osservarla, esaminandone l'eleganza nella semplicità delle sue mura bianche con qualche accenno d'oro. Sospiro e dopo qualche secondo riprendo a camminare. Il rimbombo di un clacson dietro di me mi fa sobbalzare. Mi volto e esamino l'auto rossa davanti ai miei occhi. La portiera si apre e ne scende l'unica persona che non avrei voluto vedere in quel momento.

Lunghezza capitolo: 1052 parole.

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora