Capitolo 25 || No interest

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«Perché?» Chiedo soltanto, spostando lo sguardo nel suo, insicuro e spiazzato. 
«"Perché" cosa?» Ribatte alzando le spalle ossute.
«Perché torni dopo tutto quello che ti dico ogni santa volta che apro bocca?» Preciso esasperata. Porto le braccia al petto incrociandole.
«Perché sono innamorato di te, Abigail.» Risponde sicuro. Il suo sguardo è completamente perso nel mio. La confusione regna nella mia testa. La voglia di scappare da quella situazione è davvero alta. Faccio cadere le braccia lungo i fianchi pronunciati e lascio andare un sospiro dalle labbra.
Le sue dita ossute afferrano il mio mento e mi costringono a guardarlo negli occhi profondi.
«Dimmi che non provi nulla, neanche interesse e me ne vado, adesso.» Pronuncia lentamente, sicuro di ciò che dice. Trattengo il respiro per qualche secondo a quelle parole. Davvero voglio Lorenzo Ostuni fuori dalla mia folle vita?
«Non ne ho idea cazzo.» Rispondo insicura. Porto le mani fra i capelli castani e chiudo gli occhi. Pensieri su pensieri si affollano nella mia mente, non lasciandomi il tempo di respirare.
Troppe cose da realizzare, troppe cose da tenere in conto, troppe cose.
«Abigail, ti prego, ho bisogno di una risposta, della tua risposta.» Mi sprona delicatamente, afferrando le mie mani fredde nelle sue calde e accoglienti.
«No.» Sputo senza rifletterci poi più di tanto.
«"No" cosa?» Richiede, ansioso per una semplice sillaba. Sento le sue mani appiccicarsi alle mie per il sudore, le sue labbra rosee si seccano in un batter d'occhio, le spalle si tendono.
«Nessun interesse.» Mormoro semplicemente. Sento il suo respiro bloccarsi come se fosse stato colpito d'improvviso. Il suo tocco diviene freddo come il ghiaccio, finché non ne rimane solo la sensazione sulla mia pelle. Chiudo gli occhi abituandomi nuovamente al freddo intorno a me, fin dentro le ossa.
«Va bene allora, me ne andrò. Solo... Cerca di star bene.» Mi raccomanda teneramente, in evidente tentativo di trattenere le lacrime ben visibili nei suoi occhi marroni ora chiusi.
«Starò benissimo, Lorenzo, non preoccuparti per me. Piuttosto pensa alla tua carriera, che sembra occupare ogni singolo pezzo della tua vita.» Lo saluto con l'amaro in bocca e la sensazione di cadere da un momento all'altro sul terreno.
«Io starò male, ma va bene comunque.» Commenta con voce rauca tirando su con il naso.
«Il male fa parte di noi, è normale provarlo.» Gli sorrido un'ultima volta prima di prendere la valigia, Jake e andare verso casa.
«Ricorda che ti amo, Abigail

***

Arrivata davanti alla solita porta bianca, quella dal pomello in ottone, quella che mi ha divisa da mio padre, appoggio esitante un dito sul campanello. Mettere da parte l'orgoglio e suonare è il dubbio che impegna la mia mente in quest'istante. Nel giro di qualche secondo sento un suono acuto provenire da dentro e capisco di aver pressato il mio polpastrello su quel maledetto campanello. Abbasso lo sguardo sulle mie All Star in agitazione, mentre aspetto che mia madre mi venga ad aprire. Delle braccia circondano il mio collo d'improvviso e un calore familiare m'inonda, rimpiazzando il freddo che aveva preso piede sulla mia pelle.
«Vado da papà. Ho bisogno dei soldi che ho risparmiato finora.» L'allontano da me con un gesto brusco.
«Stai bene cara? Dove sei stata? Che occhiaie profonde! Papà? Quale papà?» Inizia con le sue fastidiose domande e mi pento all'istante di non essere entrata dalla finestra del salotto, come spesso facevo da piccola di notte, quando scattavo le foto alle stelle senza il consenso dei miei. La scanso con un leggera spallata, senza curarmi di rispondere ad una delle sue domande.
«Ab, non vorrai andare in America...» Intuisce seguendomi lungo le scale.
«Ottima intuizione.» Commento alzando il materasso del mio letto. Ne estraggo una piccola scatolina nera e risistemo tutto come prima. Do un'occhiata alle mensole con le diverse macchine fotografiche, indecisa su ciò che potrei fare.
«Abigail, ascoltami, l'America è dall'altra parte del mondo, non è mica dietro l'angolo!» Cerca invano di farmi cambiare idea.
«So che non studio, ma sono a conoscenza della posizione dell'America.» Commento acida. Mi alzo sulle punte in plastica delle Converse e afferro la vecchia Polaroid nera dalla mensola impolverata. Faccio velocemente mente locale, assicurandomi di non dover prendere nient'altro.
«E con la scuola?» Continua mia madre perseguitandomi sin fuori il portone d'ingresso.
«Tornerò per gli esami, ora per favore, lasciami andare.» Sospiro sistemando la scatolina e la macchina fotografica nella valigia.
«E questo?» Chiede indicando Jake, appoggiato comodamente sullo scalino in marmo davanti a noi.
«È un cane, non lo vedi?» Rispondo ovvia con un'alzata di spalle.
«Ci si vede.» La saluto semplicemente. Richiamo l'attenzione del cucciolo e afferro il manico della valigia.
«Hai davvero intenzione di tornare da tuo padre?» Richiede incerta, stringendosi dentro la giacca di pile rossa che tiene addosso.
«Qual è il tuo problema? Perché insisti tanto nel fermarmi?» Esplodo stufa, girandomi nella sua direzione.
«Sono solo preoccupata per mia figlia! Non ho il diritto di esserlo forse?» Mi urla contro in risposta. Non nego di essere sorpresa dalla sua reazione.
«Oh ce l'hai, ma non quello di fermarmi. Sono grande e vaccinata adesso!» Ribatto alzando la voce.
«Sei impossibile, come tuo padre!» Continua a dare spettacolo ai vicini, che incuriositi dalle grida, si affacciano per assistere al litigio.
«Oh perfetto! Qualcun altro vuole dirmi quanto sono impossibile?!» Mi rivolgo furiosa al "pubblico", che sentendosi in soggezione, rientra in casa a riprendere ciò che stava facendo.
«E non toccare papà, non si merita le tue parole.» L'ammonisco acida. Tiro il bagaglio dietro di me e mi dirigo verso la metropolitana insieme al mio nuovo compagno di vita.
«Tuo padre non è più in America, Abigail.» Mi fermo sui miei piedi all'udire quelle parole.
«Cosa?» Chiedo spiegazioni, confusa dalle nuove informazioni.
«Steve è qui, a Milano. È tornato qualche mese fa, ma non è nelle condizioni adatte per vederti.» Risponde pacata.
«E quando volevi dirmelo? Quando sarei arrivata dall'altra parte del mondo!?» Inizio di nuovo a urlarle in faccia, infuriata per la sua calma inadeguata.
«Non è bello dire alla propria figlia che suo padre, scomparso da anni, sia tornato in condizioni pietose.» Risponde mantenendo il tono rilassato, in modo da non far degenerare la conversazione.
«Quali "condizioni pietose"?» Chiedo impaziente battendo la punta in plastica delle mie scarpe ritmicamente contro il marmo dello scalino sotto di essa.
«Lui...» Viene bruscamente interrotta da una voce maschile roca, simile a quella dei fumatori accaniti.
«Sono io tuo padre.»

Lunghezza capitolo: 1059 parole.

Spazio autrice:
Ansia, suspense e tanto amore.
Allora, come va? È da tanto che non mi interesso a voi, piccole pizzette con i piedi, quindi boh, parlatemi un po'.
A scuola tutto bene? A casa? Su Wattpad? Avete tutti i calzini o solo uno per paio?
Bene (che il correttore mi corregge in "benedetto", a caso), avete iniziato il conto alla rovescia per le vacanze di Pasqua? Io sì, ho bisogno dei miei "giorni di gloria": solo una settimana, posso farcela.
In quanto alla storia, non credo di farla durare molto ancora, ma voglio solo ricordarvi che nel sondaggio avete risposto TUTTE "bad", quindi auto-uccidetevi (no, "suicidatevi" era troppo mainstream...) per il finale :)

Wo, Federica sta spoilerando un po' troppo. Meglio staccare va.
Buonanotte piccoli pasticcini colorati(?).

Dangerous Woman || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora