Capitolo 15 || Rancor

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«E così, BOOM, il tacco le si ruppe e cadde rovinosamente a terra. La scuola la prese per il culo per circa una mese, poi si fece spostare in un altro istituto.»
Alberico racconta la storia della ragazzina "strampalata" di qualche anno fa per la miliardesima volta, intrattenendo solo i due ragazzi alla fine del tavolo, che erano all'oscuro di questa buffa storia. Dopo quello scontro con Lorenzo la serata procede noiosamente, tra battute di Simone, risate di Leonardo e storie di Alberico. Sono ormai arrivata alla terza lattina di birra. Poggio il contenitore in alluminio sul tavolo, appoggiando la schiena alla spalliera in legno della sedia.
«Mi sto seccando.» Commento in un attimo di silenzio, attirando l'attenzione dei miei amici su di me.
«Dev'essere stata tutta la birra che hai bevuto, mettiti un po' d'acqua.» Esordisce Lorenzo, guadagnandosi un altro elogio da parte di Simone.
«Ahi! Questa brucia Ab!» Esclama Leonardo, sorridendo divertito sotto i baffi.
«Abigail, sei in svantaggio: due a uno per il signor Ostuni. Niente male eh.»
Si complimenta Simone con Lorenzo, che sorride soddisfatto del suo punto.
«Ti vedo un po' troppo sciupato, perché non mangi un po' di merda e ti stai zitto, mh? Contiene tante vitamine e aiuta lo stomaco.» Incrocio le braccia al petto, alzando un sopracciglio in direzione del moro, aspettando una sua risposta che, ovviamente, non arriva.
«Abigail si rialza più forte di prima e riguadagna terreno: due a due.» Simone alza le braccia al cielo, segnando con le dita i punti che abbiamo collezionato entrambi.
«Non sai contro chi ti sei messo, sfigatello. Se pensi che tutto ciò si ridurrà a questo giochetto di frasi scottanti, ti sbagli di grosso, non conosci Abigail Watson.» Lo minaccio incrociando le gambe sotto il tavolo, alla ricerca di una posizione più comoda possibile.
«Se pensi che io mi sottoponga a tutto ciò senza fiatare, ti sbagli di grosso, non conosci Lorenzo Ostuni. Non sarà una ragazzina poco educata a fermarmi.» Mi fissa tenace, con un luccichio di determinazione negli occhi castani.
«"Ragazzina poco educata" lo dici ad un'altra, non a me, chiaro?» Mi alzo, facendo stridere i piedi della sedia in legno contro le mattonelle rovinate del locale.
«Faccio ciò che pare e piace a me, non di certo ciò che mi dice una come te.» Si alza dalla sua sedia, tenendomi notevolmente testa.
«Ab, siediti per favore.» Alberico interviene, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Stai esagerando, Lorenzo. Non la passerai liscia, fidati.» Stringo gli occhi in una fessura, fissandolo truce per un secondo.
«Me ne vado, ne ho abbastanza. Volevo rilassarmi, ma evidentemente non è questo il posto giusto.» Metto il giubbotto e recupero la borsa, per poi dirigermi velocemente fuori dal locale. Lascio scontrare il mio viso con l'aria pungente di mezzanotte, cercando di liberare la mia mente brilla. Mi guardo intorno alla ricerca di un posto tranquillo.
«Abigail?» Qualcuno picchietta un dito sulla mia spalla, richiamando la mia attenzione. Mi volto verso la persona che mi ha chiamata, incontrando gli occhi chiari di Federico.
«Se vuoi prendermi per il culo, puoi anche tornare lì dentro.» Lo avviso indicando la porta del locale dietro di lui. Mi guarda timido, evidentemente insicuro su ciò che ha da dirmi.
«In realtà volevo solo parlarti.» Sospira portando una mano sulla nuca. Abbassa lo sguardo sulle sue scarpe grigie, sollevandone leggermente le punte.
«Dimmi allora.» Mi appoggio al muro freddo della facciata del vecchio locale, attendendo una sua risposta. Solleva lo sguardo dal terreno, portandolo sul mio viso, non osando però a incontrare il mio sguardo. Incamera l'ossigeno per riempire del tutto i suoi polmoni, per poi espirare e riportare l'attenzione a me. Come se stesse incamerando coraggio.
«Vorrei farti una proposta: che ne dici di venire al ballo con me?» Chiede mentre chiude gli occhi chiari, aspettandosi una cattiva reazione. Le mie labbra si schiudono, formando un sorriso ironico, ma non riesco a trattenerlo per più di qualche secondo che la mia risata risuona nel silenzio della piccola via scarsamente illuminata.
«Apprezzo il tuo sforzo, Federico, ma sono costretta a rifiutare.» Gli appoggio una mano sulla spalla, cercando di trattenere la mia risata derisoria, alimentata dalla mia mente poco lucida per via della quantità eccessiva di birra presente nel mio corpo. Il suo sguardo ricade al pavimento e le sue spalle si curvano, facendomi capire che ha afferrato il mio rifiuto.
«Non fa niente, sta tranquilla.» Risponde attorcigliando all'indice un filo penzolante dal suo maglione rosso in imbarazzo.
«Non c'è pericolo che io mi preoccupi, rilassati.» Scoppio a ridere piegandomi in due. Appoggio le mani sulla pancia trattenendola per lo sforzo. Alcune lacrime scendono dai miei occhi per le risate. Lo sento sospirare prima di andarsene.
«Watson, hai visto Federico?» Una voce che ho imparato ad odiare fa cessare immediatamente la mia risata involontaria.
«Se n'è appena andato.» Rispondo asciugandomi il viso dalle lacrime che lo avevano rigato.
«Ma come ti sei ridotta?» Mi chiede squadrandomi da capo a piedi.
Appoggia la schiena alla facciata dell'edificio, non staccando lo sguardo dai miei movimenti. Il rancore ritorna ad attanagliarmi lo stomaco in una morsa fastidiosa.
«Non è una cosa che di certo ti riguarda.» Affermo alzando lo sguardo verso il suo viso apparentemente angelico.
«Non pensare che me ne freghi qualcosa di come stia tu, voglio solo farti notare quanto tu ti senta forte e quanto in realtà tu cada in basso.»
Ribatte sicuro di sé, incrociando le braccia al petto magro.
«Ma chi diavolo sei tu per sottolineare i miei dannati errori? Va a cercare qualche troietta e distraiti dai miei diamine di cazzi!» Gli urlo contro con più voce possibile, fino a che la mia gola inizia a bruciare. La morsa si stringe intorno al mio busto, costringendomi a piegarmi in due e rigettare quel poco che si trovava nel mio stomaco sulle scarpe nuove del moro.
«Oh merda che schifo!» Urla schifato allontanandosi di qualche passo da me.
Il campanello segna l'uscita di qualcuno dalla porta del bar. Il signore che ne esce nota le mie condizioni, così mi porge un fazzoletto di stoffa. Gli rivolgo uno sguardo prima di afferrarlo e pulirmi il viso. Lo guardo allontanarsi con passo instabile, mentre qualcosa mi dice di averlo già visto. Probabilmente sarà solo uno dei tanti signori che visitano giornalmente questo locale.
«E adesso come faccio a levare questa merda dalle mie scarpe nuove!?» Si lamenta Lorenzo qualche passo più avanti.
«Abigail, che diamine sta succedendo?» Mio cugino interviene nella situazione soccorrendomi preoccupato. Appoggia una mano sulla mia spalla mentre mi guarda ansioso.
«Tranquillo Albe, sono solo un po' brilla.» Lo rassicuro una volta essermi ripulita il viso dal trucco colato e dai resti della scena appena accaduta.
«Sei ubriaca marcia, non "solo un po' brilla"!» S'intromette mister "scarpe vomitose".
«Zitto se non vuoi ritrovarti anche la dannata faccia ricoperta di quella merda.» Lo minaccio indicando il vomito sulle sue scarpe, una volta blu.
«Ti accompagno a casa.» Si offre mio cugino appoggiando una mano sulla mia schiena.
«Ecco bravo, riporta la bimba a casuccia.» Mi provoca Lorenzo, evidentemente ostinato a voler ricevere un pugno in faccia.
«Sai una cosa? Mi hai già fracassato abbastanza le palle, non avvicinarti mai più a me e ai miei amici o saranno guai per te. Non vorrai mica che la scuola venga a sapere di cosa tratta il tuo ridicolo lavoro, vero?» Cerco di uscirmene da questa scomoda situazione creatami io stessa.
«Che fai, ti ritiri? Hai iniziato tu con questa merda, non puoi uscirtene con una minaccia.» Risponde a tono Il moro al mio tentativo di fuga. Porto le mani alla testa che inizia a pulsare, provocandomi un dolore lancinante.
«Sei ancora in tempo per uscire da questa merda.» Gli propongo un ultimatum prima di iniziare a giocare seriamente.
«Ci sono già troppo dentro per uscirne.» Afferma incrociando le braccia al petto. Lo sguardo fisso nei miei occhi scuri trasmette una sicurezza disarmante. Riporto le mani curate lungo i miei fianchi, cercando di mantenermi in equilibrio sui tacchi. Tutto intorno a me inizia a girare vorticosamente, procurandomi una confusione tale da costringermi a chiudere gli occhi castani.
«Ab, credo sia ora di tornare a casa.» Alberico appoggia le mani sui miei fianchi evitandomi una brutta caduta.
«Gira tutto.» Mormoro debolmente mentre chiudo gli occhi un'ultima volta prima di perdere completamente i sensi.

Lunghezza capitolo: 1401 parole.

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora