25. Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio

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André


Rhod era la creatura più bella che avessi mai visto.

Il suo corpo nudo era rischiarato dal dondolio di una singola fiammella che giocava leziosamente con la sua ombra, man mano che gli sollevavo la camicia da notte sopra la testa, scompigliandogli la chioma nocciola e quelle due treccine accanto alle tempie, che corsero ad accarezzargli le guance perfettamente rotonde.

Era un'opera d'arte incastonata in mezzo al letto, scolpita fra le lenzuola, intagliata nella luce della candela che gli colorava l'epidermide perlaceo d'arancio. Le piccole labbra a forma di cuore boccheggiarono di vergogna, mentre io lo fissavo da capo a piedi, incantato dalla sua figura, dalla glabra levigatezza della sua carne pura, mai violata da un pelo, da un neo, da una cicatrice, da una lentiggine. Da mani sconosciute.

Al contrario di me.

Non mi spogliai e lui capì e lo accettò, senza aver bisogno di chiedermi nulla, semplicemente guardandomi negli occhi, i suoi così vibranti di vita, così scintillanti di blu, come la luce intorno ad un fulmine, esattamente come quella che s'infiltrava dall'oblò della nostra stanza facendolo sussultare ogni volta. Le sue spalle minute e arrossate balzavano scostandosi dal materasso con un cigolio delle molle, le braccia allungate fra me e il lenzuolo tirato sopra le gambe, celando le sue grazie dal mio sguardo.

Non aveva bisogno di nascondere niente, comunque. Lasciai che per qualche minuto cercasse riparo sotto alla seta bianca mentre le nostre labbra s'incontravano ancora e le mie mani, ebbre della sua pelle anche se non avevamo neppure iniziato, vagarono sul suo petto stuzzicandogli ogni centimetro libero, tastando ed imparando a memoria le forme, le distanze e le vicinanze, sorseggiando il vento intorno a lui per respirare il suo stesso ossigeno, la stessa aria che avrebbe consumato di lì a poco per parlare, balbettare, gemere.

«D-d-dì qu-qual..qualcosa.» biascicò infatti, la faccia paonazza come una camelia selvatica in procinto di sbocciare e un pizzico di magia che per il nervosismo del momento gli crepitava intorno alla testa come un'aureola azzurra di potere condensato, mal trattenuto.

Io però non riuscivo a parlare. Sapevo che la mia mancanza d'espressione, in un momento come questo, potesse essere frustrante, ma sapevo anche che il suo corpicino e la sua voce mettevano a dura prova ogni mia capacità d'autocontrollo. Mi coprii le labbra dietro una mano, gli occhi virati di lato e un impercettibile rosa ad imporporarmi gli zigomi. Era lui a causarlo, specialmente perché stava imparando a capirmi ed ero consapevole che potesse leggere i miei sentimenti, adesso. Ogni frammento nascosto d'imbarazzo, brama, lussuria: era tutto lì, in quell'ingannevole traccia di colore sulla mia pelle smorta.

Se fossi stato in salute vedermi sarebbe stato più piacevole: spalle larghe, corpo tonico, liscio, privo di deturpazioni, muscoli scattanti, respiri veloci, sguardo attento. Mi sarei tolto la camicia da notte e l'avrei fatto mio, velocemente, senza indugiare un momento.

Ora, non ero sicuro di farcela. Prendevo ogni giorno i miei rimedi erboristici, ne sperimentavo di nuovi, mescevo e sminuzzavo instancabilmente contro il pestello in cerca di medicine che durassero davvero, che mi dessero abbastanza forza per non rallentare il gruppo, per non dare nell'occhio, per trascinarmi instancabilmente sul ronzino da un'avventura ad un'altra senza mai vacillare, senza mai cedere.

«Ti voglio.» esaudii la sua richiesta dicendogli quello che pensavo davvero. Mi ero tolto gli occhiali ma lo studiavo oltre lo sguardo sfocato senza nemmeno strizzare le palpebre, quasi il desiderio fosse in grado di sopperire alle mie mancanze e alla miopia. «Sei il mio ultimo desiderio.» sussurrai, criptico ed illeggibile, con gli occhi verdi resi arcani, magici quasi quanto i suoi, grazie alla luce della fiamma.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora