22. Tragédie d'amour

546 28 47
                                    


Sei ore dopo



«Le senti vero, erbacoso?» sospirò Cyran Rouge raccogliendo la mano di André Sion dal fianco, proprio come se l'arto altrui fosse un fiore, con lo stesso trasporto, portandosi le nocche alle labbra per stampare un bacio su ognuna di esse. Mentre l'altro lo osservava al massimo della sua apatia. «Sono le campane dell'amore!»

«...» Il biondo si limitò a schiudere le labbra.

«Non hai il davanzale di una bella donna...» Iniziò ad elencare, fissandogli il petto. «Non hai quel culetto a forma di pesca del principino...» Abbassò lo sguardo, ruotando gli occhi come se potesse guardargli il didietro pur standogli di fronte, senza accennare a lasciargli la mano. «E sei anche malaticcio e tremendamente noioso!» esclamò, con una mano sul petto e un'espressione ammirata, come se non fossero che le qualità immancabili per il miglior amante di sempre. «Ma i miei occhi guardano solo te!»

«Mi stai facendo perdere tempo.» sibilò l'erborista, assottigliando lo sguardo verde. «Devo raggiungere il mio unico amore.»

«Sono IO il tuo amore! Ti amo!» A quel punto, gli afferrò il viso con entrambe le mani e si slanciò in un tentato bacio passionale che finì nell'istante in cui un grido risuonò nelle loro orecchie.

«CYRAN, NOOOOOO!!»

Ci fu un luccichio bluastro che crepitò nell'aria, un rumore simile ad uno schiaffo, poi l'infelice coppia si separò così violentemente che si schiantarono entrambi schiena contro i muri opposti. Rhod aveva le mani giunte, i palmi stretti fra loro e le dita che parevano fumare, per quanta pericolosa magia trattenesse a stento.

Marshall accorse velocemente dall'erborista, con un cipiglio preoccupato che non tradiva altre intenzioni. «Sion, stai bene? Riesci a vedere qualcosa?» André sollevò la testa con uno scatto inaspettato, animato da qualcosa che sentiva dentro. Qualcosa di forte.

«Sì, te. E sei la cosa più bella che abbia mai visto.» mormorò, accarezzando la guancia dell'uomo con un volto così espressivo che faceva impressione. Quasi gli si potesse leggere la gioia e un pizzico di follia negli occhi.

Ma Francis non sentii lo stesso sentimento: il mercenario si era schiantato contro un quadro appeso alla parete, il cui vetro rifletteva la sua principesca immagine fino a pochi minuti prima. Adesso, ne raccoglieva i pezzi stringendoli così forte da farsi sanguinare le mani. «Che avete fatto...» Tremò, sconvolto, cercando di ricomporre i vetri sparpagliati per terra. «Che avete fatto!» Pianse, afferrando i lembi della giacca del mercenario per scuoterlo. La tristezza si trasformò in furia. «Non ti rendi conto di quello che hai fatto, farabutto?!»

«TU! Stronzetto odioso!» ringhiò il mago, incredibilmente lo stesso balbettante ragazzino di sempre, con i pugni stretti che brillavano pericolosamente e lo sguardo puntato sul rossiccio. Uno sguardo folle e spiritato. «Stai lontano da Cyran...» minacciò, caricando una palla d'energia nella mano.«Lui è MIO!»

E dopo ci fu un'altra esplosione.


❧❧

André


«Moriranno tutti!» esclamò la voce concitata di uno spettatore, in un tono assolutamente impressionato, come se non vedesse l'ora di guardar scorrere un fiume di sangue, capace di donare il brio macabro ad uno spettacolo che, in tal caso, non avrebbe potuto annoiare nemmeno il cittadino più disattento. 

L'uomo al suo fianco però agitò lentamente una mano per aria, con il volto distorto dall'insoddisfazione, rispondendo in fretta con lo sguardo esperto di chi se ne intendeva o, avendo fatto da pubblico alle gare degli anni precedenti, di chi sapeva come funzionavano le cose.

«Probabilmente no, ma è difficile dirlo.» Si accarezzò la barba da gnomo affilando lo sguardo verso il punto d'interesse di tutti: il cuore dell'arena. «Roba insidiosa, la magia. Non si sa mai quando o come sarà il risultato.» parlò con un cipiglio corrucciato, come se il potere fosse una funzione corporea difficile da controllare. O forse solo perché era seccato che nessuno morisse in fretta, come sperava.

Non ero il mercenario e non potevo usare il fuoco tanto facilmente come faceva lui, ma ero sicuro che se fossi rimasto ad ascoltare tutto quello che urlavano gli spettatori per un altro minuto ancora, avrei dato fuoco agli spalti. Anche se la mia espressione faceva pensare che mi stessi annoiando a morte. Nel mio caso, il sangue serviva soltanto a riempirmi di paura. Afferrai gli occhialetti dal taschino e li inforcai sulla radice del naso, cercando di vedere al meglio la scena su cui tutti gli spettatori s'affacciavano, godendo di una visuale quasi perfetta, se non fosse stato per il primo degli ostacoli: il bosco artificiale.

Ma la gara non era iniziata, difatti mi era ancora possibile guardare Rhod: legato, bendato, forse impossibilitato a sentire cosa accadeva intorno a lui. O lontano da lui. Ci sarebbero state grida e tumulti, ed era anche possibile che le persone suggerissero – in modo corretto o errato – la locazione degli ostacoli. Ero sicuro che chiunque avesse organizzato la gara, avesse considerato tutti gli imprevisti del caso, o una buona parte; il che andava contro la mia speranza di supervisionarlo e proteggerlo da una gara potenzialmente mortale. Dovevo considerare la sua dipartita come qualcosa di futile, dal momento che la morte non sopraggiungeva davvero, nel suo caso?

La risposta era no. Non avrei permesso che morisse in nessun caso. Non volevo perdere più nessuno fra le poche persone che amavo... E lui era l'unico, ormai.

Mi permisi di distogliere l'attenzione dal castano un solo momento, per scrutare il Flatterio e restarne sinceramente impressionato: sentivo che c'era qualcosa di strano, in quella specie di monolito, perfino io che non avevo magia nel sangue. Quando ritornai alla gara, erano già tutti in fila, uno accanto all'altro, spalla a spalla, le gambe molleggianti e piccoli saltelli sul posto, per prepararsi a scattare al momento giusto. Io, invece, provai un particolare attimo di panico: probabilmente qualcuno più alto di lui mi copriva la visuale, perché lo persi fra i partecipanti.

La mia vista era abbastanza rovinata e il mio posto – piuttosto economico data la mancanza di denaro – abbastanza lontano da non permettermi di riuscire a vedere le facce bendate. Avrei voluto gridare a chi di comando di fermare il conto alla rovescia, ma i gong si susseguivano in fretta, finché il terzo non ne annunciò fatalmente l'inizio.

«VIA!»

Un lungo brivido mi percorse la spina dorsale, spingendomi a scattare in piedi, sporgendomi per poter vedere ancora di più. Ma non servì. Capii subito due cose. Due cose fondamentali e problematiche. Capii chi era Rhod. Capii chi c'era al suo fianco.

Quando tutti si lanciarono con uno scatto fulmineo in avanti, iniziando a correre, due figure incespicarono nell'attimo in cui quella più alta si prese il disturbo di fare lo sgambetto all'altra. Rhod cadde a terra e, con le mani dietro alla schiena, gli fu impossibile proteggersi in qualche modo. Anche se ero lontanissimo, immaginai di sentire un crack e un lampo di dolore alla tempia su cui era appena atterrato, mentre il colpevole aveva già iniziato la corsa con un maledetto sorriso sulle labbra. Quello lo vidi.

«BUUU! MASCALZONE!» iniziò ad urlare il principe, sventolando il suo biglietto non molto vincente con il rischio di farselo sfuggire fra le dita. Quanto al mercenario, giurai di averlo appena visto sospirare con aria cupa, fra una pausa e l'altra che si era concesso mentre la tizia accanto a lui civettava allegramente strizzandogli il bicipite destro.

A terra, la pozza di sangue iniziava pian piano ad allargarsi, mentre il maghetto non si muoveva di un millimetro. Sapevo di non avere alcuna fedeltà verso gli Dei perché quando ero piccolo non avevano mai ascoltato le mie preghiere, ma inevitabilmente mi ritrovai ad intrecciare le dita fra di loro, mani giunte, nocche premute in quello spazio fra naso e labbra, forte. E pregai, dopo tanto tempo. Pregai perché si rialzasse confermando che non era morto, che si sarebbe risvegliato, che mi avrebbe guardato e avremmo ricominciato a parlare ancora, come prima del rituale, prima di scambiarci i corpi, quando i nostri baci erano tremuli alla luce del fuoco d'accampamento.

Per una volta gli Dei mi ascoltarono.

Il suo viso scattò verso l'alto, come se si fosse appena ridestato, inalando un profondo respiro. Poi il corpo ruotò per tornare dritto e, con un guizzo delle ginocchia, si rimise in piedi. Finalmente, incominciò a correre.

«Avanti... Avanti.» strinsi le mani ancora più forte, tanto da farmi male con le mie stesse unghie. Rhod era parecchio indietro rispetto agli altri, eppure, al primo ostacolo in molti si erano fermati. Il boschetto era alto e fitto, irto di rami verdastri che rendevano impossibile agli spettatori sapere che razza di stranezze accadevano all'interno. Potevamo soltanto restare a fissare movimenti e scossoni innaturali fra le cime dei pini, ascoltando passivamente le urla che ne scaturivano.

Un numero minore di sfidanti emergeva dal folto, graffiati e feriti, stravolti, gli arti talvolta conficcati dai ramoscelli come spiedini; per di più spolverati da nuvole di piume grigiastre. Il bastardo che aveva fatto male al mio mago, invece, aveva superato il bosco con successo e un paio di graffi superficiali sulle braccia.

Ero innervosito e preoccupato all'idea che il moro dovesse infilarsi là dentro, senza che io potessi vedere nulla. Eppure, ricordavo come si era comportato con i briganti all'inizio del viaggio ed ero consapevole che non fosse uno sprovveduto, come in molti pensavano. Sapevo che ce l'avrebbe fatta, nonostante un filo di sangue secco gli fosse sceso sulla fronte, imbrattando un lato della benda. Anzi, ne ero sicuro: correva come se avesse i demoni alle calcagna, tanto che raggiunse il bosco in fretta.

Sparì dalla visuale per lasciarmi solo con me stesso e l'ansia che mi attanagliava lo stomaco, che mi faceva ruggire il cuore nelle orecchie. Sentivo in sottofondo le urla del pubblico, le lusinghe civettuole della ragazza al fianco del mercenario e i raffinati tentativi di tifare del principe senza sembrare uno sboccato popolano; ma tutti loro parevano lontani ed ovattati. L'unica cosa su cui mi concentravo erano le cime verdi che si muovevano in scossoni, frullare di piume, volteggiare di rami, in una serie di minuti che mi sembrarono ore ed ore infinite.

Poi, finalmente, una chioma color cioccolato spuntò dall'altra parte, con un dondolare vivace di treccine; piena di piume e che ancora si scuoteva, come nel tentativo di liberarsi da qualcosa. Rhod aveva una guancia profondamente graffiata e la bocca cosparsa di sangue. Pensai che si fosse ferito, invece capii subito che non si trattava di quello, quando chinò la testa e sputò qualcosa di piumato e sanguinante, che sembrava aver morso o dilaniato con i denti. Il principe strizzò le labbra in un moto di disgusto, mentre io esalai un impercettibile sospiro di sollievo.

Un sollievo che fu solo un fugace assaggio, velocemente cancellato dall'ostacolo che gli si parava davanti, incombendo affilato con l'aspetto di due enormi asce orizzontali che si aprivano a ventaglio dondolando ad intermittenza, scattando di lato i secondi necessari a creare un passaggio centrale, per poi richiudersi affettando l'aria quando il metallo s'incontrava stridendo.

Ero stato così concentrato sul mago che non mi ero reso conto di cosa succedeva agli altri partecipanti: le lame luccicavano di rosso e una pozza di sangue si era formata a terra, proprio in quel punto.

Francis corse a coprirsi gli occhi, esclamano un versetto inorridito, mentre il mercenario piegava la testa di lato come uno di quei cagnoloni stupidi che non capiscono quando è l'ora di stare a cuccia.

«Oh-oh, forza abracadabra.» Battè la mano sulle spalle della civetta al suo fianco. «Non avere paura bambolina, ti proteggo io.» Non colsi l'occhiataccia che il principe lanciò verso di lui, piccato, visto che i miei occhi appiccicati alla figura del ragazzo bendato, giù nell'arena. Era incredibile come Cyran Rouge riuscisse a ricavare dei profitti dalle sventure di Rhod, ma in quel momento non m'interessò minimamente.

Con la mente ero insieme a lui. Contavo ogni suo passo e sussultavo man mano che la distanza con l'ostacolo diminuiva. Il problema, però, era evidente: non si stava fermando. Continuava a correre imperterrito, senza far caso al fatto che due lame taglientissime aspettassero di tranciarlo in due come un vitello imbandito a corte. Non poteva nemmeno vederlo. L'intera gara era un'esibizione assurda di violenza: perché avevo concesso che partecipasse? Perché avevo detto di sì all'idea del principe?

Ero stato uno stupido incosciente. E avevo paura.

Strinsi un pugno, mordendomi le nocche sotto ai denti, lasciando nuovi segni in una mappatura di cicatrici, di storie e di brutti ricordi. E dentro di me sperai che si fermasse in tempo, anche se non lo stava facendo: un passo ancora, e ancora uno. Ancora uno. E poi... Mentre incombeva verso le asce, un altro partecipante lo superò, scattò davanti a lui e, senza notarlo nemmeno, rimase in trappola. O meglio, rimase... Spezzato. Il sangue schizzò sulla faccia del maghetto rendendogli la pelle maculata in chiazze bianco-rosse.

Il corpo mutilato giaceva a terra, il corpo che sarebbe stato di Rhod se quel partecipante non l'avesse superato proprio nel momento giusto. Il mio cuore fece una capriola, riconoscendo in me il vecchio e abituale sentore dell'angoscia. Per fortuna, quella morte cruenta era stato il segnale che serviva a Rhod per rendersi conto dell'ostacolo. Si fermò immediatamente, girando la testa di lato. Fui certo stesse controllando lo stridore delle asce, che gli avrebbero segnalato quando le lame s'incontravano al centro, in modo da calcolare il tempo giusto per passare. Aspettò qualche secondo, ripulendosi parzialmente gli schizzi di sangue strofinandosi una guancia sulla spalla. Poi, avvertito il momento giusto, ripartì a tutta birra.

Un altro sospiro di gioia per aver superato l'ostacolo tutto intero. Iniziai a capire che avrei rischiato di svenire ad ogni punto del percorso, così provai a prendere lunghi respiri per restare calmo. Non potevo permettermi di agitare troppo l'animo, con il mio fisico cagionevole. Purtroppo, la cosa non passò inosservata allo stupido mercenario, che colse l'occasione per infastidirmi.

«Che c'è, fioraio? Ti vedo sudare sin da qui!» Ed ecco l'occhiolino di derisione alla dama al suo fianco. Il principe, dagli squisiti modi cortesi, gli rifilò un ceffone da parte mia.

«Adesso basta. Un nostro amico sta rischiando la vita! Stai in silenzio e prega gli Dei con noi!» rimproverò, con le guance tutte rosse dall'indignazione, cosa che suscitò un risolino nell'altro, ed immediatamente dopo un'espressione infastidita accorgendosi che nessuno – nemmeno la stupida dama – stava ridendo con lui. La situazione era tremendamente seria e altrettanto drammatica.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora