27. La notte più buia e la luce più strana

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André



Sentivo l'inquietudine di quella giornata riecheggiare fra le pareti della nostra grande ed umile fattoria. No, non nostra, ma
sua. Non era mai stata casa nostra: i bambini consideravano quel luogo al pari di una bestia rinchiusa dentro ad una gabbietta tanto piccola da lasciargli l'impronta delle sbarre sulla schiena. Sapevo che stava per accadere qualcosa di brutto: difficile che non succedesse, ma c'erano momenti migliori di altri. Momenti in cui Lui si dimenticava di me o del resto dei suoi "figli", impegnato in città, a fingere di essere una brava persona interessata alla scienza e alla botanica.

Pensavo, o forse mi illudevo, che oggi fosse uno di quei giorni. In fin dei conti la colazione era andata bene: dopo la marmellata di more e vetri rotti, ero vivo per miracolo. Mangiare faceva male e usare il vaso da notte era ancor più terribile, ma pian piano il corpo guariva. Imparavo piccoli trucchi: sbirciavo fra i libri di nostro Padre, rubavo piante medicinali che consumavo frugalmente quando nessuno mi vedeva.

Non ero definitivamente il bravo bambino che voleva io fossi.

Pagavamo lo scotto dei nostri guai col sangue, ma c'era una sorta di giustezza in quel procedimento: ognuno aveva la responsabilità del guaio che compiva. Ecco perché quel giorno mi sembrava tanto sbagliato.

I miei passi riecheggiavano a malapena sulle tegole cigolanti della camera comune. Le brandine spoglie accatastate sul pavimento erano vuote, se non per qualche piccola coperta stropicciata, rattoppata o macchiata. Solo un "letto" era occupato, un corpo raggomitolato era completamente nascosto sotto alla coperta grigia, appartenente alla ragazzina che mancava all'appello, intorno al tavolo per la colazione.

Il bozzolo di coperte era fermo ed immobile, in una maniera quasi innaturale, così allungai la mano, afferrando un lembo all'altezza della testa per scoprire, pian piano, la bambina che dormiva lì sotto.

Un paio di occhi vitrei e spalancati spuntarono da sotto alle lenzuola, privi della classica luce che li avrebbe diversamente illuminati. Sangue raggrumato le era colato copiosamente da bocca, naso, occhi e perfino orecchie, anzi, pareva quasi che lo avesse sudato, perché la sua branda ne era impregnata, in uno spettacolo orrorifico che non avrei mai dimenticato.

Caddi all'indietro, finendo col sedere per terra, gli occhi sgranati, raggelato. Il braccio ancora teso verso la coperta smossa, come immobilizzato. Di ghiaccio.

«Padre l'ha beccata con le mani nel sacco.» la voce di una bambinetta astuta mi fece sobbalzare e la riconobbi subito. Lei era... Dannatamente sveglia, anche per essere una dei figli di nostro Padre. Le prendeva sempre meno degli altri, aveva ancora tutte le dita attaccate, non aveva mai mangiato marmellata di vetri rotti. Le mancava solo un occhio, perché una volta aveva pensato di essere anche troppo furba. Aveva cercato di aiutarmi e le era costato un occhio.

«Eh..?» deglutii rumorosamente, cercando di non guardare di fronte a me, anche se non riuscivo a togliermi quell'immagine dagli occhi. Schiuma e sangue in grumi, e occhi spalancati, e bocca aperta come una voragine.

«Si è accorto che qualcuno ruba dalle sue riserve. Erbe, soprattutto.»

No... No no no. Un tremito profondissimo mi rimbalzò dalla testa ai piedi, il dolore di un fulmine che ti attraversa e brucia la terra su cui sei piantato.

«L'ho spiato mentre seminava ovunque veleno per topi.» rivelò lei, restando sulla soglia, evitandosi lo spettacolo raccapricciante. Ah. Veleno per topi. Commisi l'errore di girare gli occhi verso il cadavere di una delle mie tante "sorelle" e lo stomaco mi si rivoltò come un calzino sporco. Mi schiacciai una mano sulle labbra, cercando di trattenere la bile. Meglio non vomitare: se c'era ancora qualche frammento di vetro dentro di me, sarei stato in grossi guai. «Sei stato tu, vero?»

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora