6. L'acqua è stupenda, se non fosse...

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Rhod


L'ultima volta che ero stato cacciato nel modo in cui ci aveva cacciato il re, era stato a quattordici anni. All'epoca, mia madre si era accorta di quanto potessi essere un pericolo pubblico per lei e per gli altri e aveva pazientemente atteso che raggiungessi un'età tale da potermi mantenere con le mie forze. A quel punto, mi aveva preparato le valige e le aveva gettate fuori dalla porta. "Va' a cercare la tua strada!" - L'aveva chiusa - "e non tornare!" - aveva aggiunto subito dopo, riaprendola di scatto prima di sbattermela nuovamente in faccia.

Così si era comportato il re: aveva fatto preparare ricambi di vestiti, provviste di cibo e tanti, tantissimi soldi, e li aveva caricati su quattro cavalli. Non avevo avuto neppure il tempo di aprire le palpebre che una folla inferocita di servitori mi aveva strappato dal letto, denudato e rivestito, ed infine il mio didietro era stato sbattuto sul regale prato fuori dal portone del palazzo. C'era solo una piccola differenza con mia madre: lui voleva che tornassimo.

Ma la domanda era: saremmo davvero riusciti a farlo?

La prospettiva di essermi cacciato in un grosso, gigantesco guaio era evidente. Solo che ormai era troppo tardi per tornare indietro.

Trattenni a stento un sospiro, mentre il passo ritmante dei cavalli mi faceva rimbalzare ad ogni centimetro di strada. Strinsi le briglie più forte, con una smorfia sul viso: non avevo alcuna intenzione di cadere e rimanere spiaccicato sotto ai loro orribili zoccoli. Alzai lo sguardo verso il cielo, striato da sprazzi rosa pallido. Il sole spuntava appena all'orizzonte, annunciando una splendente mattina di una giornata che già si preannunciava per nulla divertente.

Mentre superavamo le cinta murarie della città e le guardie appostate ci rivolgevano un freddo saluto, abbassai gli occhi sui miei accompagnatori. L'erborista mi galoppava accanto e fissava apatico l'orizzonte, mentre il suo lungo codino biondo oscillava ad ogni passo del cavallo.

Davanti a noi, il mercenario e il principe aprivano quell'insolita processione: il primo con un'espressione da imbecille tracotante, con i capelli corvini reduci da una specie di guerra millenaria; il secondo con un'aria completamente tranquilla e riposata. Nonostante tutto, Francis Levou lanciava continue occhiatine al mercenario, ed io sembravo l'unico ad accorgermene. Forse perché al biondo non pareva importare di meno, forse perché al moro si chiudevano le palpebre dal sonno. Di sicuro, non doveva aver avuto una gran bella serata. Forse era proprio quello il motivo delle attenzioni che gli rivolgeva il principe.

La sera prima, dopo che l'incendio era divampato nella grossa sala da banchetto del palazzo, il re aveva ordinato perentoriamente a tutti di concludere lì la festicciola e aveva fatto spegnere il fuoco ai servitori. Insomma, quell'allegra serata che avevano organizzato per guadagnare un briciolo di favore dagli dei, si era rivelata un vero disastro. Il che non era affatto di buon auspicio.

In ogni caso, la maggior parte dei commensali era filata nei propri appartamenti reali o aveva abbandonato il castello per dirigersi alle proprie dimore, eppure, quella sera l'unico a non ritornare nelle sue stanze era stato proprio il mercenario. Il re l'aveva chiamato per "parlare" faccia a faccia, solamente loro due.

Cosa si fossero detti? Mistero.

E adesso la curiosità aleggiava negli occhi del rosso, potevo vedergliela chiaramente mentre si tormentava e si chiedeva quali parole avesse rivolto il padre della sua promessa al belloccio dall'aria odiosa che gli galoppava accanto. Quanto a me, un pizzico d'interesse mi stuzzicava, ma non mi sarebbe mai venuto in mente anche solo di rivolgere la parola al mercenario. Quel tipo si era dimostrato l'esatto esempio di capace di combinaguai, ed io e loro non andavamo esattamente d'accordo.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora