19. Possiamo parlare di birra?

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André

Era una sensazione terribilmente strana guardarsi dall'esterno.

E lo sapevo, forse avrei dovuto semplicemente desiderare di ritornare dentro al mio corpo come tutti gli altri. Come il mercenario, che sembrava fissarsi continuamente con un cipiglio misto di invidia e ammirazione al tempo stesso. Per non parlare di quelle occhiatine costantemente dirette al cavallo dei suoi pantaloni, così insistenti e piene di rimpianto che sarebbe stato impossibile non accorgersene. O forse dovevo correggermi: per me lo sarebbe stato. Il principe e il mago non ci facevano assolutamente caso.

Avrei dovuto desiderare di ritornare nel mio corpo come il principe Levou, che per tutto il giorno mi aveva osservato con un'espressione contrita e le sopracciglia aggrottate, o forse come Rhod, che con un corpo così alto faceva molta più fatica a tenere china la testa per non incontrare lo sguardo altrui. Anzi, in quella maniera sembrava che lo facesse appositamente per guardarci: avrebbe fatto molto meglio a fissare il cielo e a mettersi a contare le nuvole sopra di noi. Sempre che ce ne fossero.

Ma io... Era difficile desiderare di tornare in quel corpo, quando si stava così bene, in quello che avevo adesso. Così tanti anni passati a navigare in una torbida sofferenza che mi ero dimenticato cosa voleva dire vivere senza alcuna agonia. 

Vivere con lo sguardo così limpido da riuscire a vedere perfettamente anche da lontano, nessun capogiro ad adombrarmi all'improvviso la vista, nessun dolore piazzato in mezzo alle costole, nessun battito frenetico dentro al petto. Quando il mio cuore iniziava a pulsare troppo velocemente, riuscivo persino a temere la possibilità di esplodere. Ma esplodere non come avrebbe fatto il mercenario, con un turbine di fuoco e fiamme.

Più un'esplosione che riduce in brandelli. Che strazia la carne e ti rovina a tal punto da lasciar di te soltanto pezzi di carne sparsa fra il terreno.

E se chiudevo gli occhi, potevo ancora ricordare ogni cosa. Ogni rumore stridente di coltelli lentamente affilati contro altre lame, ogni clangore di cinghie di metallo contro i bordi di una barella, ogni urlo straziante in fondo al corridoio, ogni sbattere di porta quando qualcuno veniva acciuffato, messo in punizione.

A me non capitava sempre. Dovevo solo fare il bravo: se mi mettevo a disposizione sarebbe stato più veloce. Tutto sarebbe stato più veloce. A volte speravo che anche la morte lo sarebbe diventata, ma alla fine le cose erano andate diversamente, per me.

Perciò, ritornato al presente, rimasi a guardare con un'espressione vuota e piatta una nuova versione di me stesso che guardava fuori dalla finestra.

Il principe Levou, patendo al posto mio il solito dolore martellante alla testa, non riusciva a sopportare il caos all'interno della taverna e aveva saggiamente scelto di rimanere in un luogo appartato a riprendere fiato. Perché ero sicuro che un po' gli mancasse. In effetti, nel corridoio adiacente ai magazzini dove giacevano le botti di vino scadente, gli schiamazzi degli avventori erano soltanto un brusio lontano. 

Ma lui continuava ad avere un'espressione nauseata, mentre si tratteneva con una mano al davanzale marmoreo della finestra e poi appoggiava la fronte contro la pietra fredda, annaspando. Per un attimo, un lungo ed egoistico attimo, mi chiesi se fosse possibile lasciare tutto così. Se, col passare del tempo, lui si sarebbe preso oltre al mio corpo anche i miei ricordi, liberandomi totalmente dall'oscuro groviglio che mi si annidava nella testa.

Tuttavia, mi accorsi presto che non era giusto. Che anche lui aveva la sua parte di dolore con cui convivere, che anche lui aveva perso qualcuno. E anche se non era paragonabile con ciò che avevo, e con ciò che perdevo ogni giorno io, sapevo che non avevo il diritto di scaricare il peso dei miei demoni interiori a qualcuno che non c'entrava nulla.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora