11. I pugni sono ammessi?

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Cyran


Fasci di luce attraverso un buio inquietante e pecioso, veli trasparenti davanti alla mia vista, una musica d'arpa. Più che provenire dall'esterno sembrava risuonare dentro di me, riecheggiando mille e mille volte. Mi sentivo strano, leggero, incorporeo.

Sbattei le palpebre una decina di volte prima che riuscissi a guardarmi le mani. Le strinsi in un pugno finché non riusci a mettere a fuoco tutto ciò che mi stava attorno. Si trattava di un sentiero che proseguiva dritto, ai quali lati svolazzavano reti da pesca e teloni che conferivano a quel corridoio una forma tutta fluttuante. La melodia d'arpa cambiò e divenne una musica diversa, ritmica, simile a battiti di tamburi che andavano prima lenti, intonando una litania cupa, poi sempre più veloci, con maggior frenesia.

Abbassai lo sguardo sui miei vestiti, senza più avvertire la pesantezza della maglia metallica che portavo di solito o la solidità dei miei stivali dal rinforzo di ferro sulle ginocchia e sulle punte. Indossavo una camicia di un tessuto simile al velo, chiffon, completamente nera, con delle farfalle di un blu luminoso che parevano volare sullo sfondo. Maniche a sbuffo e una fascia di seta nera a mo' di cintura che mi circondava la vita, collegandosi ai pantaloni neri, aderenti alle gambe e stracciati sulle caviglie. Niente scarpe, per cui camminavo scalzo, ma era come se non sentissi la pressione del sentiero sotto le piante dei piedi.

All'improvviso, una eco di urla sovrastò la nenia ritmica dei tamburi, facendomi quasi sobbalzare. Non fu difficile riconoscere un nome, in quell'insieme di voci.

«CYRAN, CYRAN, CYRAN!» Non era un tono accusatorio, ma pieno d'entusiasmo. Sembrava che mi incitassero per qualche ragione.

Una schiera di soldati emerse dai veli che circondavano il sentiero, con le spade che si alzavano ed abbassavano al ritmo delle loro voci. Rimasi fermo, mentre dentro di me si faceva strada subito una punta di circospezione. La mia mano andò dietro alla schiena, verso lo spadone, ma purtroppo mi accorsi che in quel posto ero assolutamente disarmato. Scaltro, questo Somnus.

«Vi stavamo aspettando, nostro valoroso mercenario.» disse qualcuno dalla mischia, ma poi emerse qualcun altro, mentre un cerchio di soldati mi si accalcava intorno e mi accerchiava con fare minaccioso. «Li abbiamo uccisi, sono tutti morti!» un'altra voce, di qualcun altro, da qualche altra parte. «Com'era tuo desiderio, Cyran.» E intanto i cori di voci che intonavano il mio nome proseguivano all'infinito, continuavano, continuavano e continuavano. Sembrava che più io mi guardassi avanti ed indietro, cercando di riconoscere qualche faccia fra i soldati, più quelli si stringessero e divenissero delle forme confuse e sfocate.

«No! Io non l'ho mai voluto, non volevo uccidere nessuno!» mi affrettai a dire, mentre cercavo di rivolgere le mie parole a qualcuno in particolare. Eppure, non appena mi soffermavo su una faccia, quella diventava sfocata, come circondata dalla nebbia. La cosa era disorientante.

«Sei un mercenario, un guerriero spietato. Devi obbedire al tuo potere. Devi uccidere!»

Iniziai a camminare più velocemente, facendomi largo a spallate, e così le ombre attorno a me si diradarono, ma l'eco continuava creando una canzone lugubre di sottofondo.

La luce era spettrale, sembrava che un filo di pallore lunare penetrasse con difficoltà dai veli attorno al sentiero, ammantando tutto di uno strato bianco e polveroso. Continuai a camminare senza peso, quasi galleggiando, finché le voci non si zittirono. Per un attimo ci fu un silenzio assoluto. Poi un solo suono, l'eco di un pianto silenzioso, pervase l'aria. Mi guardai attorno e, ben presto, il sentiero si trasformò in un villaggio desolato, ormai raso al suolo dalle fiamme. Ciò che rimaneva erano fili lenti di fumo e resti carbonizzati di case.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora