28. Il dolce gusto dell'espiazione

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Cyran

«Caaazzo.»

Esalai il mio primo respiro dopo aver creduto di essere quasi schiattato. Era quel quasi che fregava sempre il destino: qualsiasi cataclisma mi coinvolgesse, alla fine non ci riusciva mai, a farmi fuori. Quando mi tirai a sedere, il letto cigolò piano sotto al mio peso.

Mi sentivo peggio dei miei post-sbornia fatti di birra stantia, prostitute con sfoghi in parti strane del corpo e musica fatta da bardi più alticci di me. Quelle erano ubriacature da testa che esplode e stomaco in subbuglio. Anche se, per fortuna, attualmente il mio stomaco stava piuttosto bene... Fin troppo.

Ricordai la sensazione della lama che mi trapassava la carne, che mi tranciava gli organi e lasciava una scia di sangue dietro di sé. «Cazzo.» Abbassai gli occhi, trovandomi mezzo nudo, il torace perfettamente scolpito e perfettamente integro, guarito.

«CAZZO!» All'improvviso ricordai ogni cosa. Prima il signore di Wicarema che ballava troppo vicino a Francis e poi il mio gozzovigliare con i cortigiani e il loro modo assolutamente lascivo di darmi il benvenuto. A me non importava niente di loro, comunque, ma mi sembrava un'ottima ripicca nei confronti del principino per avermi ignorato tutto il tempo. Ma avevo fatto male i miei calcoli.

Lo avevo lasciato solo e quel maledetto figlio di puttana... Se solo ripensavo alle sue mani addosso a Francis mi veniva voglia di far esplodere qualcosa. Calciai via le coperte e saltai giù dal letto. «Lo ammazzo, quel fottuto bastardo..!» ringhiai, con i pugni stretti, guardandomi intorno alla ricerca del mio spadone. Era giusto riprendere dove eravamo rimasti. Lo avrei aperto in due, sbudellato, cazzo! Ero davvero bravo a farla pagare ai bastardi come quello là.

Ondeggiai sul posto, barcollando, ma subito mi appoggiai contro alla parete più vicina, riacquistando l'equilibrio. Nel mio osservare in giro, mi accorsi che non mi trovavo nel palazzo di Wicarema. Un'occhiata rapida dalla finestrella a forma di oblò, oltre cui si vedeva il mare perdersi a vista d'occhio, mi fece immediatamente capire che ero su una nave. Quindi non era la mia testa a vorticare.

In effetti, l'oceano fuori erano in fermento: il cielo grigio, come gli occhi del Pel di carota che conoscevo bene, si fondeva ad onde tanto grandi che parevano travolgere le nuvole affastellate in mucchi neri e uggiosi. Fulmini e lampi chiazzavano la volta cerulea mentre l'intera nave si muoveva su se stessa come in preda ad un ballo infernale. Sembrava che il pessimo tempo patito sul Dirigibile d'Argento fosse tornato. O era semplicemente sfiga? Ottima domanda.

In ogni caso, dovevo uscire e trovare immediatamente il principino. Mi ero fatto battere da quello psicopatico - la sconfitta bruciava maledettamente - e lo avevo lasciato di nuovo da solo, senza protezione: fino a che punto era stato ferito? Stava bene? Era vivo? Le domande mi schiacciavano la testa, quasi la trovassi ficcata fra l'incudine e il martello.

Mi spinsi oltre la porta della cabina abbandonando la mia arma ma senza rivestirmi, sapendo bene che avrei perso tempo prezioso. Così mi avviai, mezzo nudo, scarmigliato e con l'espressione di chi è pronto a fare una strage, pestando i piedi pur senza smettere di sbandare da una parte all'altra dell'angusto corridoio di legno.

Francis, dove sei? Dove sei andato a cacciarti?

Sentivo un insolito, nuovissimo senso d'angoscia che partiva dallo stomaco e mi strizzava il cuore. E che si ingigantiva, man mano che camminavo per i corridoi, bussando alle porte senza avere risposta.

«Principino? Francis?» Ogni volta che il silenzio seguiva alle mie domande avvertivo la rabbia e l'apprensione salire. Che idiota che ero stato. Non ero stato nemmeno capace di proteggerlo... Un coglione completo.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora