12. Bruciato morto

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André


Seduto, le gambe dondolavano al di sotto della sedia, i gomiti poggiati sul tavolo, il mento sul dorso della mano sinistra, i capelli di un candido biondo lunghi fino a metà collo. I vestiti erano uguali a tutti quelli degli altri, beige, di un tessuto che ricordava i sacchi di iuta nella quale si conservava il grano qualche giorno dopo la mietitura. E i miei occhi, di quel pallido verde chiaro, erano fissi sul foglio sulla quale la matita disegnava ghirigori zigzaganti e senza senso. Una giornata come le altre, pensavo.

Finché una delle donne, proprietarie di quel luogo, non mi mise una mano sulla spalla, facendomi cenno di voltarmi verso di lei. Sorrise, prendendomi la mano mentre mi aiutava a scendere dalla sedia, forse un po' troppo alta per me.

«Ho delle persone da presentarti, André.» mi disse la donna, i capelli neri e riccioluti che le incorniciavano il volto, i vestiti di tessuto grezzo, marroncino, caldo ed invernale. Nello stile di quel posto: umile, campagnolo, malinconico.

«Chi?» chiesi, alzando il viso verso di lei, il braccio teso per arrivare al suo, la mano al contatto con quella di lei, le scarpette di lanetta che strisciavano contro il pavimento di legno consumato.

All'inizio non rispose: continuò semplicemente a camminare, tranquilla, sul volto un leggerissimo sorriso che le increspava le labbra. Superammo i dormitori di tutti i bambini, superammo anche le anguste cucine e la saletta dei giochi, dove lanciai delle rapide occhiate a chi, come me, condivideva quella casa da sempre. Ma non dissi nulla, perché ci fermammo davanti all'ingresso, dove due persone aspettavano.

La prima era una donna bionda, i capelli raccolti in una crocchia tanto perfetta da non avere un solo capello fuori posto, tanto tirati da vedere la pelle della fronte tendersi. Occhi castani che mi fissavano con una certa indifferenza, mentre le palpebre sbattevano senza produrre alcun rumore. Le labbra sottili non sorridevano, semplicemente erano ferme, serie. Era di certo giovane, ma non mostrava quella bellezza che è inclusa nella giovinezza: i suoi occhi erano duri e vecchi, come se avesse visto quel genere di cose responsabili d'averla fatta diventare così. Perfino il suo vestito, sebbene paresse di buona fattura, dava un'aria di pesantezza. Guardarla non mi fece venir alcunché in mente.

Le cose cambiarono quando spostai lo sguardo verde sull'uomo al suo fianco. Era diverso: i capelli castani tirati all'indietro, un paio di lenti piccole e rotonde e dietro di esse occhi scuri ed affilati che mi fissavano con la stessa intensità di un avvoltoio. Il vestito di buona fattura, una valigetta di cuoio alla mano. Mi guardava e sorrideva, assottigliando le labbra per lasciar intravedere una fila di denti bianchi. E quel sorriso, per qualche ragione, mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.

La donna al mio fianco lasciò la mia mano e la spostò sulle mie spalle, un colpetto per fare segno di avvicinarmi ai due di fronte a noi.

«Non temere.» esordì, quando si accorse della mia riluttanza. «Loro sono i tuoi nuovi genitori.»



«No.» sussurrai, in ginocchio, con il corpo del piccolo mago fra le mani, mentre con una mano gli sorreggevo il capo trafitto. Dalla freccia gli era uscito un semplice rivolo di sangue che, col capo inclinato, gli circumnavigava un lato della fronte fino a precipitare sulla tempia. Gli occhi erano semplicemente spalancati, il blu delle iridi spento, le pupille non scintillavano, ma erano in qualche modo... opache.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora