Capitolo 31 || Polaroid

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«Lo sa praticamente tutta la città, solamente tu non ne eri a conoscenza!» Risponde spazientito Leonardo dall'altra parte della chiamata.
«Grazie per l'aiuto Leo, sei fantastico come migliore amico!» Esclamo ironica alzandomi dalla sedia. Inizio a camminare nervosa per tutta la casa, osservando come le tonalità della pittura sui muri siano alternati tra bianco, nero e grigio.
«Prima vuoi che ti dica la verità, poi ti lamenti perché non è piacevole, insomma, cosa vuoi Abigail?» Chiede stufo il mio migliore amico. Riesco subito a percepire il suo nervosismo e qualcosa mi dice che è appena arrivato al limite.
«Io... Non lo so cosa voglio, ok!?» Esplodo e getto il telefono contro le mattonelle lucide del salotto. I numerosi "beep" provenienti dallo smartphone, adesso con lo schermo in mille pezzi, mi suggeriscono che il moro mi abbia staccato in faccia.
Sospiro cercando di calmarmi. Mi rannicchio sulle ginocchia, appoggiando la schiena incurvata contro il muro freddo quanto il suo colore grigio. Fisso il vuoto davanti a me, un vuoto riempito da rumorosi pensieri che s'intrecciano numerosi nella mia mente non lasciandomi scampo. Troppo rumore, troppa confusione. Appoggio le mani sulle mie orecchie in un disperato tentativo di far tacere tutto quel fracasso infernale, invano.  Inizio a pensare di esser diventata matta. Mi alzo da terra con uno scatto e tutto tace nuovamente.
Recupero il cellulare dal pavimento pentendomi del gesto affrettato che ho compiuto qualche minuto fa. Passo il polpastrello su una delle numerose righe che ora caratterizzano il display spento, decidendo cosa fare per distrarmi dal continuo pensare.
Magari la mia passione può aiutarmi.
Ripongo lo smartphone in tasca e, dopo aver preso la mia amata Polaroid, esco dalla porta principale. I miei occhi castani si spalancano di scatto nel vedere Lorenzo uscire di casa nel mio stesso momento. Cerco di rientrare il più velocemente possibile, sperando che per qualche assurdo motivo non mi abbia già vista.
«Abigail, vuoi una mano?» Si avvicina a me notandomi armeggiare con la serratura del portone.
«No... No! Sono appena riuscita a chiudere.» Mento piuttosto agitata rimanendo ferma a fissare il legno scuro della porta davanti a me.
«Sicura di stare bene? Sembri strana...» Indaga lui con fare amichevole.
«Quando ti farai gli affaracci tuoi?!» Sbotto infine voltandomi verso di lui.
«Scusa!» Indietreggia dispiaciuto. La sua espressione delusa mi fa immediatamente pentire della risposta inutilmente scontrosa. Sospiro afferrando il suo polso magro nella mia mano per impedirgli di andare via.
«Sto bene.» Rispondo alla sua domanda, fin troppo orgogliosa per scusarmi. Strattona la mia stretta poco forte, riuscendosi a liberare di essa in un solo movimento.
«Non sembrerebbe dal tuo viso...» Insiste stringendo le mani in due pugni lungo i fianchi ossuti. I suoi occhi scorrono lungo i tratti del mio viso, studiandone ogni minimo dettaglio.
Lo guardo per qualche secondo, calcolando se confidarmi o meno. I suoi occhi castani sembrano davvero preoccupati.
«Ho beccato mio padre mentre si faceva in salotto.» Rispondo velocemente abbassando lo sguardo sulle mie mani tremolanti.
Un braccio sottile avvolge la mia schiena e mi ritrovo con la fronte sul suo petto. Resto ferma tra le sue braccia con la voglia di piangere e lasciarmi andare, ma considerare il nostro rapporto di alti e bassi mi ferma.
L'appoggio sotto la mia fronte scompare insieme alle braccia dietro la mia schiena.
«Cos'hai lì?» Chiede curioso indicando la macchina fotografica nella mia mano.
«È una Polaroid.» Gliela mostro con un piccolo sorriso.
«Che figata! E sai fare anche le foto?» Chiede ancora, come un bambino di due anni che scopre un oggetto nuovo.
«Certo!» Rispondo ovvia alzando gli occhi al cielo coperto da nuvole grigie, quasi sul punto di piovere.
«Potresti insegnarmi a usarla?» Mi chiede con sguardo supplicante, avvicinandosi gradualmente al mio viso in un disperato tentativo di convincermi.
«D'accordo! Però non è mica una passeggiata!» Lo fermo prima che possa avvicinarsi troppo.
«Ma non è parte del tuo lavoro saper usare una fotocamera?» Chiedo dopo qualche secondo di silenzio, una volta aver ricordato la sua ridicola passione.
«Lo è, ma vorrei migliorare, sembri essere esperta in questo campo.» Risponde distratto, occupato a premere il pulsante del flash.
«Lorenzo, quello non è il tasto di accensione!» Lo riprendo ridendo.
Blocca all'istante i suoi movimenti mentre un rossore intenso inizia ad apparire sulle sue guance leggermente scavate.
«Fa' fare a me, intanto portami in un luogo in cui si possano fare foto paesaggistiche.» Prendo la macchina fotografica dalle sue mani ossute e lo spingo verso la strada, incoraggiandolo a guidarmi.

***

«Tutto chiaro?» Gli chiedo dopo la lunga lista di elementi da considerare per scattare una foto perfetta.
Aggrotto le sopracciglia dopo qualche secondo, stranita di non aver ricevuto ancora una sua risposta.
Alzo lo sguardo dalla Polaroid per posarlo sul moro fermo davanti a me.
«Ferma così, non ti muovere!» Scatta all'improvviso avvicinandosi a me.
Prende la macchina fotografica dalle mie mani con cautela e si allontana nuovamente di qualche passo.
Porto le braccia lungo i fianchi e lo guardo armeggiare con lo strumento nelle sue mani.
«Ecco fatto! Guarda me, così come sei.» Mi ordina guardando attraverso il mirino della fotocamera. Il suo indice si posiziona sul pulsante nero mentre io faccio ciò che mi ha precedentemente detto. Il suo labbro inferiore finisce tra i suoi denti bianchi nel preciso istante in cui il suo dito preme il tasto per scattare. Mi avvicino a lui per riuscire a vedere la foto su cui si è soffermato già da un po' di tempo.
«Vediamo un po' se sei stato attento...» Lo stuzzico sfilandogliela di mano con un gesto secco.
«L'inquadratura è ottima, la messa a fuoco altrettanto, la luce è perfetta nonostante il tempo non sia poi tanto favorevole... Direi che per essere la prima foto non è per niente male.» Gli do il mio giudizio con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Mia!» Esclama prendendomi la foto dalle mani e infilandola nella tasca dei suoi jeans larghi.
«Te la concedo solo per farti ricordare la tua prima lezione, allievo.» Affermo infine con tono superiore, spostando i lunghi capelli castani dalla spalla destra.

Lunghezza capitolo: 1015 parole.

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora