Capitolo 24 || How do I do without you?

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Arrivo più che in anticipo al magnifico duomo, popolato da numerosi piccioni che colorano la piazza di nero, bianco e marrone. Mi siedo su una delle tante panchine vuote, data l'ora, e lascio che l'ormai mio cucciolo si sdrai comodamente sulle mie gambe. Rimugino su ciò che è successo con mia madre e quasi quasi mi sento in colpa ad averla tratta in modo tanto superficiale ed ingrato, ma ripensando al suo sbaglio me ne pento. Mi manca pensare a mio padre, chiedermi come si trova lì, in America, se si è fatto una nuova famiglia e mi ha già buttata nel dimenticatoio o se mi pensa ancora qualche volta, come io faccio con lui. Ripercorro gli anni passati con lui, quel poco che mi ricordo. A sei anni mi regalò la mia prima macchina fotografica. Io non sapevo neanche cosa fosse e a cosa servisse, ma arrivata ai sette anni sapevo cosa potesse essere oggetto di una foto, come farla al meglio, la luce adatta e tutte le piccolezze per rendere una fotografia davvero gradevole da osservare. Mio padre si stupiva quando gliene portavo una, si chiedeva come una bambina di sette anni potesse scattare foto di così alta qualità, ma ciò che non si è mai risposto, è che è stato davvero un ottimo insegnante, talmente bravo da trasmettermi la sua passione. A otto anni qualcosa non andò con la mamma, litigavano spesso e io per non sentire le urla mi chiudevo fuori in giardino a scattare foto al tramonto, con l'ansia che il sole fosse così veloce da non permettermi di catturarlo. Dopo qualche settimana le cose degenerarono e papà se ne tornò in America dicendomi che lì c'è lavoro e tanti paesaggi a cui fare le foto. Mi promise che ci saremmo rivisti e mi avrebbe abbracciato così forte da farmi mancare l'aria. Sorrisi a quelle parole e gli consegnai la negativa del tramonto che avevo appena fotografato dicendogli di guardarla quando sarebbe arrivato in America, con la luce di un meraviglioso crepuscolo. Mi diede un bacio sulla fronte e chiuse la porta bianca dietro di sé. Il primo patrigno che ho avuto è arrivato nella nostra, ormai ristretta, famiglia un anno dopo, è stato a casa per circa un mese, poi si è stancato della mia mania per l'ordine. Ricordo di aver esagerato apposta, non lo sopportavo proprio quello lì. Mia madre non rimase poi così triste come avrebbe dovuto. Il secondo è stato quello che ho amato di più di tutti, forse più del mio padre biologico. Si chiama Francesco, si è comportato da vero marito, dava le giuste attenzioni sia a me che a mamma, sapeva distinguere il lavoro dalla famiglia. Andavamo spesso in montagna nei giorni festivi e mi aiutava a scegliere i paesaggi adatti per le mie fotografie. Ci azzeccava sempre e ancora oggi mi chiedo se avesse la mia stessa passione. È stato a casa nostra fino ai miei quindici anni, aveva detto di dover sbrigare una faccenda a lavoro, ma non è più tornato. Non nego di esserci rimasta davvero male, dopotutto mi ero affezionata tanto a lui. Il terzo e ultimo è stato Davide. La nostra relazione era costituita solo dai saluti più importanti e dai suoi rimproveri per il mio troppo studiare. Odiavo profondamente quando entrava nella mia stanzetta e iniziava a sbraitare quanto ero secchiona, spesso minacciava di prendere i miei libri e di bruciarli nel caminetto. Be', però non si meritava il tradimento, nessuno lo merita.

L'abbaiare di Jake interrompe bruscamente i miei pensieri.
«Ti ho port- ehi, perché piangi?» Lorenzo si posiziona davanti a me, portando accanto alle sue gambe snelle la mia valigia.
«Nulla che ti riguardi. Grazie per la valigia e grazie per avermi dato della troia.» Gli sorrido ironica afferrando il manico in plastica del mio bagaglio rosso.
«Senti, Ab-»
«Sì, ci sento, e non mi serve una tua risposta, ne ho avute fin troppe.» Gli volto le spalle e percorro una delle tante vie che compongono Milano.
«Ti prego Abigail, ascoltami.» Mi appoggia una mano sulla spalla bloccandomi.
«Si prega in chiesa.» Sbuffo guardandolo negli occhi, più chiari sotto la luce dei raggi solari.
«Gesù! Sei impossibile, davvero!» Si lamenta sbattendo le mani sulle sue cosce magre.
«E allora che fai ancora qui? Vai da Diletta, lei si che è possibile, forse perché te la da!» Urlo, stanca di sentirmi dire le solite cose.
«Cosa c'entra adesso?!» Chiede esasperato passandosi le mani sul viso caratterizzato da numerosi nei.
«Oh be', ciò che ti brucia non c'entra, mi sembra giusto...» Rispondo alzando gli occhi al cielo limpido.
«Possiamo avere una conversazione normale? Non chiedo tanto, solo due minuti.» M'implora con lo sguardo.
Sospiro annuendo.
«Io devo stare con Diletta. Non la amo né niente del genere. Sai come funziona con i fan, no? Hai una ragazza? La stalkerano, la minacciano, la insultano.
Insomma, lei è soltanto una copertura e i suoi genitori ne sono a conoscenza. Il problema è che Diletta non lo sa e non lo deve assolutamente sapere.» Sussurra guardandosi spesso intorno, ansioso che qualcuno possa sentirlo.
«Gran pezzo di stronzo! Ti sembra normale ciò che fai!? Illudere una ragazza così? E pretendi che io ti capisca? Ma per favore Lorenzo!»
«Fa parte del mio lavoro, non posso farci nulla!» Esclama allargando le braccia.
«Cambia lavoro piuttosto, perché mi fa veramente schifo... Fare video completamente stupidi e pagare dei genitori per offrirti un'ingenua ragazza che possa coprirti la fidanzata dal pubblico pieno di ormoni... Che merda è?!» Cerco di fargli capire la gravità delle azioni che sta commettendo.
«E poi, da ciò che ho capito, non ce l'hai neanche una fidanzata!» Concludo schifata.
«Ancora per poco, madamoissel.» Mi sorride furbo.
«Mi fai veramente schifo Lorenzo Ostuni.» Pronuncio con ribrezzo.
«Sai che ti dico? Me ne vado. Me ne vado da quest'Italia corrotta, dallo schifo che la circonda. Me ne vado per non tornare. Tanto non ho più nulla qui.»
«Parti? Per dove?» Inizia a preoccuparsi seriamente per me.
Non rispondo.
Lascio lo sguardo correre sui negozi che assistono a quest'assurda conversazione. Jake nel mentre torna dalla sua passeggiata.
«E io?» Mormora abbassando lo sguardo sulle sue solite scarpe blu. Quelle della scuola, quelle del locale.
«Tu? Tu cosa?» Chiedo non capendo.
«Come faccio senza di te?»

Lunghezza capitolo: 1052 parole.

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora