32. // elefanti portatori di tristezza

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Federico seguì il consiglio della madre e per i primi tre giorni quasi non toccò Michael. Continuava ad avere mal di testa, non voleva essere toccato perché aveva quella sensazione di ossa rotte addosso e a Federico non dava fastidio, capiva il perché di tutto quello. Quel che cercava di ignorare era quel persistente pensiero che Michael non lo volesse accanto perché un po' cominciava ad incolparlo di quell'incidente.
Ormai lo aveva ricordato, sapeva cosa era successo e sapeva che era anche colpa di Federico.
Il ragazzo ancora non riusciva a mettersi l'anima in pace e continuava a pensare a come avrebbe potuto evitare quell'incidente. Non correva mai in città, qualche volta gli capitava di premere troppo sull'acceleratore, ma sapeva regolarsi e quella sera era al limite permesso. Il camion era spuntato all'improvviso, lui aveva provato ad inchiodare ma si erano andati a schiantare comunque. In quella dinamica vedeva troppe vie d'uscita, come andare sotto il limite permesso in centro, ricordare i biglietti, non prendere la scorciatoia appena usciti dal vialetto. Vedeva quell'incidente evitato, Michael salvo, ma poi tutto tornava e si chiedeva come avesse fatto lui a uscirne solo con lividi e un grande taglio sulla fronte. Lui era stato fortunato.
Forse di questo Michael poteva esserne arrabbiato.

Faceva quasi caldo quel pomeriggio e loro erano in soggiorno a lavorare. Yasmine aveva chiesto una mano a Michael per un suo progetto personale e lui si era messo a disegnare, mentre Federico stava guardando delle carte che riguardavano Newtopia. Era un pomeriggio calmo, quasi sereno. Erano un paio d'ore che Michael non si lamentava più del dolore alla testa ed era tornato quasi di buon umore negli ultimi giorni.
Federico si staccò dalle sue scartoffie e andò a sbirciare il lavoro di Michael, la tazza di caffè ancora bollente stretta nella sua mano.
"Ti piace?" chiese il cantante quando lo sentì avvicinarsi. Alzando lo sguardo incontrò quello di Federico e quest'ultimo sorrise e annuì.
"È molto bello" rispose. Michael stava disegnando un elefante immerso in un prato, uno di quelli dal muso simpatico, con attorno farfalle e fiori. Era un disegno per un libro per bambini e Yasmine aveva chiesto una mano per alcuni personaggi e sapeva che Michael viaggiava bene con la fantasia.
"Mi sembra che manca qualcosa" disse Michael.
"Mmh, non saprei. È già bellissimo così. Mi ricorda un po' quel disegno che avevi fatto anni fa".
"Quale disegno?".
"Era un disegno per una scuola, forse ne abbiamo ancora una copia da qualche parte".
"Pensi di poterlo trovare?".
Federico non ci aveva pensato, in quel momento, aveva risposto di sì e una decina di minuti dopo lo aveva trovato in uno scatolone dove tenevano i disegni, alcuni fatti da loro, alcuni di qualche fan.
Federico glielo porse con un sorriso e Michael prese quel foglio con mano tremolante. I suoi occhi cominciarono a scrutare l'immagine dell'elefante e non riuscì a trovare un tratto di quell'animale che fosse diverso da quello appena disegnato.
"Sono uguali" esclamò Michael dopo qualche minuto di silenzio.
"Niente è mai veramente uguale" rispose Federico cercando di sdrammatizzare. Michael appoggiò il vecchio disegno e cominciò ad accartocciare quello nuovo.
"Mika, che cosa fai!" esclamò Federico. Allungò una mano per fermarlo ma Michael si scansò appena in tempo. "Era bello!".
"Ma era uguale!" ribatté Michael. Buttò il foglio per terra e si alzò, esasperato. "Come posso aiutare mia sorella se disegno cose vecchie?".
"Mik, non te lo ricordavi, può capitare".
"No, queste cose non capitano, è successo solo a me!".
Federico capì dov'erano arrivati e s'irrigidì, il sorriso che aveva fino a un attimo prima che andava a morirgli dal viso.
"Mi dispiace" disse Federico. Michael lo guardò confuso ma gli bastò poco per capire. "Mi dispiace averti fatto questo".
"Non incolpo te. Lo sai che non ti incolpo. La situazione è frustrante, è normale che io reagisca così".
"È anche normale che tu m'incolpi, Mik. Lo capisco".
"Perché continui con questa idea?".
"Perché è così! Sei finito in questa situazione per colpa mia, ero io alla guida di quell'auto! Ti ho fatto diventare io così".
"È questo che vuoi sentirti dire? Che io incolpo te?".
"Dimmi che non è così! Continui a ripetere che non è vero, che per te non è stata colpa mia, ma lo sai che è così".
"Sì, è vero".
Federico sussultò, sorpreso, forse perché sperava che non lo dicesse mai, perché voleva che continuasse a negarlo, e si sentì ancora più stupido perché lui continuava ad insistere per farglielo dire.
"Eri tu alla guida dell'auto, è colpa tua se abbiamo fatto incidente e se ho perso la memoria".
Il suo cuore cominciò a non battere più mentre quelle parole gli entravano dentro e si stampavano nelle sue ossa, nel suo sangue, ovunque.
"È questo che vuoi sentirti dire?".
Federico non rispose, sentiva delle lacrime scendere pericolosamente sul suo viso e abbassò lo sguardo. Non aveva parole per rispondere, per dire le cose come stavano, quel che gli passava per la testa. Sentiva solo la colpa divorarlo, la voce nella sua testa che gli diceva che era successo tutto per colpa sua e che si meritava tutto quello e la solitudine che sarebbe seguita. Si girò di scatto, prese le chiavi di casa e uscì, lasciando Michael da solo.
Michael sentì un brivido scuotergli il cuore quando la porta si chiuse dietro le spalle di Federico.
Non pensava sarebbero tornati su quell'argomento, ma forse doveva aspettarselo dopo quel suo incubo. Sapeva che era lecito incolparlo, forse perfino odiarlo, ma Michael non ne era stato mai capace, non per davvero. Aveva provato qualcosa solo quella volta che aveva letto il suo diario per la prima volta e aveva letto della festa. Lì la rabbia l'aveva sentita, ma era ancora tutto così nuovo, era normale avere quel tipo di reazione. Ma lui non odiava Federico e in quel momento, con la sua figura che si allontanava da casa, si rese conto che forse aveva sbagliato a dire quelle parole sputate solo per ripicca.
Federico non tornò fino a sera tardi, Tatiana scrisse a Michael che il ragazzo era andato a casa loro e quando tornò a casa lui era già a letto. Finse di essere addormentato e aspettò che il ragazzo entrasse nel letto, di sentire la sua presenza accanto. Sentì i passi di Federico raggiungere il letto ma non spostò le coperte per entrare. Prese il cuscino e uscì dalla camera, chiudendosi dietro la porta. Michael si sedette e rimase a fissare quella porta chiusa e provò a non pensare di aver rovinato tutto, ma quella notte non riuscì a dormire.

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