Capitolo 27 || Dinner invitation

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Lascio che le lacrime scendano lungo le mie guance fredde mentre stringo le braccia intorno al collo di mio padre.
«Assolutamente sì, papà!» Esclamo al suo orecchio, crogiolandomi nel calore delle sue amorevoli braccia. Getto i numerosi pacchetti di sigarette consegnatami da lui nel cassonetto, strofinando le mani fra di loro una volta chiuso il coperchio in plastica verde.
«Promettimi che non toccherai più una sola sigaretta, né altro che ci si avvicini.» Propongo riportando le braccia lungo i fianchi formosi.
«Non sono nelle condizioni adatte per prometterti tali parole Abigail.» Risponde indicandosi.
«Per favore papà, fallo per me...» Batto le ciglia più volte, nel tentativo di assumere un'espressione più corrompente possibile.
«E va bene, lo prometto! Sei davvero impossibile Abigail...!» Si lamenta alzando gli occhi al cielo.
«Non voglio crederci, anche tu!» Esclamo alzando le braccia sconvolta.

***

«Eccoci qui!» Esclama mio padre aprendo la porta in noce scura che ci conduce all'ingresso del suo piccolo appartamento. Faccio un passo avanti, esaminando con lo sguardo l'interno del salotto di fronte a noi. Tutto è in ordine: il divano in pelle nera è coordinato alla poltrona posizionata accanto ad esso in modo che formino novanta gradi. Davanti un tavolino basso in legno bianco, con sopra un portacenere completamente pieno di sigarette terminate e schiacciate una sopra l'altra. La parete di fronte a noi è coperta interamente da una libreria bianca, piena di ritagli del passato e soprammobili senza apparente significato. Al centro di essa è posizionata la televisione abbastanza grande da coprire quasi la metà della parete. Al salotto confina la cucina moderna, dotata di tutto ciò che c'è in ogni cucina, solo con una montagna di piatti e bottiglie dentro il lavabo in attesa di essere lavati o buttati.
Anche sul tavolo quadrato da pranzo è poggiato un posa cenere usato, nelle stesse condizioni del primo. I colori della casa sono la scala dei grigi e non posso fare a meno di adorarla.
Il bagno è dello stesso stile del resto della casa, adornato da una cesta in plastica bianca straripante di vestiti sporchi e puzzolenti. L'unica stanza da letto presente nel piccolo appartamento è completa di letto a due piazze dalla spalliera grigia, scrivania in legno nero e sedia bianca, armadio bianco e comodini neri. Tenda grigia con dei fini rami di un tono più scuro che la attraversa. Mi lascia sedere sul comodo divano mentre va in cucina a prendermi un bicchiere d'acqua.
«Allora, parlami un po' del tuo amico... Ho visto come vi guardavate al locale...!» Intraprende l'argomento di cui più mi pesa parlare.
«Diciamo che non è il mio tipo, ecco.» Alzo le spalle iniziando a bere dal bicchiere in vetro che mi ha appena porto.
«Non mentire Abigail, non sei credibile!» Mi riprende con un sorriso furbo.
«Davvero papà, non siamo capaci a parlare per più di due secondi senza litigare...» Rispondo stringendomi nelle spalle.
«Anch'io e tua madre eravamo così: la insultavo, lei mi insultava, mi dichiaravo e mi ignorava. È stato faticoso conquistarla e lo è stato allo stesso modo -se non peggio- perderla...
Ricorda figliola: devi preoccuparti quando va tutto troppo bene, non quando si litiga ogni tre secondi.» Mi consiglia appoggiando la sua mano sulla mia spalla coperta ancora dal giubbotto di pelle. Annuisco flebilmente lisciando le pieghe formatasi sui miei jeans.
«Non fartelo scappare, secondo me è quello giusto per te Abigail.» Insiste ancora, al punto da farmi venire molti dubbi in mente. Il campanello suona non appena apro le labbra per risolverne almeno uno. Mio padre si alza scattante dal divano e raggiunge la porta bianca in pochi passi.
«Ciao Lorenzo, accomodati!» La voce rauca del trentenne mi fa alzare la guardia notevolmente. I battiti del mio cuore aumentano improvvisamente e le mani iniziano a sudare.
«Lei è mia figlia Abigail, lui è Lorenzo, il vicino.» Mio padre finge di non sapere nulla presentandoci come se nulla fosse. Mi strizza l'occhio scuro non appena il moro si volta nella mia direzione al sentire il mio nome. Non posso fare a meno di aprire la bocca alle parole di mio padre.
«Felice di conoscerti Abigail.» Finge Lorenzo baciandomi delicatamente il dorso della mano destra.
«Anch'io Lorenzo.» Gli sorrido forzatamente per l'assurdità della situazione: stiamo tutti fingendo nonostante siamo perfettamente a conoscenza della realtà.
«Lorenzo, hai qualcosa da dirmi?» Lo incoraggia l'uomo vedendolo perso tra i suoi pensieri.
«Eh? Oh... Mia madre avrebbe intenzione di invitarti a cena a casa nostra, ma aggiungere un posto non è un problema...» Mi lancia una frecciatina sapendo perfettamente quanto mi dia fastidio la sua presenza.
«Oh no, non voglio creare disturbo, posso stare sola, non è un problema!» Rifiuto subito sperando di potermi ritirare educatamente.
«Oh avanti Abigail, è solo una cena! Dì pure a tua madre che ci saremo, Lorenzo... E grazie per l'invito!»
«Si figuri signor Watson... Ci vediamo stasera allora!» Si congeda il moro uscendo poi di casa.
«Non voglio crederci.» Esordisco un secondo dopo sconvolta.
«È cotto Abigail!» Esulta mio padre come una ragazzina con gli ormoni alle stelle.
«Mi aveva promesso che sarebbe andato via dalla mia vita, ma evidentemente non è di parola.» Mi lamento sbuffando. Mi lascio cadere sul divano senza più voglia di fare qualsiasi cosa.
«Abigail, ti prego di una cosa: dai una possibilità a quel ragazzo, lo conosco da ormai un anno, so che è affidabile e che sarebbe perfetto per te... Promettimi che lo farai.» Allunga una mano verso di me guardandomi con sguardo supplichevole.
«Le promesse si fanno solo se si ha la certezza di poterle mantenere, papà.» Cito le sue stesse parole fissando la sua grande mano sospesa in aria.
«Sono assolutamente convinto che questa sera cambierai la tua idea.»

Lunghezza capitolo: 967 parole.

Spazio autrice:
Innanzitutto auguri di buona Pasqua (Non è ancora scattata la mezzanotte 😏)! Considerate che ho scritto questo capitolo ieri notte alle tre solo per riuscire a pubblicarlo oggi... Amatemi. Volevo farvi una domanda che fa parte della sezione "i problemi esistenziali di Federica": la storia continua a piacervi o avete qualcosa, qualsiasi cosa, da farmi notare? Ho bisogno di saperlo per avere la certezza di star facendo un lavoro soddisfacente o di merda insomma.
Ma Federica, perché ci fai questa domanda?
Ecco, ho notato che negli ultimi due capitoli il numero di voti è calato di molto e il disagio ha iniziato ad assalirmi...
Da precisare: non me ne può fregar di meno dei voti, visualizzazioni e quant'altro, ma lo prendo come un punto di riferimento per vedere che effetto ha la storia sui lettori, e vedere il numero calare non è di solito un buon segno, tutto qui.
Da precisare sulla precisazione (?): non fraintendetemi sul fatto che non me ne frega nulla delle stelline o degli occhietti, anzi, sono felicissima del successo che sta avendo questa storia e non faccio altro che ringraziarvi per questo! Solo che non sono il mio obiettivo, ecco, solo questo.

Adesso passiamo alla strafottutissima ottocentesima challenge in cui sono stata taggata (se vi annoiano, posso comprendervi, quindi siete autorizzati a schippare di brutto questa parte).
Ringrazio @Giulia0326 per avermi considerata.
Iniziamo:

1. Cerca su internet il tuo nickname. Qual è il primo risultato?

Il mio profilo Wattpad, il che è inquietante...

2. Il secondo?

La storia che ho scritto insieme a JustFanvij (ciao cetriolo famoso!) "The Island" (eliminata).

3. Ora vai su "immagini" e descrivi la prima.

Lo screen che ho di sfondo sul mio profilo (?).

4. La seconda.

La foto che avevo sul profilo Twitter.

5. Quante volte appare un'immagine che ha qualcosa in comune con il tuo profilo Wattpad?

Cinque.

6. Che immagini riconosci degli altri utenti?

Nessuna.

7. Ora tagga!

Taggo tutti (viva la fantasia!).

Ultimamente i miei spazi autrice sono più lunghi dei capitoli stessi... Fantastico.
Ci sentiamo presto!

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora