Capitolo 16

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Mancavano pochi giorni e sarebbero tornati tutti a casa.
Dopo quella sera Luke aveva deciso di viversi l'estate e pensare a Cher una volta rincontrata ad ottobre. Per il momento doveva capire che farsene dei suoi sentimenti.
Jason si era tinto di blu, ma l'acqua del lago aveva schiarito i capelli, facendoli diventare di un colore che ancora doveva essere inventato.
Colin e Harry vivevano quei giorni da perfetti piccioncini. Lontano da occhi indiscreti potevano amarsi, anche se la parola amore non aveva mai lasciato le loro labbra.
Entrambi non avevano più parlato di quell'argomento, ma qualcosa si era inclinato, anche se nessuno dei due se ne era ancora reso conto.

Colin si sentiva uno schifo. Si era pentito di quelle parole nell'esatto momento in cui avevano abbandonato le sue labbra. Ma come poteva buttare all'aria gli anni nei quali aveva costruito tutto quello?!
La popolarità non era solo popolarità, era la possibilità di avere persone intorno, di non sentirsi davvero solo. La consapevolezza di essere Colin Evans, il semplice e imbattibile capitano della squadra di calcio, e non il figlio di un violento, non il ragazzino senza una vita sociale, senza un'adolescenza.
Cher non era solo la sua ragazza, era un'amica, pur essendo odiosa la maggior parte delle volte, lui le voleva bene, e volevano esattamente le stesse cose. Lei era l'ancora che teneva tutto fermo, tutto così come doveva essere.
Tutta quella superficialità lo faceva sentire al sicuro dai veri problemi, dalle preoccupazioni. Si era scelto quella vita perché voleva riprendersi e soprattutto vivere tutti quegli anni in cui aveva avuto altre priorità. Avrebbe rifatto tutto daccapo, l'amore per la sua famiglia l'aveva spinto a rinunciare a molte cose, ma quello era il suo momento. E l'amore non poteva distruggere tutto. Non di nuovo.
Harry aveva capito, lui capiva sempre. Non gli aveva mai chiesto nulla, e lui gliene era infinitamente grato.


"Che ne dici se andiamo al cimitero?"
Harry si pietrificò a quelle parole.
Colin nuotò più vicino a lui.
"Tra qualche giorno andiamo via e mi sembrava carino andare. Stavolta portiamo dei fiori, che ne dici?"
Aveva mostrato a quel biondino una parte importante di sé, e notare che Colin volesse far qualcosa per lui gli fece nascere un piccolo sorriso sulle labbra.
"Va bene, potremmo prendere delle margherite."
Colin gli saltò letteralmente al collo, alzando tantissima acqua.

La mattina dopo lasciarono Luke e Jason a dormire, e si avviarono al cimitero in auto.
Si fermarono a prendere un bel mazzo di margherite, e anche delle sigarette.
Varcarono il cancello con un accenno di sorriso, e Colin strinse la mano di Harry nella sua.
Era una situazione completamente diversa da quella che li aveva spinti lì la prima volta, ma entrambi si portavano dentro ancora un po' di quella pesantezza.
Harry appoggiò i fiori accanto alla lapide e accese una sigaretta, passandola subito a Colin, per poi accendersene una per sé.
Colin osservava attentamente il fumo uscire dalle labbra rosse di Harry, sentendosi sempre più fortunato ad avere l'accesso a quella bocca peccaminosa. Lo sguardo gli cadde su quei tatuaggi, dei quali ormai ne conosceva tutti i più profondi significati, e l'occhio si soffermò sulla scritta all'interno del braccio, la stessa frase incisa su quella pietra. Riportò lo sguardo sul viso di Harry, e osservò i suoi occhi perdersi su quelle scritte e su quel nome. Come poteva essere difficile non pronunciare più un nome così familiare? Colin rabbrividì a quel pensiero.

"Insieme a lui ho fumato la mia prima sigaretta"
E Colin nascose un sorrise. Gli piaceva che Harry gli confidasse quelle cose, non parlava mai di Chris, ma come la prima volta, quella pietra chiara gli dava la forza di esprimere a parole il suo dolore, e lo faceva ricordando i momenti passati col fratello.
"Avevo tredici anni, e per lui avevo l'età giusta per provare. Ho sputato un polmone per quanto ho tossito, e quel bastardo rideva a crepapelle."
E Colin pensò che Chris doveva essere un gran bel tipo.
Harry si sedette sul terriccio, incrociando le gambe, creando quell'alone di fumo intorno a sé da dargli un'aria misteriosa. E lo era, misteriosamente perfetto.
Colin lo imitò, fissando le sue labbra, per non perdersi neanche le parole più sussurrate.
"Sai, Chris non era il ragazzo perfetto che tutti credevano."
Dicendolo spense la sigaretta, accendendone subito un'altra.
"Aveva voti alti a scuola, era rappresentante d'istituto e tutti gli studenti pendevano dalle sue labbra. Aveva le ragazze migliori e gli amici più popolari. Era il figlio modello, non disubbidiva mai, beh almeno tutti così credevano, aiutava mamma con la cena, e nel tempo libero andava allo studio dei miei per imparare il mestiere. Perfetto. Era perfetto agli occhi di tutti. E anche ai miei."
Girò il viso verso Colin e sorrise. Il biondino, invece, non sapeva cosa aspettarsi da quel racconto.
"Inizialmente ti odiavo perché me lo ricordavi."
E Colin sussultò.
"Entrambi ragazzi perfetti agli occhi del mondo, ma che in realtà sono solo dei bugiardi."
E rise piano.
Colin non aveva la forza di aggiungere nulla, aveva paura di rovinare quello strano momento.
"Avevo quattordici anni quando Chris mi fece provare l'erba. E ne avevo sempre quattordici quando mi fece ubriacare fino a farmi vomitare. Per i miei amici avevo il fratello più figo del mondo, che fumava, beveva e restava agli occhi di tutti un piccolo angioletto. E anch'io me ne ero convinto, avevo il fratello migliore del mondo, ma sapevo che era un vero bastardo, ma lo adoravo lo stesso. Era proprio come te."
-Stronzo, bastardo e un finto perfetto, e che mi fa soffrire, come Chris quando è morto, e tu, ora, che rifiuti di amarmi. - Ma questo lo lasciò nei suoi pensieri.
Colin avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa.
"Quando, per me, eri solo il capitano della squadra di calcio sapevi essere davvero crudele. Organizzavate degli scherzi bastardissimi e sapevo che tu eri la mente del gruppo. Noi non facevamo niente di meno, ma il fatto che tu conservavi quell'aura pura e rassicuranti mi snervava, perché davvero mi facevi ripensare a mio fratello. Poi ti ho conosciuto, e devo dire che non sei stronzo quanto lui. Tu almeno non inizieresti le tue sorelle al sesso e all'alcool." Prese una piccola pausa aspirando del fumo.
"Ma nonostante questo, io lo veneravo, e lo coprivo sempre con i miei. Io sapevo chi era il vero Chris. Sapevo che tradiva la sua ragazza, che se ne faceva una ogni sera. Sapevo che si riempiva di canne e che beveva senza il minimo controllo, e sapevo che era un bullo. Le uniche volte che sembrava davvero un angelo era quando venivamo alla casa al lago, forse tutta questa tranquillità lo rilassava davvero, come mi ripeteva. Non lo so, resta il fatto che non l'ho mai fermato, non gli ho mai detto di smettere, e di questo me ne farò per sempre una colpa."
Colin gli tolse la sigaretta dalla bocca e la gettò lontana, impossessandosi delle sue labbra, aspirando il fumo direttamente dalla sua bocca.
"Tutti siamo stronzi, e soprattutto lo siamo stati a quell'età, ma non è colpa tua."
E Harry non aggiunse nulla alle parole di Colin, perché lui non sapeva tutta la storia, ed era meglio così.

I giorni seguenti passarono velocemente, ed era arrivato il momento della partenza. Luke andò via con Jason, che tornavano direttamente a casa dei genitori, mentre Colin tornava a casa di Harry, per passare altri due giorni insieme, prima di allontanarsi per due lunghissimi mesi.

"C'è la crisi nel tuo frigorifero!"
Harry scoppiò a ridere. Erano appena entrati in casa, e Colin aveva abbandonato la valigia all'entrata per cercare un po' di cibo.
"Dobbiamo fare la spesa allora."
"Ok, andiamo."
E già aveva ripreso le chiavi che Harry aveva appena poggiato sul piattino all'entrata.

Nel supermercato, che era decisamente troppo grande per non perdersi e per non desiderare tutti i prodotti in mostra, Colin stava riempiendo il carrello, dicendo che durante la sua assenza Harry dovesse mangiare cose più sane, e spiegandogli anche come cucinare questo o quello.
Harry lo lasciava parlare, tanto appena Colin sarebbe partito lui sarebbe andato da Gwen, e quindi qualcuno avrebbe cucinato per lui, ma il biondo non doveva necessariamente saperlo.
Mentre volteggiavano tra uno scaffale e l'altro, Harry riusciva solo a dannarsi, perché avrebbe fatto la spesa tutti i giorni della sua vita se in cambio riceveva quei sorrisi e quei: "Harry, ti prego, aiutami a prendere quella pasta in alto" e poi essere ringraziato con un bacio sulla guancia, perché comunque ci sono dei bambini, e loro baci casti non se li sanno proprio dare.
Lo osservava, e avrebbe davvero dato un rene per poter vivere quella quotidianità. Immaginava svegliarsi al mattino con dei suoi baci a ricoprirgli il viso, senza la preoccupazione di dover scappare; poter arrivare insieme all'università e accompagnarlo a lezione, baciarlo cento volte prima di lasciarlo entrare in aula; aspettarlo dopo gli allenamenti, o semplicemente poter guardare una sua partita senza camuffarsi. Ma quello era solo un sogno, lo sapeva bene. Eppure aveva accettato senza battere ciglio quelle condizioni che gli stavano fin troppo strette. Ma faceva comunque male.
Guardava Colin controllare scadenze e prezzi e pensava che quel biondino riusciva ad essere scopabile anche tra pasta e detersivi.
Si stava perdendo nella contemplazione del corpo del ragazzo che aveva di fronte, quando quest'ultimo alzò il viso verso uno scaffale lontano. Harry stava per seguire il suo sguardo, quando Colin lo spinse lontano, intimandogli di nascondersi da qualche parte. La spinta non era stata molto amichevole, ma Harry decise di assecondarlo, cambiando semplicemente reparto.

Dalla nuova posizione, vide un ragazzo avvicinarsi a Colin e salutarlo con una pacca sulla spalla. Era abbastanza basso, molto magro e con i capelli rasati. Ci mise un po' a riconoscerlo, era uno della squadra, Tim, o forse Tom, non lo sapeva. Li fissò parlare per qualche minuto, ma quando Tim, Tom o come cazzo si chiamasse diede una pacca giocosa sul sedere del suo biondino la rabbia prese il sopravvento, e decise di avvicinarsi.
Colin vedendo Harry avvicinarsi con aria minacciosa, liquidò l'amico e si diresse alla cassa, evitando del tutto il moro, per paura che l'amico li vedesse anche solo parlare.

Harry, vedendo Colin cambiare direzione, restò di sasso. Lo stava mollando lì, così. Strinse i pugni, si avvicinò al suo carrello, con la sua spesa, e intimò al biondo di aspettarlo in auto.
Colin vedendo il fumo uscire dalle orecchie e dal naso del compagno annuì correndo fuori, dopo aver controllato che l'amico non avesse visto quello scambio di battute.

Harry era furioso. Portò la spesa in auto, e partì senza rivolgere neanche uno sguardo al ragazzo al suo fianco.

Fingere non era mai stato così difficile. Ma poi fingere cosa? Di non amarlo alla follia? Di non pendere dalle sue labbra? Di non morire dentro ogni volta che nomina una donna? Di farsi bastare quelle notti? Di farsi bastare di essere l'amante? Perché questo era. E rendersene conto l'aveva ucciso.
Fingere. Era sempre stato bravo in questo, fin da piccolo. Raccontava bugie in continuazione ai suoi genitori, inventava di aver vissuto le miglior avventure. Diventando grande aveva perfezionato la tecnica. Fingeva di non soffrire come un cane per la perdita del fratello, sforzando dei sorrisi per la madre. Fingeva di non sentirsi in colpa per non poter fare di più per la propria famiglia in un momento così delicato. Fingeva di non avere quel piccolo segreto che lo portava lontano da caso ogni fine settimana.
Alla luce dei suoi ventun anni, Harry Montgomery poteva dire di essere un asso nel mentire, agli altri e a se stesso.
Ma per la prima volta in tutta la sua vita, guardando quel viso adagiato sul vetro, quelle labbra piene e dischiuse, quei capelli biondi scomposti, e quel corpo così perfetto ai suoi occhi, si era stancato di fingere.
Questa volta per il suo bene.

