Colin era stato tutto il pomeriggio a rigirarsi tra le mani il bigliettino con l'indirizzo dei genitori di Harry.
Lottava contro l'istinto di mettersi in auto e correre da lui, mentre la sua parte razionale voleva lasciare, per una sola volta, il proprio spazio al moro.
Harry si era nascosto dai genitori intenzionato a non farsi trovare, e lui chi era per distruggere il suo rifugio? Eppure voleva solo sapere come stesse, stargli vicino come aveva fatto lui nei suoi momenti più bui.
Questo continuò a ripetersi mentre percorreva la strada verso casa Montgomery, nel tentativo di scacciare i pensieri negativi.
E quando scese dall'auto e vide il viso del ragazzo che amava solcato da un debole sorriso capì di aver fatto la scelta giusta.
Lui doveva essere al suo fianco, e quello era esattamente il posto in cui doveva essere.
"Ti stavo aspettando."
Quelle parole non fecero che dare conferma ai suoi pensieri.Harry scese al piano di sotto e aprì la porta d'ingresso, invitando tacitamente Colin ad entrare.
Il biondino si costrinse a non spalancare la bocca: quella non era una casa, ma una reggia!
Il cestista sorrise fra sé e sé notando gli occhi sgranati di Colin, ma non disse nulla per non metterlo in soggezione.
"Bella casa" si costrinse a dire mentre attraversavano l'immenso salone che portava alle scale.
"Devi dirlo a mia madre, non a me." Alzò le spalle.
Colin annuì, perdendosi a guardare i quadri e le foto appese alle pareti.
Si soffermò su un dipinto di Harry sulle gambe della madre comodamente seduta, con accanto il marito e il figlio maggiore al lato della poltrona.
Ad occhio poteva avere otto anni, forse nove, nulla di più. Era così diverso, così sorridente e con una luce nello sguardo che gli aveva visto raramente. Ma gli occhi, azzurri come il ghiaccio, erano sempre gli stessi. Sempre così suoi anche disegnati da una mano estranea.
Portò la sua attenzione su Chris, ma distolse velocemente lo sguardo sapendo quanto ad Harry desse fastidio la sua invadenza.
"Ho sempre odiato quel dipinto. Non siamo nell'Ottocento dove si fanno i quadri della famiglia riunita."
Colin sorrise più rilassato.
"In effetti è una esagerazione, ma siete carini."
"Sono sempre stato bello, è una croce che dovrò sempre portarmi dietro." Ci scherzò su, stanco di quella tensione che li accompagnava.
Il biondino rise e Harry fissò intensamente le sue labbra, felice di essere causa di quella bellissima espressione.
Avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo, non poteva pensare certe cose. Quell'angioletto biondo che aveva accanto era un diavolo con le corna affilate, non doveva farsi tentare ancora.
Ma più lo guardava e più capiva che era troppo tardi.
Sapeva che avrebbe ceduto sempre dinanzi a quel dolce sorriso perché, nonostante la continua sofferenza, non aveva mai smesso di essere suo.
Harry lo condusse sul balconcino della sua stanza, e si sedettero su due sdrai non molto vicini.
Ingenuamente pensavano che la lontananza fisica potesse servire a non cedere alle tentazioni.
"Come mai sei qui?" chiese, pur conoscendo bene la risposta.
"Mi stavi aspettando, quindi immagino tu lo sappia." Rispose sincero.
Harry piantò il suo sguardo liquido come il mare in quello quasi timido di Colin.
Si osservarono senza vergogna, scrutandosi fin dentro l'anima, cercando di capirsi attraverso quel fugace contatto.
"Io ti aspetto sempre, ma sempre per motivi sbagliati."
Il moro ruppe la magia e il gioco di sguardi con parole che potevano far invidia ad una pugnalata nel petto.
"Volevo sapere come stessi, e visto che sei irraggiungibile, ti sono dovuto piombare addosso."
Colin abbassò gli occhi, incapace di difendersi come avrebbe voluto. Sentiva lo sguardo insistente di Harry sul suo viso, sicuramente voglioso di scoprire fin dove potesse far male la sua voce. E si chiese se il moro avesse visto un pezzo del suo cuore farsi in briciole.
Sapeva di meritarsi l'odio e l'indifferenza, ma ora era lì per chiedergli scusa e per dimostrargli quanto lo amasse, ma non gli stava affatto rendendo il lavoro facile.
Harry spostò i suoi occhi sulla Luna, come se potesse trovare in lei le risposte che cercava da tempo.
"Sto bene" disse dopo un po', spezzando il silenzio pesante.
"Non ti credo" ribatté il biondo senza neanche rifletterci.
"Non ho bisogno di essere consolato, grazie." La risposta acida del moro non si fece attendere molto.
"Non ti voglio consolare, voglio solo esserci per te!" Colin avrebbe voluto aggiungere molte cose, ma sapeva che non era il momento adatto. "E ti prego, non dirmi che è troppo tardi."
"Ma lo è..." ma nessuno ci stava credendo.
Colin si appoggiò allo schienale e seguì lo sguardo del moro, ritrovandosi a fissare anche lui la Luna, sperando davvero di ricevere una risposta.
Ma sapeva bene che le uniche risposte che desiderava erano quelle che poteva dargli il ragazzo al suo fianco.
"Harry..." cominciò debolmente ma venne interrotto dalla voce profonda del moro.
"No, Colin! Tregua, ok? E' stata una giornata pesante e in questo momento non ho bisogno di altri drammi o di te che mi ripeti le tue scuse. Ho davvero bisogno di tranquillità. Puoi, almeno per cinque minuti, essere solo e semplicemente mio amico?" parlò incerto.
"Sarò tuo amico allora. Sarò tutto quello di cui hai bisogno questa sera" rispose velocemente Colin, mettendosi dritto a sedere. Voleva stargli accanto, e se questo significava essergli solo amico andava bene.
Pensandoci, non andava affatto bene! Lui non voleva essergli amico, lui voleva essere la sua ragione di vita, il suo angelo, il suo cuore. Insomma, voleva essere tutte quelle cose sdolcinate che fingeva di odiare da sempre, ma che da quando amava Harry avevano iniziato a piacergli.
Ma l'aveva chiamato 'Colin', e il suono del suo nome sulle labbra di Harry non poteva essere più dolce. Così si convinse che per una sola sera poteva farcela.
"Ho detto ai miei genitori di essere gay."
Harry parlò a voce bassa, sembrando rilassato nonostante il peso delle sue parole.
Colin boccheggiò a quella rivelazione.
Harry aveva davvero preso in mano le redini della sua vita, pretendendo la sua libertà e la sua identità.
Il calciatore non poté che essere fiero dell'uomo seduto al suo fianco.
Avrebbe voluto chiedere, fare tremila domande come suo solito, ma sapeva bene che con Harry bisognava aspettare. Tra loro funzionava così, anche se lui spesso e volentieri aveva bruciato tutte le tappe, calpestando le volontà dell'altro.
Ma quella volta decise di attendere.
"Se devo dirla tutta, è andata bene." Il moro poco dopo iniziò a spiegare, continuando a guardare la Luna piena di quella sera non molto calda.
"Mio padre si è alzato da tavola e da allora non mi parla, mia madre l'ha seguito." Finì sempre con tono tranquillo.
Colin attese un altro po', sperando in un continuo, ma non ottenne più nulla.
"Tu come stai?" chiese infine, arreso al suo silenzio.
"Bene. Te l'ho già detto prima" rispose troppo velocemente.
Colin sbuffò "Magari se mi guardassi negli occhi mentre lo dici potrei anche far finta di crederti!"
Harry rise piano, e si voltò verso il biondino.
Si guardarono come se si vedessero per la prima volta dopo anni. E forse era davvero così, ora erano persone nuove. Nuovi problemi, nuove piccole incomprensioni, nuovi contrastanti sentimenti viaggiavano tra loro. Eppure si ritrovavano sempre uno di fronte all'altro ad aprire il loro cuore.
Erano persone nuove, ma l'uno per l'altro erano sempre gli stessi: amici, confidenti, amanti.
"Come stai?" richiese convinto.
Harry riprese la sua solita espressione fredda dalla quale non trasudavano emozioni.
Colin aveva sempre trovato difficile leggergli dentro, ma ormai aveva capito che il moro utilizzava quella maschera come scudo per tutte le sue paure.
Quando avrebbe capito che con lui quella maschera non serviva più?
"Sto bene perché i miei genitori stanno reagendo come hanno sempre fatto. Appena qualcosa non va secondo i loro piani fanno calare il silenzio" riprese a parlare il cestista, con la sua solita calma fredda.
"Mi sarei preoccupato se papà avesse gridato, o se mamma avesse pianto davanti a me." Si passò le mani tra i capelli più lunghi di qualche centimetro. "Loro usano il silenzio come difesa, e a me va bene. Sono anni che non parlano di Chris perché ancora non superano del tutto il lutto. Tra qualche giorno torno a casa mia, non mi lasceranno in mezzo ad una strada altrimenti dovrebbero dare delle spiegazioni ai loro amici altezzosi, quindi se non vorranno più parlarmi andrà bene. Ormai ho perso i miei genitori anni fa, questo sarà solo l'ultimo passo verso un allontanamento definitivo" concluse con la voce spezzata.
"Io penso che debbano solo metabolizzare l'accaduto. Resti comunque il loro unico figlio." Cercò di consolarlo il biondo, avvicinandosi piano.
"Metabolizzare? Sono anni che mio fratello è morto e la sua stanza è esattamente nelle stesse condizioni di quando lui ci viveva!" alzò leggermente la voce Harry.
"Ma tu non sei morto, Harry!" sboccò Colin.
Non voleva urlarlo, ma Harry era sconvolto e non ragionava.
Finalmente la maschera stava cadendo dal suo bellissimo volto triste.
Colin annullò tutte le distanze e gli spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Come aveva fatto a non accorgersi di come erano cresciuti i suoi capelli? Gli incorniciavano il volto rendendolo ancora più misterioso.
"I tuoi genitori hanno subito un brutto colpo con la morte di Chris, non puoi biasimarli se affrontano il loro dolore in questo modo. Ma tu sei diverso. Tu sei vivo! Dagli del tempo, parlaci e capiranno."
"Non tutte le famiglie sono belle e unite come la tua." Disse sconsolato abbassando leggermente gli occhi.
L'aria si riempì della risata amare del biondino.
"Bella famiglia? Ti sei già dimenticato che mio padre ha cercato di rovinarmi la vita?"
"Sei stato bravissimo a non permetterglielo" disse, riportando lentamente il suo sguardo su Colin.
"C'eri tu accanto a me, Harry. Tu non gliel'hai permesso, le mie sorelle non gliel'hanno permesso. Io ero solo paralizzato dalla paura di perdere tutto."
Si stavano fissando, come se riparlare di quell'argomento necessitasse di un appiglio forte quanto i loro occhi, il loro legame.
"Ma non è successo..." sussurrò il moro debolmente.
"E non succederà neanche a te!" gli sorrise debolmente: "Inutile mentire con me, tu hai paura, vero?"
Lo sguardo intenso di Harry si riempì di terrore.
Colin gli aveva letto dentro. Non era la prima volta, ma si sorprese di quanto amasse la sensazione di essere capito e ascoltato.
Amava, soprattutto, la sensazione che fosse proprio Colin Evans a leggergli l'anima.
"Ho paura..." e lo disse piano ma convinto.
Ogni difesa cadde. Niente più bugie e maschere.
C'erano solo loro due, la Luna e la verità.
"Ho paura di perdere anche loro. Io avevo bisogno di dirglielo, volevo che mi abbracciassero e che mi dicessero che non importava, che dopo Chris non potevano perdere anche me. Ma non è successo nulla, anzi, si sono comportati esattamente come pensavo, anzi, meglio dire: come temevo."
Colin gli strinse le mani nelle sue e ne baciò delicatamente il dorso.
Quel gesto sostituì ogni tipo di parola di conforto.
"I miei genitori non hanno mai visto una mia partita di basket da quando indosso il numero di Chris. Ma come potevo non usarlo? Loro non mi parlano di lui, quando io vorrei ricordarlo sempre. Portare il numero otto è come avere mio fratello che mi guarda, che mi guida e mi consiglia su un passaggio o un tiro. Ho dovuto sostituire con un fantasma il ruolo di mio padre e di mio fratello."
Colin non sapeva proprio cosa dire. Harry gli stava confidando le sue piccole paure, e lui non sapeva come proteggerlo da tutto quel dolore.
Il moro portò i suoi occhi sulle mani intrecciate a quelle del biondino.
"Mi sono liberato di tutti i miei segreti a quale prezzo?! Se perdessi anche i miei genitori cosa mi resterebbe? Charlotte, Gwen, Luke... e poi?"
"Io. Ti resterei io." Disse con un filo di voce.
Harry rise piano scuotendo la testa, sciogliendo il groviglio di mani.
Colin era ferito dalla risata e dall'allontanamento delle mani di Harry, ma dovette mettere da parte i suoi sentimenti feriti per continuare ad ascoltare il moro.
"I miei rivogliono la loro vecchia vita. Rivogliono la loro famiglia unita. E io non gli sto dando questa opportunità."
"Sono loro che se ne stanno privando. La famiglia è famiglia, anche se un membro viene a mancare, anche se le cose non vanno come si vuole. Questa è famiglia, stringere i denti e stare insieme nonostante tutto."
E Harry ci credette sul serio a quelle parole, perché se lo diceva Colin che di problemi familiari era un esperto, allora doveva essere tutto vero.
"Allora la mia non è mai stata una vera famiglia." Concluse amaramente.
Colin riprese con forza le sue mani e le massaggiò: "Guardati: non credi neanche tu a quello che dici. Tuo padre è stato un padre quando ti ha insegnato a giocare a basket, e tua madre è stata una vera madre quando ti ha preparato il pranzo. I tuoi genitori ti vogliono bene, e te ne vorranno sempre."
Harry lo continuava a guardarlo dubbioso, senza evitare il loro contatto.
"Fidati di me, solo questa volta" disse infine Colin.
E Harry si fidò, perché lo amava, perché forse aveva ragione. Si fidò perché si era sempre fidato, e nulla era cambiato.
"Perché sei qui?" ripropose la stessa domanda di molto tempo prima, un po' per spezzare il silenzio, un po' per cambiare discorso.
Colin continuò a guardare quel viso che gli era tanto mancato:" Ho detto alla mia squadra di noi."
Harry spalancò gli occhi.
Colin non aveva detto 'ho detto alla squadra di essere bisessuale', no! Aveva detto 'Ho detto alla mia squadra di noi.' Aveva usato proprio la parola 'noi'.
Come se non gli importasse nulla della sua omosessualità, ma solo del loro rapporto e della voglia di urlarlo al cielo che loro erano insieme.
Noi.
Continuò a ripeterselo nella testa, sentendosi anche un po' stupido nel credere che quel noi potesse davvero essere reale.
"Davvero?" chiese ancora incredulo.
Colin lo continuò a fissare mentre sorrideva e annuiva.
"Stasera non voglio parlare di questo. Tu hai bisogno di un amico e io lo sarò. Volevo solo che sapessi che dopo stasera ti dimostrerò quanto posso essere più di un amico. E sarò la cosa migliore per te."
Harry arrossì.
Il ragazzo di ghiaccio sentì le proprie guance andare a fuoco e non riusciva a smettere di sorridere.
Era stato dubbioso sui sentimenti di Colin, ma finalmente il biondino aveva fatto un passo verso di lui, anzi verso di loro, e questo aveva spazzato via tutti i suoi brutti pensieri.
Era solo un piccolo passo, ma era troppo felice per porsi altre domande.
Gli costava tantissimo non lanciarsi su di lui e farlo suo su quel balconcino, ma apprezzava il fatto che Colin avesse deciso di occuparsi di lui senza pretendere nulla.
Colin Evans, proprio lui, era riuscito a far arrossire e a far ridere come un idiota il ragazzo di ghiaccio, e se queste non erano le vere soddisfazioni della vita, Colin, davvero non sapeva quali potessero essere.
"Stasera dormo con te però, non ti lascio da solo in questa stanza immensa" disse con un filo d'ironia continuando a godersi lo sguardo imbambolato del moro.
E Harry annuì, uscendo dal suo stato di sgomento e tirandoselo tra le braccia.
Non voleva più restare solo. Mai più senza quel 'noi'.
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How many secrets can you keep?
FanficErano anni che,in quell'università, la squadra di calcio e quella di basket erano in guerra,il loro odio veniva tramandato di generazione in generazione. Ci sono dei segreti,però, che devono restare tali, e altri,invece, che continueranno a distrugg...