Agosto era il mese che più amava in assoluto. Da piccolo amava poter giocare con le sorelle tutto il giorno, montare la piscina in giardino e prendere il sole. Cenare sul prato guardando le stelle raccontando alla madre tutti i giochi che aveva fatto durante il giorno. Gli piaceva poter mettersi in posa per i disegni di Daphne senza preoccuparsi del tempo che scorreva, adorava aspettare le due settimane di ferie della madre per poter stare tutto il giorno insieme e organizzare piccole gite, o andare a dormire dai nonni.
Aveva sempre amato il mese di Agosto, tranne quell'anno.
Era sotto la doccia, l'acqua calda gli bagnava i capelli e il suo pensiero volò a quella mattina di parecchi giorni prima.
Era arrivato verso le dieci, e aveva aperto la porta di casa con la sua chiave sperando di non incontrare nessuno nel tragitto ingresso-bagno. Ovviamente nulla poteva andare come sperava, infatti, appena aperta la porta si ritrovò Daphne attaccata al collo. La strinse forte, con la consapevolezza che lei, come le altre sorelle, non l'avrebbe mai lasciato. Stephanie stava scendendo le scale, ma vedendo lo sguardo un po' perso di Colin si bloccò. Lo stesso fece Carol, fermandosi prima di abbracciarlo. Daphne mollò la presa, sentendo il pessimo odore (dopo averlo sniffato per bene) e puntò i suoi occhi in quelli del fratello.
"Che cavolo hai combinato?"
Carol ruppe quello strano gioco di sguardi che si stavano scambiando tutti e quattro.
"Niente, ho solo bisogno di una doccia".
Nessuno gli credette, e Carol per la prima volta, vedendo il viso del fratello completamente sconvolto e anche un po' perso, pensò di non aggiungere nulla.
Stephanie corse ad abbracciarlo, e Carol fece lo stesso, non commentando la puzza di pioggia e sudore che emana la sua pelle.
Sotto la doccia pianse le ultime lacrime che gli erano rimaste, forse gridò, si disperò. Si sentì una nullità, incapace di tenersi accanto l'uomo che amava. Si ripeteva di non essere abbastanza, di aver sbagliato tutto. Non doveva innamorarsi.
Era in lotta con se stesso, l'unica certezza era quel dolore che gli pungeva gli occhi, e massacrava il cuore. Si sedette sul pavimento freddo della doccia, restando lì. Non era sicuro che l'acqua che gli bagnava il viso fosse della doccia o fosse delle sue lacrime, sapeva solo che doveva reagire. Ma in quel momento preferì appoggiare la testa al muro e chiudere gli occhi. Aveva appena perso il suo primo vero amore, e questa consapevolezza lo fece singhiozzare più rumorosamente.
Chiuse il getto dell'acqua solo quando fu sicuro di poter gestire quei sentimenti che lo divoravano dall'interno.
Quando uscì trovò una merenda pronta, e nessuno chiese più nulla. La madre e Rob vedendo Colin camminare per casa come un'anima in pena pensarono bene di non fare domande, credendo a qualche delusione d'amore. Colin li ringraziò con piccoli accenni di sorrisi, sapendo bene che prima o poi l'avrebbero riempito di domande, sapeva di avere una famiglia impicciona quanto lui.
Quella sera le sorelle lo convinsero a dormire con loro, e lui fu felice di tuffarsi tra le braccia di chi davvero lo amava. Da quel giorno, non tornò più in camera sua per la notte per paura di sentire ancora il profumo di Harry sul suo cuscino, e iniziò a cucinare intonando canzoni tristi, ma non quelle dei The script.
Qualcuno chiese di Harry, come anche di Jason, e lui riuscì a tenere in piedi una farsa non indifferente, spostando l'argomento sul suo vero amico.
Quel ricordo lo fece sorridere. Quella era la prima doccia, dopo troppi giorni, dove non piangeva. Inevitabilmente però pensava, come ormai faceva troppo spesso, a Harry, e a come non riuscisse a perdonarlo. Era arrivato alla conclusione di non valere abbastanza per lui. La sera del litigio, il moro stava per parlare d'amore, ma come poteva amarlo se non era disposto a tenere un piccolo segreto per lui, quando ne manteneva per Gwen e Charlotte? Solo al pensiero di quelle due donne gli si ribolliva il sangue nelle vene. Dopo mesi scopriva che erano due persone diverse, ma quanto avrebbe voluto legare quel dannato moro al letto e costringerlo a raccontargli tutto. E magari poi ricompensarlo con altro. No. Non doveva pensare a questo. Per Harry lui era un peso, si era fatto dare la colpa, e andava bene. Ma se Harry davvero lo amava non avrebbe mai rinunciato così facilmente a quello che avevano creato.
Il problema, ora, era che lui lo amava, e anche tanto. Ma in quel momento tutto l'amore che provava per lui si stava trasformando in puro odio. L'uomo di ghiaccio non poteva fargli questo, non poteva entrare nella sua vita e poi rovinare tutto. Sarebbe tornato il capitano Evans, bastardate incluse. Harry non sapeva chi si stava mettendo contro.
Uscì dalla doccia e prese velocemente il cellulare mandando un messaggio a tutta la sua squadra. Con quelle poche parole aveva dato inizio alla guerra, e questa volta l'avrebbe vinta.
-E' ora di spremere le meningi, quest'anno li voglio vedere in ginocchio.
La scampanellata delle 12.24 poteva significare solo una cosa: Jason Smith era arrivato a casa Evans.
Carol si precipitò giù dalle scale e andò ad aprire la porta, travolgendo in un abbraccio il miglior amico del fratello.
"Oh Carol, ma cavolo sei diventata una donna, ora posso provarci senza sentirmi un pervertito!"
Lo schiaffo che gli arrivò sulla nuca gli fece capire che Colin l'aveva sentito e non era felice delle sue parole.
"Ma ciao Jason, non sei manco entrato e già dici stronzate?"
Carol se la rideva, anche se né a Jason né al fratello era sfuggito il lieve rossore sulle sue guance.
Arrivarono ad abbracciare il nuovo arrivato anche Stephanie e Daphne, iniziando a bombardarlo di domande alle quali Jason era felice di rispondere.
Colin notò che Jason era tornato al suo colore nero naturale ma con l'aggiunta di piccole ciocche viola. Orribili quei capelli.
"Jason ma i tuoi capelli sono favolosi!"
A quanto pare le sorelle non la pensavano nello stesso modo.
"Steph, so che hai un fidanzato, allora che mi racconti?"
Intenzionato a non ascoltare per la milionesima volta la meravigliosa storia della sorella, pensò bene di andare a preparare il pranzo.
Dopo pranzo trascinò Jason in camera per cedergli volentieri il proprio letto, ancora inutilizzato.
"Mi stai dicendo che posso dormire sul tuo letto? E io che mi ero affezionata a quella brandina!"
"Se ci tieni tanto la vado a prendere."
Jason si sedette sul letto e con il palmo della mano destra colpì il posto vuoto accanto a sé, nel chiaro desiderio di essere raggiunto.
Colin sbuffando prese posto dove indicato.
"Che sta succedendo?"
Colin sorrise amaramente.
"Come se non lo sapessi già."
Jason scosse la testa.
"Non so un cazzo! Il tuo messaggio ha fatto scattare tutti i miei allarmi. Ti ho lasciato meno di un mese fa felice e contento, con le rose che ti spuntavano dal culo per quanto stavi bene, e ora?! Sappi che ai tuoi messaggi 'abbiamo rotto ma sto bene' non ci crede proprio nessuno."
Colin abbassò la testa. Non era stato capace di condividere il proprio dolore col suo migliore amico, se ne vergognava quasi.
"Sono stato uno stupido ad innamorarmi di lui, e soprattutto a sperare che lui potesse vivermi senza pretendere nulla."
Jason gli circondò le spalle con un braccio per consolarlo.
"Io so di aver sbagliato, ma lui di certo non è un santo. Ma ora davvero sto bene!"
Jason sbuffò, ma lo strinse di più a sé.
"Stai così bene da dormire ancora con le tue sorelle e a cedermi il letto in cui hai dormito con lui"
Colin, inaspettatamente scoppiò a ridere.
"Hai ragione, devo tornare nel mio letto. Ti sei appena meritato la brandina!"
Jason rise con lui, facendo finta di non notare l'ombra di tristezza che attraversò gli occhi dell'amico.
Un baccano assurdo lo fece svegliare. Erano le sette del mattino, e in piena estate era impensabile che qualcuno fosse sveglio, ma quando notò la brandina vuota accanto al suo letto iniziò a preoccuparsi. Corse in cucina trovando Jason e Carol impegnatissimi a preparare dei waffles, mentre Stephanie leggeva la ricetta dal suo pc, e Daphne si riscaldava del latte.
"Che cavolo sta succedendo?"
"Ah, il bell'addormentato si è svegliato."
Colin si ricordò, solo in quel momento, quanto odiasse il suo amico di prima mattina.
"Sono le sette, perché siete già così attivi?"
"Carol si è rigirata nel letto tutta la notte, non ci ha fatto chiudere occhio."
Tutti gli occhi si puntarono sulla diretta interessata, mentre Steph le faceva la linguaccia.
"Avevo caldo, tutto qui."
Daphne nascose malamente una risata.
Colin non ci stava capendo nulla.
"Bionda dopo mi fai un ritratto? Oggi mi sento bellissimo."
Daphne scoppiò sul serio a ridere, mentre Colin si sedeva intorno al tavolo.
"Quando vuoi. Lo sai ho fatto un ritratto a Colin e al vostro amico Harry, ora ce l'ha lui, ha insistito tanto per averlo, ma ne ho fatto un altro, dopo ve lo faccio vedere."
Colin si irrigidì, si era completamente dimenticato di quel ritratto, e tantomeno che ce l'avesse Harry.
Jason subito cambiò discorso, ma notò lo sguardo furbo che si scambiarono le tre gemelle. Che nascondessero qualcosa?
"Jason allora questa colazione?"
"Ti sei appena alzato e già pretendi?"
Colin sbuffò, affiancandolo.
"Spostati faccio io, prima che questi waffles li mangiamo per cena."
Jason fece un po' di storie, sentendosi offeso, ma allo stesso tempo felice di vedere l'amico impegnato a non pensare a quel moro, ad impegnarsi a non soffrire.
Erano sdraiati sul prato, mentre le sorelle erano a giocare nella piccola piscina montata al centro del giardino. Guardarle lo rilassava, ma una vibrazione troppo rumorosa squarciò in due la sua tranquillità.
Jason, accanto a lui, recuperò il cellulare.
"Se è tuo padre digli di organizzare una partitella appena torniamo a Londra."
"Non è mio padre, ma glielo dirò, ama troppo essere battuto dal figlioletto."
Tutti e due risero a tutti i ricordi che avevano su quelle partitelle, che vedevano protagonisti dei ventenni contro degli ultra quarantenni, che in campo diventano tutti dodicenni.
"Chi è allora?"
Per la prima volta Colin vide Jason in difficoltà, a corto di parole o stronzate.
Subito si mise seduto guardandolo duramente, aveva un brutto presentimento.
"Non mi dire che è Luke"
Jason fece un sorriso tirato.
"Ok, non ti dico che è Luke."
Colin gli diede un piccolo pugno sulla spalla.
"Coglione. Almeno dimmi che non state parlando di me e Harry."
La faccia di Jason diede la risposta al biondino.
"Ma state scherzando spero?! Dammi quel cazzo di telefono, che vi state dicendo?"
Jason saltò all'in piedi, allontanando il cellulare dall'amico.
"Non sono tanto sicuro che vuoi saperlo."
Colin decise di mantenere una calma, che non aveva, sdraiandosi di nuovo al suo posto.
"Voglio saperlo invece, nulla potrà farmi star male più di quanto non sia già stato per lui, quindi parla."
Jason ritornò sdraiato.
"Luke mi ha detto che non riesce a contattare Harry, è preoccupato. L'ha sentito solo il giorno dopo il vostro litigio ed era sconvolto."
Colin ignorò il macigno sul petto, facendo segno a Jason di continuare.
"Sa che sta dai genitori negli Hampton solo perché gliel'ha detto il padre, sai che sono soci, quindi... ma gli ha anche detto che non si fa mai vedere, sta sempre sulla sua barca a vela."
Colin sorrise. Si ricorda di Jody, quella barca tatuata sulla pelle del ragazzo che ora non conta nulla per lui. Beh, prima o poi si convincerà di questo.
"In ogni caso, è arrivato meno di una settimana fa dai genitori, quindi non sappiamo dove sia stato le due settimane di luglio."
Ma lui sapeva dov'era stato, o almeno con chi. Ma preferì non aggiungere nulla.
"Raggiungiamo le gemelle?"
Jason annuì, incapace di consolare l'amico e lasciandogli fare quello che ormai faceva da quell'estate: mentire.
Era il sedici agosto e come tutti i sedici agosto della sua vita Colin si svegliava con l'odore di torta al cioccolato.
Era l'unico giorno dell'anno in cui le sorelle e la madre preparavano una torta dal mattino, e tutto questo solo per il compleanno dell'uomo di casa.
"Tanti auguriiiiii"
Un coro di auguri si alzò appena mise piede in cucina, e vedere le gemelle così spensierate, la madre e Jason con grembiuli improponibili rosa, gli fece davvero credere, per un momento, di poter tornare ad essere felice.
Era il sedici agosto, e come sapeva bene era il compleanno di Colin. E proprio per questo aveva lasciato il cellulare a casa, per essere sicuro di non cedere alla tentazione di chiamarlo.
In realtà aveva il cellulare spento da quasi un mese, l'aveva acceso solo qualche volta nella speranza di trovare un messaggio o una chiamata persa da parte di Colin, ma ovviamente trovava solo tremila chiamate e messaggi di Luke e degli amici.
Si era chiuso in una bolla tutta sua. Era stato due settimane con Gwen e Charlotte dalla madre di quest'ultima in campagna. Gwen con la sua dolcezza l'aveva distratto, ma era stato difficilissimo mascherare il suo dolore a Charlotte, che l'aveva praticamente costretto a raccontargli tutto.
Si era sentito un cretino a dire ad alta voce quanto amava il biondino, quando non aveva avuto il coraggio di dirlo al diretto interessato. Ma come poteva credere che la lontananza avrebbe potuto aiutarlo?! Era stato uno sciocco, per non dire un perfetto coglione, ad aver creduto anche solo un momento che lui e Colin potessero vivere una vita tutta rose e fiori. Lui, il ragazzo di ghiaccio, ridotto in quel modo. Per cosa poi? Per due occhi verdi, per delle fossette sulle guance, per un sorriso che ti fa scordare perfino il tuo nome. Per l'unica persona che ha davvero amato in vita sua. E non è stato manco capace di dirglielo in faccia.
Ci aveva provato, ma sarebbe stato egoistico dirlo mentre si stavano urlando contro. Eppure quello è stato il momento in cui l'ha amato di più, e odiato allo stesso modo.
Scuote la testa, per far andar via quei pensieri. Il mare è lì, intorno a lui, ad aiutarlo a ricostruire tutti i muri.
Parlando con Charlotte era arrivato ad un'importante conclusione, e doveva solo imparare a convivere con questa nuova consapevolezza. E in questo Colin c'entrava davvero poco.
Erano le sette e mezza di un'afosa serata estiva, erano passati esattamente due giorni dal compleanno del biondino, e Harry ancora non era riuscito ad accendere il cellulare, neanche per il controllo disinteressato.
Aveva appena attaccato la barca al molo, e voleva solo tornare a casa per una doccia veloce, far sapere ai suoi che anche quel giorno non era morto in acqua, e poi andare a cena insieme ai pescatori, in un locale all'aperto proprio accanto al porto.
Ma tutti i suoi programmi passarono in secondo piano quando sentì una voce fin troppo familiare.
"Ma allora sei vivo!"
Alzò gli occhi e vide un corpo completamente sdraiato sul molo, proprio di fronte al posto della sua barca. Il cappello di paglia gli copriva il viso, ma ovunque avrebbe riconosciuto il suo migliore amico.
"Hai aspettato quasi un mese per venire a cercarmi, sto perdendo importanza?"
Dicendo questo lo strinse tra le braccia, rubandogli il cappello e poggiandolo sulla sua testa.
Luke lo guardò un po' preoccupato.
"Volevo solo lasciarti un po' di tempo. Ma ora il tempo è scaduto. Muovi il culo, tua madre ci aspetta tra mezz'ora per cena."
Harry sbuffò, e Luke sapeva il perché.
"Prima o poi devi cenare con loro, almeno ci sono io."
E il sorrisino che seguì quelle parole fecero capire ad Harry che l'amico era lì davvero per salvarlo da se stesso. Che poi 'salvarlo' era un parolone. Lui stava benissimo con la sua barca, il suo mare e i pranzi consumati insieme ai pescatori. Viveva benissimo con il cellulare spento, con i suoi pantaloncini di lino usati per la sera, e i costumi monocolore per le gite in barca. Stava imparando a convivere con la mancanza di una persona, con l'assenza di un pezzo del suo cuore, e se la stava cavando bene. O almeno così pensava, prima di vedere quello sguardo tra il preoccupato e il terrorizzato negli occhi di Luke.
Non fece storie, e si ritrovò a tavola con i genitori e Luke per la prima volta in tutta l'estate.
Il padre continuava a parlare con l'amico di affari, e chiedendo come stessero i suoi genitori, come se non li avesse sentiti l'ora prima. La madre, invece, aveva lo sguardo che gli aveva riservato dopo la morte di Chris, quello sguardo tra il "sono preoccupata, come stai?" e il "vorrei fare qualcosa, ma non so proprio cosa".
Sorrise alla madre, infondo non era morto nessuno, non poteva riservargli quello sguardo. No, Colin questo non se lo meritava.
Aveva detto tre parole in croce per tutta la durata della cena, ma fortunatamente Luke riuscì a tenere l'attenzione su di sé.
Erano usciti, e ovviamente Harry l'aveva portato al porto.
"Harry, come stai?"
"Bene?"
Luke lo fulminò con lo sguardo.
Il moro sospirò, prima o poi avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
"Non lo so, ho il cuore a pezzi. L'avresti mai creduto? Io innamorato e distrutto."
Calciò via, in un moto di stizza, un sassolino.
"Cazzo, questo non sono io! Che diavolo mi ha combinato quello str... vedi? Non lo riesco manco a chiamare stronzo!"
Si portò le mani nei capelli.
E menomale che pensava di star meglio!
Luke lo abbracciò, e fu sorpreso di non sentirlo piangere.
Harry si riprese velocemente.
"Grazie, per essere qui."
Luke sorrise timidamente. La loro amicizia non aveva mai avuto bisogno di simili dimostrazioni.
Harry si avvicinò al molo, sedendosi con i piedi a penzoloni, a toccare quasi la sua barca con i piedi. Luke velocemente gli fu accanto.
"Tu come stai?"
Ok, stava male, ma sapeva che anche Luke non se la passava poi tanto bene.
"Bene, in confronto a te posso considerarmi l'uomo più felice della Terra."
Entrambi risero.
"Penso che mio padre ha capito qualcosa. Cioè ho dovuto chiedere a lui di te e di Cher, perché entrambi non rispondevate. Vi ho odiati!"
"Hai chiamato Cher? Non eri quello 'No, ad ottobre ci penso, mi godo l'estate!'"
Luke lo guardò fintamente male, per poi fare un ghigno e dire:" Zitto tu, che sei sempre stato quello 'l'amore? No preferisco le scopate'"
Harry rise, l'amico aveva ragione, e proprio le scopate l'hanno fregato. Bella merda.
"Embè, tuo padre che dice di Cher?"
Luke muoveva le gambe sospese nel vuoto come un bimbo di cinque anni, ed era stranamente tenero.
"Beh, sta a Parigi"
Harry lo guardò con un sopracciglio alzato.
"Questo già lo sapevamo"
Luke guardò il mare, e si perse per un po'.
Quando riprese il discorso Harry sussultò un po', erano passati dieci minuti buoni.
"Sta facendo la bella vita, in tutti i sensi."
Harry allargò le labbra in un sorriso.
"E quale sarebbe la novità?"
"Sarà stupido, ma forse mi aspettavo che smettesse. Facendo così mi sta solo facendo capire che non gliene frega nulla di me, ancora una volta."
Fu il turno di Harry di abbracciare l'amico.
"E se, invece, anche lei ha pensato 'ci penso ad ottobre' come avevi deciso tu inizialmente?"
Luke ci pensò un po' su.
"Non mi voglio illudere. Anche perché, parliamoci chiaro, lei è come Colin, non rinuncerà a quello che ha per me."
Harry si mosse a disagio.
"E' diverso. Colin lo fa per delle ragioni precise, Cher invece? E poi se è la popolarità che vuole, tu sei quasi più popolare di me, quindi non sarà di certo questo il problema."
"Non lo so, ho solo paura di ridurmi come te e Colin, distrutti e perennemente in lacrime, senza offesa eh"
Harry lo spinse un po' sputando un "ehi, non esagerare."
Passarono pochi minuti e poi Harry decise di fare 'La Domanda'.
"Sai come sta?"
Luke annuì.
"Proprio come te, uno schifo."
Sentì il cuore stringersi in una morsa ancora più stretta di quella di cui era riuscito ad abituarsi in quei giorni.
"Senti, Harry, avevi le tue ragioni per farlo, non sentirti in colpa. Ora tocca a lui, tutto quel nascondervi, mentire e far finta di non amarvi ti stava distruggendo."
Uscì una risata nervosa dalla bocca del moro.
"Più distrutto di così?"
Luke non rispose, ma seguì il suo sguardo, ormai perso tra il blu delle acque salate.
Era passata un'ora ed erano ancora seduti lì, a fissare un punto lontano, quando Harry disse:" Ho capito di essere gay."
Luke, per quanto volesse essere un buon amico o una persona con un minimo di tatto, scoppiò a ridere, rivelandosi un bambino di quindici anni, nel corpo di un ventunenne alto e muscoloso.
Harry lo fulminò con lo sguardo.
Luke si asciugò le lacrime formate agli angoli degli occhi.
"Scusa, scusa non volevo davvero ridere ma, cazzo Harry, ora l'hai capito? Dopo giorni che passi sul filo del mare? No davvero, lo capisci ora? Sai io l'avrei iniziato a capire quando hai infilato la bestia che hai tra le gambe nel culetto di un biondino, maschio!"
Harry sbuffò.
"Sei un cretino, Luke. Che credi che non mi sono chiesto che cazzo ero? Etero, bisessuale o frocio?"
Luke alzò le spalle.
"Sei gay e quindi? Almeno me lo sei venuto a dire, non ho dovuto trovarti ancora con un cazzo in bocca."
Ok, aveva ragione.
"Si, comunque ci ho pensato molto. Parlando con Ch... un'amica, mi sono reso conto che non scopo con una ragazza da una vita. Ero convinto di rifiutarle perché ero innamorato di Colin, invece mi sono accorto di non provare più nulla. Forse per questo non ho mai trovato la ragazza giusta, e appena ho provato con un uomo, beh è successo quello che è successo."
"Perché non fai come Colin e provi con qualcun altro? Cioè se non ti si è mai rizzato sotto le docce con la squadra, forse devi cercare qualche prova prima di urlarlo al mondo che sei frocio. E le cose con Colin non contano."
Harry nascose la rabbia che si stava impossessando del suo corpo al ricordo di Colin tra le braccia di uno sconosciuto.
Poi si guardò le scarpe, prima di prendere coraggio e parlare.
"In realtà non è vero che non mi si è mai rizzato sotto le docce."
Luke lo guardò sconvolto.
"Cazzo, amico, lo so che sono perfetto e ho un fisico scolpito, ma non puoi dirmelo così!"
Harry non poté far a meno di ridere dell'espressione e della poco modestia dell'amico.
"Lasciami spiegare. Non mi si è mai rizzato, semplicemente perché io non vi guardavo. Ho sempre pensato che non mi sarebbe piaciuto, quindi evitavo. Ma dopo la prima volta con Colin, beh, ho iniziato a buttare l'occhio. Non avevo delle erezioni perché non mi soffermavo, tipo guardavo il culo di Jim e pensavo ' quello di Colin è più bianco e più grande, si preferisco il suo', e quindi distoglievo lo sguardo e pensavo ad altro. Ma se mi fossi soffermato, mi si sarebbe rizzato volentieri."
Luke non era per nulla sconvolto. Cioè si aspettava una cosa del genere.
"Sai ho sempre un po' invidiato Colin. Lui sapeva di essere bisessuale, non ha mai messo in dubbio la sua attrazione per le donne, quella con me era solo una cosa in più. Mentre per me è sempre stato più difficile, anche perché essendo un tipo più riservato non mi piaceva parlarne, e lui sapeva che c'erano argomenti da non trattare con me, in questo era proprio bravo, mi capiva sempre" scosse la testa alle sue stesse parole. "Meglio dire: pensavo mi avrebbe sempre capito, invece l'unica volta che davvero doveva farlo, non l'ha fatto."
Dicendo questo strinse le mani a pugno e strizzò gli occhi, in un chiaro segno di voler dimenticare le parole appena pronunciate.
L'amico capì che era meglio portare la conversazione sull'argomento iniziale.
"Quindi stai vivendo la tua sessualità ora?"
Harry scosse la testa.
"Sto solo imparando a conviverci. Non ho intenzione di scoparmi qualcuno, non ora almeno. Non lo so, mi sentirei come un traditore nei confronti di Colin, anche se non stiamo più insieme, che poi quando mai ci siamo fidanzati?!" pensandoci ancora si rispose da solo con un "Lasciamo perdere, và".
E Luke, da buon amico qual era, lasciò perdere. Almeno per quella notte.
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How many secrets can you keep?
FanfictionErano anni che,in quell'università, la squadra di calcio e quella di basket erano in guerra,il loro odio veniva tramandato di generazione in generazione. Ci sono dei segreti,però, che devono restare tali, e altri,invece, che continueranno a distrugg...