Appena arrivati a casa, si chiuse in bagno. Avrebbe ucciso volentieri quel tizio, ma anche il biondino in cucina. Come cazzo era possibile che quello poteva toccargli il culo in pubblico, ma poi non era quello il problema. Il problema era il comportamento di Colin.

Harry uscì di casa con la scusa di aver dimenticato di comprare la carta igienica, ma appena uscito in strada decise di non prendere l'auto, aveva bisogno di aria.
Camminò fino ad arrivare in un parco, ma non approfittò delle panchine, continuò a passeggiare nel prato.
Restò fuori fino ad ora di cena, pensando di rientrare solo dopo essere stato colpito dalle prime gocce di pioggia. Gli sembrava strano che Colin non l'avesse chiamato, e poi ricordò di aver lasciato il cellulare a casa.
Tornando verso casa, dopo la sua lunga riflessione, capì che l'amore verso quel biondino l'avrebbe solo continuato a distruggere. 

Appena aperta la porta di casa vide Colin intenzionato ad accendere una candela sulla tavola apparecchiata per due.
Harry ebbe solo la forza di dire: "Non accenderla."
Colin sobbalzò, non aveva sentito la porta aprirsi. Subito gli corse incontro per baciarlo, iniziando una litania di scuse.
Harry lo bloccò subito. Aveva pensato di poter fingere, di poter farsi bastare quel poco che Colin poteva dargli, ma vedendo quella tavola, la cena preparata con tanta cura, e anche la candela, aveva capito che lui avrebbe voluto quello per tutta la vita, e che non si sarebbe mai accontentato di essere una piccola parte nella vita di Colin, lui voleva essere la sua intera esistenza.

Colin iniziò a spiegargli che Tom (alla fine così si chiamava) era un tipo abbastanza espansivo, che non doveva prendersela, e cose del genere. Riprese l'accendino per accendere la candela, ma Harry, ancora bloccato sulla porta della cucina gridò: "Non accendere quella cazzo di candela!"
Colin lo guardò dubbioso.
"Perché?"
"Io non ce la faccio."
Colin gli si riavvicinò, tentando di abbracciarlo.
Harry si scansò quasi scottato.
"Non ce la fai a fare cosa? Dai non essere geloso, ti stavo spiegando che..."
"Non sono geloso!" cercò di riprendere il controllo per poi continuare: "Cioè, si che sono geloso, ma non è questo il problema."
Colin si iniziò a preoccupare.
"Io non credo di farcela. Ci ho provato lo giuro, ma non ce la faccio a tenere questo segreto. Una cena a lume di candela non può sistemare le cose. Colin io, penso davvero che dobbiamo finirla qui."
E Colin sbiancò.
"Cosa? E perché? Avevi detto che ti stava bene meno di una settimana fa, che cosa è cambiato?"
Colin sapeva bene che era colpa sua, ma non riusciva ad accettare di star perdendo l'uomo che gli aveva promesso di stargli sempre accanto.
"E' cambiato che ho capito che non mi basterà mai un pezzo della tua vita, cazzo Colin, io voglio tutto di te. Voglio tenerti la mano all'università e anche in un cazzo di supermercato, senza dovermi nascondere se arriva un tuo compagno di squadra! Non mi basteranno mai quelle poche ore, perché io ti am..."
"Non osare, cazzo! Non ora! Non puoi parlarmi di amore ora che mi stai lasciando ok?"
'-E ora che mi stai spezzando il cuore' Ma questo lo fermò tra le sue labbra.
"Avevi promesso di prenderti cura di me, di starmi vicino. Tutte quelle promesse dove sono?"
"Le promesse? Colin ma quanto cazzo sei egoista? Io non ce la faccio, scusa se voglio far parte della tua vita fino a questo punto, scusa se voglio poter urlarlo che sei il mio fidanzato. No, davvero, scusami, se ti voglio tutto per me!"
E Colin non riuscì a trattenere le lacrime, perché Harry aveva ragione, ma non era l'unico ad avere delle colpe.
"Io ti ho aperto il mio cuore, non ti basta? Ti ho raccontato tutto di me, cose che non ho avuto la forza di dire manco a Jason, e cosa ho avuto in cambio? Un cazzo! Dopo mesi non so ancora che morte fai nei fine settimana, anzi, si lo so, vai da Gwen, o da Charlotte, come dovrei chiamarla? E poi non so manco chi cazzo sia! Il segreto con lei puoi mantenerlo vero? Non ti pesa. Dillo che sono un peso, ammettilo!"
Harry era sorpreso da quell'ultima frase.
"Che ne sai di Gwen? E poi Gwen e Charlotte sono due persone diverse. In ogni caso pensavo ti andasse bene aspettare che te ne parlassi io, invece no, devi sempre essere il solito curioso di sto cazzo!"
Colin preso da un attacco di rabbia si appoggiò al tavolo, parlando a denti stretti.
"Ho preparato la cena, e non perché Tom mi ha toccato il culo, ma per farti capire che il mio cuore, come il mio corpo e la mia anima, appartiene a te. Volevo scusarmi per non poterti dare nient'altro, ma mi avevi detto che ti bastava! E poi scusami se sono curioso di sapere che cazzo fai della tua vita!"
E scaraventò tutto a terra.
Piatti, bicchieri, la pasta già pronta, la bottiglia di vino, tutto cadendo provocò un suono, che sapeva tanto della fine, del The end della loro storia.
Harry tremava.

Dopo quel frastuono nessuno fiatò.
Entrambi fissarono il tappeto ormai sporco di vino e pasta, e in quei cocci e vetri si rispecchiarono, ormai rotti anche loro.

Colin guardando il rosso espandersi sul tappeto chiaro capì che continuare a gridare non avrebbe risolto ciò che ormai era successo, si erano spezzati a vicenda.
Era arrabbiato, perché Harry non gli aveva mai mostrato il suo disappunto, aveva sempre acconsentito, sembrato quasi disinteressato davanti a quel discorso. E gli aveva fatto delle promesse, gli aveva detto di potersi fidare. L'aveva fatto entrare nella sua vita, nella sua casa, l'aveva fatto innamorare, per poi ricevere solo dolore.
Lui aveva le sue colpe, lo ammetteva, ma Harry gli era entrato dentro, si era preso tutto quello che poteva dargli, anche se non era quello che lui voleva, e ora lo stava abbandonando, portando con sé il suo cuore.

Colin, senza aggiungere nulla, uscì da quella casa. E così dalla loro vita insieme.

Scese di corsa i venti piani, senza sentire la fatica, era straziato e non riusciva a fermare le lacrime. Si ritrovò per strada, sotto la pioggia, ma non gli importò, continuava a correre senza meta, ma senza la forza di fermarsi. Aveva paura che se si fosse fermato sarebbe davvero caduto in pezzi, e non poteva permetterselo.
L'acqua piovana gli aveva bagnato tutta la canotta chiara, i capelli fradici erano appiccicati alla fronte e le gambe chiedevano pietà.
Decise di fermarsi in una casetta con lo scivolo di un piccolo parco vuoto, vista l'ora e la pioggia. Era seduto lì, al riparo dalla pioggia, rannicchiato su se stesso, singhiozzando.
Restò lì immobile per ore, non sentiva il freddo, l'unico gelo che lo terrorizzava era quello che sentiva sotto la pelle, fin dentro le ossa. Harry non gli aveva solo spezzato il cuore, ma gli aveva lacerato l'anima, fatto a pezzettini tutte le ossa, e ora si ritrovava a terra, colpevole di non essere in grado di rendere felice l'uomo che ama, ma ancora di più per essersi fidato di una persona disposta a tenere tutti quei segreti tranne il suo, tranne per lui. Piangendo tutte le sue lacrime, piangendo come mai prima di allora, capì che quell'amore era stato un errore. Il migliore, ma pur sempre un errore.

Il rumore della porta sbattuta gli arrivò alle orecchie come uno schiaffò in pieno viso.
Si guardò intorno, i cocci giacevano a terra, vittima dell'ira di Colin. Vide la pasta che gli aveva preparato sparsa per terra, il vino costoso, quello che sapeva adorasse, tutto sul tappeto, e osservando quel caos, si abbandonò finalmente alle lacrime.
Come avrebbe potuto spiegargli che l'amava così tanto da non poter continuare a nascondersi? L'amava così tanto da aver creduto di farsi bastare quel poco, che poco sicuramente non era, ma di certo non era abbastanza. Non gli avrebbe mai chiesto di rinunciare a Cher o a tutto quello che si era costruito per stare con lui. Ma allo stesso tempo non poteva mentire ancora, tutto quello lo stava distruggendo.
Gli aveva promesso di prendersi cura di lui, e Colin non capiva che lo stava facendo, lo stava proteggendo dal suo stesso amore. Perché l'amava così tanto da dovergli star lontano per non portare anche lui alla distruzione. Colin sarebbe tornato a casa, le sorelle avrebbero curato le sue ferite, lasciando, forse, solo qualche cicatrice. E tutto sarebbe tornato come prima di conoscersi. Sarebbero di nuovo stati il capitano Evans e il capitano Montgomery. Sarebbero tornati semplici nemici.
Lui sarebbe stato con Gwen e Charlotte, e poi negli Hampton con i suoi, sperando che un oceano di lontananza gli facesse dimenticare quegli occhi verdi e quei capelli perennemente disordinati. Più pensava a tutto questo e più le lacrime scendevano, rendendosi conto che non sarebbe stato per nulla facile dimenticare il biondino che tanto amava. Pur sforzandosi non ricordava com'era la sua vita prima di amare Colin, quel biondino gliel'aveva riempita così tanto che ora gli restava solo un enorme vuoto e sapeva bene di non poterlo colmare.

Prese una scatola e la riempì di quei cocci, senza preoccuparsi di tagliarsi con le scaglie di vetro, aggiungendo anche la candela spezzata in due parti. Invece di gettarla, mise il tutto nella parte più alta del suo armadio, aggiungendo anche quella cravatta che aveva raccolto all'ultima festa, ma tenendo sotto il cuscino la maglietta della squadra di Colin.
In quella scatola c'era la rabbia di Colin, e lui voleva conservarla.
Quella rabbia non era altro che l'ennesima dimostrazione d'amore, e lui doveva tenersela stretta, come un masochista, doveva tenere lì quel poco che gli restava di quell'amore finito.
Tornò sul divano, continuando a fissare le macchie lasciate dalla pasta e il tappeto chiazzato di rosso fino ad addormentarsi riscaldato dalle sue lacrime e cullato dai suoi singhiozzi.

Il campanello suonò ripetutamente fino a farlo svegliare.
Quando aprì la porta vide solo l'ombra di quello che solo il giorno prima era l'amore della sua vita.
Colin aveva gli occhi cerchiati da occhiaie profonde, e sembrava quasi un barbone senza barba. Era sporco e ancora un po' bagnato, ma anche così, agli occhi di Harry sembrò bellissimo.
Colin vide Harry vestito come la sera prima, e dal suo viso e dalle macchie ancora visibili sul tappeto, capì che anche lui non avesse passato una bellissima notte.
Ma era arrabbiato, si sentiva abbandonato. Non ne valeva la pena per Harry tenere quel piccolo segreto, non gli bastava il suo cuore, quindi non si meritava neanche la sua compassione in quel momento.
Lo scansò malamente per arrivare in camera da letto e prendere la sua valigia. Si era addormentato in quella casetta, e necessitava di una doccia, ma non avrebbe resistito altri cinque minuti in quelle mura, quindi non gli restava che andare in stazione e aspettare lì il suo treno, per tornare finalmente a casa.
"Dove hai dormito?"
Colin rise, quella risata che Harry aveva pregato Dio di non dover mai più riascoltare.
"T'importa qualcosa?"
E Harry avrebbe voluto gridare che si, gli importava. Che gli era mancato, anche se erano passate poche ore. Ma vedendo quello sguardo freddo capì che per il suo bene era meglio non rispondere.
Quando Colin raggiunse la porta, capì che davvero se ne stava andando. Non stava solo tornando dalla sua famiglia, stava andando via da lui, per sempre. Perché ad ottobre all'università avrebbe incontrato Evans, e non il suo Colin. Guardandolo un'ultima volta le parole gli sfuggirono dalla bocca, perché avrebbe fatto di tutto per stare altri due minuti con lui.
"Aspetta, ti accompagno alla stazione?"
Colin si girò a guardarlo per un lungo istante.
Stringeva il suo trolley in una mano, e l'altra già era sulla maniglia della porta.
Non disse nulla, continuò a fissarlo, fin quando non si ritrovò sul pianerottolo. Poi sbatté la porta, e prima che questa si chiudesse del tutto vide gli occhi sgranati e tristi di Harry che realizzavano la sua risposta muta.
Quel silenzio assordante stava urlando un disperato: "No!"



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