Capitolo 33 || End

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Solo silenzio riempito di sguardi tra i componenti del mio gruppo di amici.
Le parole di Lorenzo si ripetono nella mia mente e il pentimento mi fa contorcere lo stomaco. Non che io gli abbia fatto del male fisico, ma le parole, a volte, sono peggio dei pugni.
Lo sguardo di Kartika si abbassa sulle Converse rovinate prima di alzarsi nella mia direzione.
«È colpa tua.» Afferma senza timore, l'indice puntato al mio petto.
«Tu l'hai preso di mira, tu hai iniziato a giocare.» Continua le sue accuse avvicinandosi di qualche passo.
«Voi avete acconsentito, voi avete raggiunto la fine del gioco.» Il mio sguardo scorre tra i ragazzi che mi hanno accompagnata in questi cinque anni di scuola, nei cinque anni più importanti della mia adolescenza.
«Ci hai usati per completare il giochetto con Ostuni, per farti apparire la brava ragazza della situazione e fartelo cadere ai piedi. Puoi ammetterlo Abigail, tanto ormai, come hai detto tu, il gioco è finito.» Kartika prosegue con il suo vano tentativo di accusarmi di colpe che chiaramente non ho. I suoi occhi chiari mi squadrano dalla testa ai piedi e si avvicina ancora, fino ad arrivare ad un palmo dal mio naso.
«Cosa ne puoi sapere tu, che sei appena arrivata dal nulla?» Alzo un sopracciglio del tutto tranquilla.
«Sai, quelle come te, le riconosco al primo sguardo.» Risponde senza peli sulla lingua, mantenendo il mio sguardo con sfida.
«Si vede che non ti sei guardata per bene allo specchio, cara.» Un ghigno schiude le mie labbra, soddisfatta di averla zittita senza alcun problema.
Sistemo lo zaino vuoto sulla mia spalla destra e entro a scuola, senza curarmi di aspettare gli altri.Passare inosservati nel corridoio dopo la scenetta appena compiuta è un'utopia. Raggiungo la mia aula il più velocemente possibile, tenendo stretta la spallina dello zaino con una mano. Apro la porta e mormoro un flebile "buongiorno" alla professoressa di italiano. I suoi occhi verdi mi osservano sedermi al mio posto da sopra gli occhiali rettangolari appoggiati sul dorso del naso a punta.
Gli angoli della sua bocca adornata da un lucida labbra trasparente si alzano appena verso l'alto prima di tornare a firmare sul registro di classe.
«Gli esami sono vicini, ragazzi, a che punto siete con le tesine?» La professoressa posa la penna nera sulla superficie smaltata di bianco della sua cattedra. Il mio sguardo si abbassa sui numerosi disegni sulla superficie verdastra del banco, il mio polpastrello tocca ogni linea grigia di grafite, lasciando dietro di sé una sfumatura sbiadita che fa sparire l'armonia delle linee e cancella i piccoli disegni elementari. I miei compagni dicono di essere tutti a buon punto con la loro tesina, ma conoscendoli (e dai loro movimenti ansiosi) posso intuire che siano ancora agli inizi.
«Bene, allora se qualcuno vuole ripetere qualche argomento per esserne più sicuro, io sono disponibile. Avete bisogno di aiuto?» Il suo sguardo bonario passa su ogni alunno, in attesa che qualcuno risponda positivamente, cosa che però non accade.
«Se tutti siete così sicuri, allora darete un ottimo esame, ne sono sicura!» Esclama ironica alzandosi dalla sedia in legno e appoggiandosi sul lato a noi frontale della cattedra.
«Che ne pensate di parlare di un argomento a vostro piacere? Giusto per far passare l'ora più velocemente ed evitare di mettere altri due l'ultimo mese.» Una frecciatina arriva dritta al mio sguardo annoiato, facendomi alzare di riflesso gli occhi al soffitto bianco, in alcuni punti rigonfio a causa dell'umidità.
«Che ne dite di parlare di quanto siate stronzi voi professori?» Il mio compagno, clown di turno, interviene coraggioso, mentre io osservo le mie unghia annoiata. Uno sguardo insiste sulle mie spalle da quando sono entrata in classe e adesso sembra starmi corrodendo la pelle. Mi volto e gli occhi verdi di Federico si abbassano di riflesso sulla superficie graffiata del suo banco. Sospiro riportando i miei occhi castani sulla professoressa, che guardava la scena con occhi persi, forse le ha riportato alla mente alcuni ricordi.
«Che ne pensate dell'amore non corrisposto?» Quella domanda zittisce in pochissimo tempo tutte le voci che riempivano senza alcun limite la ristretta aula.
«Io penso più a come passare gli esami, prof...» Il clown della classe getta la sua ennesima "battuta della prima ora", ma stranamente non colpisce di striscio l'insegnante a qualche metro da me.
Attende una soluzione alla sua domanda, donando indifferenza alla parola di Luca. Due risatine stridule infondo alla classe sono la risposta per "l'asino", che appoggia la testa sulle braccia una volta aver capito che questa volta l'attenzione non l'avrebbe guadagnata.
«Io penso che sia il lato più brutto dell'amore, signora Bianchi.» Una voce timida e malinconica risponde alla domanda della professoressa.
«Sapete ragazzi, l'amore sembra facile: un bacio, due carezze, un "ti amo" per ogni messaggio. Ma questo non è amore, è moda. La moda che c'è fra i giovani, perché anch'io ci sono passata e anch'io credevo fosse così, ma no, "amore" è tutt'altro.» Uno sbuffo esce dalle mie labbra mentre incrocio le braccia al petto e appoggio la schiena alla sedia, pronta a sentire l'ennesima montagna di frasi poetiche sentite e risentite.
«Ma non vi dirò io cos'è. Tocca a voi scoprirlo. Sarete voi a decidere qual è il significato di "amore", una volta averlo vissuto realmente.» La Bianchi posa i suoi occhiali sulla cattedra poco stabile, mentre ripone i suoi oggetti nella borsa beige. La porta si apre con un tonfo e ne entrano quelli che ho considerato amici per cinque lunghi anni.
«Siamo nella merda, Abigail.» Leonardo occupa il suo solito posto accanto al mio.
«Perché?» Chiedo poco interessata, impegnata a osservare il cielo attraverso il vetro sporcato dalle goccioline di pioggia asciutta della finestra.
«Ostuni ha intenzione di parlare con la preside.» Si aggrappa al mio braccio, realmente preoccupato dalla situazione. Alzo un sopracciglio del tutto tranquilla.
«Uno: la preside non è un problema, almeno per me. Due: non parlerà mai. Tre: perché ti caghi così tanto?» Conto sulle mie dita i tre punti e alzo gli occhi al cielo una volta aver finito.
«Sicura? Perché sai, abbiamo una reputazione noi...» Mi fa notare ovvio, sistemandosi il ciuffo castano sul lato destro.
«Senti, io ne ho abbastanza di questa merda. Mi sono stancata di dipendere dalla parola degli altri, davvero, basta.»  Mi alzo dalla sedia e sussurro un flebile "vado in bagno" alla professoressa.
Il corridoio è occupato da un paio di studenti in ritardo che appena mi notano uscire dall'aula iniziano a parlare tra loro.
«Ti piacerebbe, eh?» L'amico si becca una gomitata maliziosa sul braccio che mugola per il dolore mentre si volta a guardarmi.
«Ho il dono dell'udito, purtroppo per voi.» Schernisco il ragazzino moro, che prima si vaneggiava e adesso si ritrova in difficoltà.
«Il mio amico ti trova attraente.» Risponde in spiegazione, sfruttando il compagno castano in stato di totale imbarazzo.
«E tu lo prendi per il culo? Bell'amico, fratello.» Do una pacca sulla spalla al ragazzino imbarazzato.
«Circondati di persone che ti aiutino, non che ti disprezzino.» Gli consiglio caldamente all'orecchio prima di dirigermi al bagno.
«Be', almeno ti ha parlato...» Conclude il moro allontanandosi.
«Vaffanculo, Stefano.» Risponde il castano entrando nella sua classe.

Lunghezza capitolo: 1200 parole.

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora