31. Correte!

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André


La bambina senza occhio si chiamava Sun.

Sunflower, in realtà, ma tutti la chiamavamo Sun. Il nome se l'era scelto lei, leggendo dai libri di botanica di Padre. Diceva che i girasoli fossero in grado di sopravvivere anche dove la terra era più guasta, marcia, putrescente. Come la nostra casa. Ma ad un certo punto aveva scelto di estirpare le proprie radici. Avevamo. Da quando una delle nostre sorelle era stata ammazzata col veleno per topi.

Mi ero ripreso dalla marmellata di vetri rotti, era il momento giusto per andarcene. Sgattaiolare via in silenzio, esattamente come quei topi per cui Padre diffondeva pesticidi nella casa. Solo che loro avevano un destino migliore del nostro: morire e basta. Morire ed essere lasciati in pace. Ero sicuro che se fossi morto qui, avrebbe fatto qualcosa al mio corpo.

Lo avrebbe ridotto a brandelli. Gliel'avevo visto fare, una volta, con una grossa mannaia con cui sgozzava i maiali. Non soltanto quelli. Una volta avevo trovato un orecchio nel mio piatto e, anche se il mio stomaco protestava e ululava per convincersi che fosse un semplice caso - in un posto dove i casi non esistono -, avevo finito per vomitare come un matto, scegliendo di non mangiare per giorni. Ovviamente ero stato dolorosamente punito. Perché i bravi bambini non sprecano il cibo che gli porta in tavola Padre.

Non sapevamo quanto saremmo durati ancora, in quella casa. Ma eravamo i più longevi e tale era il motivo che ci aveva spinto a fare quella scelta: ce ne dovevamo andare. Se duravamo troppo significava che Padre non faceva il suo lavoro abbastanza bene... O che forse noi eravamo troppo bravi, il che era semplicemente sospetto, per lui.

Sì, ce ne dovevamo andare, ma non avevamo un piano. Era il semplice desiderio di due bambini armati di speranza e disperazione, due sentimenti fin troppo spesso legati assieme col filo spinato. Niente cibo con noi, non potevamo fidarci dopo l'episodio del veleno per topi, solo qualche tozzo di pane raffermo fatto velocemente sparire dal cibo vecchio servito in tavola.

La manina di Sun era appiccicosa per via del sudore e anche se si atteggiava a gran coraggiosa, la sentivo tremare contro al mio palmo. Si guardava intorno come un cerbiatto spaurito davanti ad un lupo, anche se la casa era silenziosa intorno a noi. Addormentata, sospesa in una nuvola di buio e quiete: riuscivamo a vedere i contorni di mobili e scale grazie al chiarore lunare che penetrava dalle finestre.

Seguii con la mano il contorno di una ringhiera e mi portai l'altra alle labbra, facendo cenno alla bambina di mantenere assoluto silenzio, mentre incominciavamo a scendere le scale. Ogni gradino era un tuffo al cuore, una sfida contro il destino. Un cigolio ed era finita. Un cigolio ed eravamo morti. E non sarebbe stata una morte rapida.

Il primo gradino filò liscio come l'olio. Forse non avevamo un piano, ma nei giorni precedenti ero salito su e giù per controllare quale cigolasse e ricordarmelo per il futuro: il quarto partendo dall'alto. Così tutto proseguì nel migliore dei modi. Tre passi ancora. Poi due. Poi uno. Sarebbe bastato superare l'androne, spalancare la porta e correre come il vento. La libertà era a portata di mano.

Invece, una mano uscì dal buio dietro alle scale, come se ci aspettasse. Madre era lì, col suo abito da notte e la sua tiratissima crocchia bionda: sentii la sua mano infilarsi fra i miei capelli e tirarmi indietro con uno strattone feroce, mentre le unghie mi artigliavano violente il cuoio capelluto.

Sun emise uno squittio di terrore e la sua faccia si fece talmente bianca che lo capii ancora prima di vederlo, attraverso l'odore: se l'era fatta addosso per la paura. La pozza si allargava ai suoi piedi e quello era l'ultimo dei nostri problemi.

Per arrivare a Lei | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora