Colin guardava con occhi tristi il suo campo.
L'erbetta sintetica falciata dava mostra del terriccio sottostante. Le linee bianche che delineavano il campo erano solo un lontano ricordo e le porte a terra, cadute come se si fossero ripiegate su se stesse, incapaci di compiere il proprio lavoro in un campo che non poteva essere più considerato tale.
"Complimenti capitano, il tuo fidanzatino è stato capace di distruggere l'unico luogo in cui potevamo davvero essere una squadra!" iniziò Jimmy.
Colin trattenne un grido di frustrazione.
"Dove vai, Jimmy?" chiese Tom, ancora distratto dall'osservare l'ennesimo scherzo riuscito sfortunatamente bene.
"Dove vado?! Vado a fare giustizia come abbiamo sempre fatto! Non me ne fotte un cazzo di quello che pensate, io so solo che i cestisti ci hanno tirato un colpo basso. Se ve lo foste dimenticato tra due giorni abbiamo una partita e abbiamo bisogno di un campo per allenarci, ma per colpa loro non possiamo farlo!"
Tutti ammutolirono vedendo le fiamme negli occhi del compagno. Aveva ragione e nessuno ebbe il coraggio di ribattere.
Jimmy si guardò intorno e vide il coach lontano da loro, intento a cercare un modo per farli allenare nonostante il disastro. Ma lui non voleva questo, lui voleva vendetta.
Si allontanò con pochi ragazzi e nascose un sorriso compiaciuto quando venne raggiunto dagli altri.
Colin era furioso. Che cazzo saltava in mente ad Harry? Ok, si facevano gli scherzi, ma questo era davvero troppo!
Era una strana regola taciuta da entrambe le squadre: si disprezzavano, ma se dovevano fare uno scherzo che coinvolgeva il campo o la palestra si informavano prima che mancasse almeno una settimana alla partita, in modo da non interferire troppo con gli allenamenti ed eventuali partite alle porte.
Harry aveva ignorato l'unico accordo che avevano come capitani, e allora come capitano avrebbe fatto giustizia.
Jimmy spalancò le porte della palestra e dichiarò guerra con un urlo sovrumano.
Colin ebbe solo il tempo di dirgli: "Lascia Harry a me."
Quando tutti si buttarono nella mischia vide Jason discutere animatamente con Luke, senza alzare le mani.
Lui si avvicinò ad Harry, che sembrava leggermente confuso, con i pugni chiusi lungo i fianchi. Voleva provare a parlargli, chiedergli spiegazioni senza perdere le staffe.
"Che ci fate qui? Avete finalmente capito l'inutilità del calcio e volete vedere l'allenamento di uno sport vero?" lo beffeggiò Harry.
"Harry stai attento a quello che dici!" Colin rispose alla provocazione a denti stretti.
Harry aveva la palla tra le mani ed era leggermente sudato. Avevano interrotto il loro allenamento e, nonostante lo trovasse terribilmente attraente, dovette lottare contro l'istinto di spaccargli la faccia.
Lo amava, ma era l'unica persona al mondo in gradi di fargli saltare i nervi in due secondi. E anche a renderlo felice con la stessa velocità. Ma questo fece finta di non averlo pensato, perché era incazzato nero.
"Harry? Wow mi hai chiamato per nome davanti a tutta questa gente, che ti sta succedendo Evans?" continuò a recitare, nonostante Colin avesse il dubbio che non stesse davvero fingendo.
"Ma sta zitto! Dimmi solo se hai fatto tutto questo casino perché sei arrabbiato con me" chiese infine, trovando difficile mantenere la calma quando aveva davanti non il suo Harry ma il ragazzo di ghiaccio.
"Quale casino?" chiese confuso.
Colin gli si avvicinò pericolosamente. Non voleva essere preso in giro, non in quel modo e non in quel momento.
"Sai di cosa sto parlando. Solo tu potevi ridurre il campo in quel modo indecente!" finì trattenendo le grida di frustrazione.
Harry scoppiò a ridere. Chiunque poteva notare la finzione di quella risata, forzata per evitare di mostrare dei sentimenti più profondi.
"Evans, pensi davvero che tutto giri intorno a te? Mi dispiace deluderti, ma non è così!" disse sprezzante.
"Smettila, cazzo!" lo prese per le spalle e lo bloccò. "Ora mi dici che cazzo ti è saltato in mente? Tra qualche giorno abbiamo una partita in casa, dicci tu come ci dobbiamo allenare!"
Ecco. Le staffe non erano andate perse, ma proprio lanciate per aria.
"Non sono affari miei." affermò con freddezza scrollandosi le sue mani di dosso e guardandolo malissimo. "E poi non ne so niente, come al solito sei arrivato alle tue conclusioni, ma io non c'entro nulla! Mettitelo in testa, fottuto Evans!"
"Oddio Harry smettila, mi chiamo Colin, e ci ho messo un po' per convincerti a chiamarmi così, quindi, per l'amor del cielo, chiamami C-O-L-I-N" si fermò a riprendere fiato per poi ricominciare: "Siete stati voi, ammettilo cazzo!"
Harry lo stava guardando con un'espressione tra lo sconcertato e l'infastidito, quando entrambi i coach entrarono in palestra accompagnati dalla voce del preside.
"I capitani nel mio ufficio, subito!"
Forse stavolta non l'avrebbero passata liscia.
"Prego accomodatevi" li invitò la voce ferma del preside.
Colin e Harry si scambiarono un'occhiata dubbiosa, prima di sedersi sulle sedie di fronte alla scrivania, dove era appoggiato l'uomo bassino e paffuto.
"Sono amareggiato per non dire incazzato nero con voi. Ma vi rendete conto di dove vi sta portando questa storia? Ho lasciato correre troppe volte, quindi sono costretto a prendere seri provvedimenti." Parlò mentre girava intorno alla scrivania e prendeva posto sulla sua sedia.
A quelle parole sia Colin che Harry trattennero uno sbuffo.
Spesso si erano ritrovati in situazioni simili, e questa non sarebbe stata diversa dalle altre.
O almeno così credevano loro.
"I vostri colleghi sistemeranno il campo e puliranno da cima a fondo il campus sperando, stavolta, di ottenere risultati migliori delle altre volte. In realtà ero dell'idea di sospendere entrambe le squadre per una settimana, ma i coach hanno insistito dicendo che avevate le partite e non era il caso."
Colin sospirò sollevato. Una sospensione equivaleva ad un guaio visto la sua borsa di studio, ed era felicissimo di averla scampata.
"Quindi ho deciso di sospendere solo i due capitani."
Colin pensò di svenire. O vomitare. Anche piangere e pregare non gli sembrava una cattiva idea.
"Preside, la prego, io sono qui con una borsa di studio, con una sospensione potrebbero non accettarla più e io... Oddio, Harry dì qualcosa." Colin era disposto a scongiurare in ginocchio, ma non poteva permettersi una sospensione.
"Evans mi dispiace ma vedo che la punizione sta già dando ottimi frutti se sta chiedendo aiuto al signorino Montgomery." Affermò compiaciuto il preside.
Colin guardò implorante Harry. Cosa poteva fare? Quello incazzato doveva essere lui che si ritrovava sospeso senza aver fatto niente di male.
Fece solo una smorfia pensando che non era nemmeno la prima volta che Colin lo accusava ingiustamente. Le sue previsioni erano corrette: non era cambiato un cazzo.
Colin, notando il presunto disinteresse di Harry, ritornò alla carica: "Preside, ha ragione, abbiamo capito di aver sbagliato, le promettiamo che non ci saranno più scherzi, se vuole puliremo solo noi due l'intera università ma..."
"Nessun ma. Troppe promesse mai mantenute hanno sentito le mura di quest'ufficio, ma ora ho deciso. Prendetela come una piccola vacanza prima di Natale, tornatevene a casa questa settimana e riflettete. Evans, per la tua borsa di studio non so che dire, dovevate pensarci prima, in ogni caso sai che se prenderai il massimo dei voti e vincerete il campionato a fine maggio, potrebbe essere rinnovata" gli sorrise dolcemente.
Il preside era un uomo troppo buono, aveva chiuso un occhio, per non dire tutti e due, troppe volte, quindi Colin non riuscì a non abbassare la testa in segno d'accettazione.
Voleva piangere lo stesso, ed era anche arrabbiato con Harry che non aveva detto una sola parola.
"Potrei pagare tutte le manutenzioni e dare i soldi necessari anche per ampliare la biblioteca della facoltà di letteratura, so che vorrebbe farlo da anni."
Harry spezzò il suo silenzio usando l'unica arma a sua disposizione: i soldi.
Il preside sorrise amaramente.
"Vorrei poter accettare ma, se lo facessi, non ci sarebbe nessun insegnamento. Ora se volete potete lasciare il mio ufficio." Li liquidò abbandonando del tutto il tono duro usato all'inizio. "Ah, Evans lei può restare nel dormitorio del campus, ma non potrà farsi vedere nei corridoi o in facoltà."
Colin annuì e scappò fuori, doveva trovare una soluzione o anche solo deprimersi nel suo letto.
Uscendo sbatté contro il petto di Jason, che con gli occhi gli chiese spiegazioni.
"Siamo stati sospesi." Disse Harry quasi con freddezza, evitando al biondino di doverlo dire ad alta voce.
Jason lo strinse tra le braccia, ma Colin lo allontanò girandosi come una belva verso Harry.
"Bravo, hai ottenuto quello che volevi. Hai distrutto il mio campo di calcio sapendo che è l'unico posto dove mi sento a casa, hai messo in pericolo la mia borsa di studio quando sai che è l'unico motivo per il quale sono qui" era pronto a sfogarsi e a sputargli addosso tutto il suo risentimento.
"Cosa? Ora questa stupida guerra che tu, e sottolineo tu, hai voluto continuare per una stupida farsa, sarebbe colpa mia? Scusami allora se mi sono attenuto al piano inziale! E poi in ogni caso io e la mia squadra non c'entriamo nulla, mettitelo in testa!" Harry non poteva crederci, Evans si rivelava sempre il solito stupido che parlava senza connettere la bocca al cervello.
"Non c'entrate nulla? Allora il campo si è autodistrutto?" chiese esasperato.
"Forse si rifiuta anche lui di essere calpestato da voi!" la vena acida di Harry aveva preso il sopravvento.
Questo era troppo.
Colin allungò una mano e gli tirò una ciocca di capelli avvicinando i loro visi: "Se davvero non è stata una tua idea perché non ti sei difeso col preside?"
Harry gli schiaffeggiò la mano facendogli lasciare la presa dai suoi capelli e lo guardò adirato, ma triste: "Come avrei potuto? La persona che giura di amarmi non mi crede, perché avrebbe dovuto farlo il preside che incolpa noi due per tutti i mali del campus?"
Colpito e affondato.
"Non ti voglio più ascoltare." Così dicendo, si girò e se ne andò con la coda tra le gambe.
Harry non sapeva che pensare.
Riflettendoci, per lui quella sospensione non valeva molto, avrebbe solo dovuto fare qualche attività in più per reintegrare dei crediti extra, ma sapeva che Colin si giocava la borsa di studio, ottenuta con tanto sudore e sacrificio.
Si era offerto di donare dei soldi perché in passato quella tattica aveva funzionato e, il suo cuore sapeva benissimo, che l'aveva fatto solo per il biondino.
Ma quest'ultimo doveva pensare a modo suo, arrivare a dalle conclusioni affrettate e non gli aveva neanche dato il tempo di spiegarsi. Anzi, per l'ennesima volta non gli aveva creduto, e aveva anche avuto il coraggio di dargli le spalle e andarsene. Che faccia tosta.
L'unica domanda che si poneva era la seguente: se non erano stati loro, chi aveva distrutto il campo?
Che andasse al diavolo.
Non erano problemi suoi. Il biondino non era più un suo problema.
L'unico sbaglio che aveva fatto era stato innamorarsi di lui.
Colin si pentì di quello che aveva gridato contro Harry due secondi dopo averlo fatto.
Non poteva prendersela con il moro, gli scherzi erano all'ordine del giorno e avevano davvero oltrepassato il limite, quindi dovevano aspettarsi una punizione simile dal preside.
Sapeva che Harry si era offerto di pagare tutto per salvarlo, ma aveva parlato senza pensarci ed era stato lui il cretino della situazione.
E se davvero Harry non c'entrava nulla? Perché avrebbe dovuto mentire? Non si era mai tirato indietro quando si trattava di ammettere uno scherzo, anzi, ne andava anche piuttosto fiero.
Si ricordò del loro primo litigio, dell'album di Daphne e di come Harry cercò di convincerlo della sua innocenza.
Era nella stessa situazione, e lui si trovava di nuovo nel torto.
Era a due passi dalla porta della sua stanza quando girò su se stesso e ripercorse quasi correndo la strada appena fatta. Ignorò Jason e alcuni della squadra che chiedevano come stesse, perché era solo capace di pensare ad Harry, alla voglia che aveva di farsi stringere dalle sue braccia e lasciarsi consolare, dall'urgenza di chiedergli scusa e di raccontargli come fosse riuscito ad affrontare le sue paure. Voleva raggiungerlo e baciarlo, senza preoccuparsi che fossero in un corridoio o davanti agli altri. Sentiva che era il suo momento, che nulla potesse andare storto.
"Non sono stati loro!"
Quelle parole urlate quasi in coro da Jason e dai suoi compagni lo fecero voltare continuando a correre all'indietro sorridendo: "Lo so, e sto andando a rimediare ad un mio errore."
Tom e Mike risero dell'espressione innamorata del loro capitano, mentre Jason sembrava preoccupato conoscendo bene la situazione e il carattere di Harry, ma allo stesso tempo fiero delle palle che aveva tirato fuori l'amico.
Mark si girò verso gli altri e domandò: "Chi cazzo ha distrutto il nostro campo?"
"Ce lo stiamo chiedendo anche noi" rispose la voce di Luke appoggiato ad una colonna con altri cestisti.
"Dobbiamo pulire i cessi per colpa di qualcuno e abbiamo intenzione di trovarlo." Diede man forte un tipo alto sicuramente due metri per 120 kg.
"Calma Sam, cerchiamo prima di capire che è successo." Lo riprese l'amico.
Mike e Jason si scambiarono un'occhiata complice per poi dire: "Possiamo scoprirlo insieme, allora."
Luke guardò Jason come se gli fossero spuntate le antenne.
"Sei sicuro sia una buona idea?" chiese infine titubante.
Jason annuì convinto: "Mai avuta idea migliore"
E Luke scoppiò a ridere, perché entrambi conoscevano le idee di merda che giravano sotto quella chioma verde.
Arrivò di nuovo davanti alla porta dell'ufficio del preside, ma ormai non c'era più nessuno. Corse verso la palestra, pensando che Harry fosse passato di lì per salutare il suo "posto", ma quando entrò la trovò vuota.
Non si perse d'animo e lo chiamò al cellulare.
Non perse la speranza neanche quando lo trovò spento. Chiamò Luke chiedendogli se sapesse dove fosse andato Harry, e quando scoprì che aveva levato le tende senza proferir parola subito dopo la sua fuga, decise di presentarsi a casa sua.
Evitò di chiedere in prestito un'auto perché l'adrenalina che gli scorreva nelle vene gli diede la forza di correre per strada e quando, sudato e senza fiato, si attaccò al campanello di Harry pensò che finalmente ce l'avesse fatta.
Pochi minuti e tutto sarebbe tornato al proprio posto.
Si sbagliava.
Due ore dopo era ancora accasciato fuori all'appartamento vuoto di Harry. Aveva deciso di aspettarlo. Non era la prima volta, quindi non gli costava nulla stare lì e provare insistentemente a chiamarlo, sperando ogni volta che non gli rispondesse la segreteria.
Verso sera pensò che Harry fosse andato da Gwen e Charlotte, sentendosi stupido per non averci pensato prima.
Chiamò Luke che, capendo benissimo la situazione gli prestò l'auto, proponendosi anche come compagnia, ma Colin gli disse che era una cosa che doveva fare da solo.
Erano in otto nella minuscola stanza di Jason e Colin.
Era la prima volta che cestisti e calciatori lavoravano insieme contro un nemico comune, e questa cosa li esaltava.
Luke e Jason ovviamente facevano le veci dei capitani, mentre Mark e Mike insieme a Rick il cestista facevano una lista di tutte le persone che potevano odiare la squadra di calcio, e notarono che ce ne erano parecchi.
Bill, Tom e Sam, rivelatosi poi davvero simpatico, non facevano nulla. Erano sdraiati sui letti e sparavano ogni minima teoria gli passasse per la testa.
"Assurdo. Tutto questo non ha senso. Noi siamo la squadra carina e coccolosa, siete voi quelle antipatici e spocchiosi!" sbraitò scherzosamente Jason, beccandosi una cuscinata da Luke.
"Però è vero. È Harry il capitano freddo e distaccato, per non aggiungere che usa le donne come oggetti" rifletté Sam.
Dopo aver sentito Harry e donne nella stessa frase, tutti i calciatori vennero presi da un attacco di ridarella che cercarono di coprire con piccoli colpi di tosse, fallendo miseramente.
Luke fulminò Jason con lo sguardo pretendendo spiegazioni, e ottenne un mimato: "Lo sanno!"
"COSA?" ok, aveva urlato. Ma diavolo, da quando i calciatori sapevano la verità?
Jason alzò le spalle, e sussurrando disse con evidente fierezza nella voce: "Colin ha intenzione di riprendersi il tuo amico."
E Luke gli si buttò addosso facendoli cadere entrambi sul tappeto, stringendolo a sé e scompigliandogli i capelli.
Sapeva che Colin era andato a cercare Harry, ma non credeva che quel biondino avesse davvero dato una scossa alla sua vita.
Avrebbe pagato oro per vedere la faccia di Harry quando l'avrebbe scoperto.
Era fuori al palazzo di Charlotte e si sentì a disagio.
E se Harry non ci fosse stato? Non era mai stato a casa loro da solo, e soprattutto senza essere invitato.
Con un pizzico di coraggio bussò al citofono e poi si allontanò come scottato, serrando anche gli occhi.
"Chi è?"
Riconobbe la vocina di Gwen e si ritrovò a sorridere e a rispondere: "Ciao principessa, sono Colin, l'amico di Harry, ti ricordi di me, vero?"
Si sentì uno squittio seguito da: "Mamma, è Colin. Posso aprire? Sì, apro!"
La voce pimpante della bambina era stata un'iniezione di coraggio e salì in ascensore pregando di trovare Harry ad aspettarlo alla porta.
Anche questo piccolo desiderio non fu esaudito.
Ad attenderlo c'era una Gwen sorridente, con i ricci rossi a coprirle le spalle, e una bellissima Charlotte in tuta.
"Colin, è bellissimo vederti." Lo accolse la padrona di casa e lui, senza pensarci due volte, l'abbracciò stretta prima di piegarsi e dare un buffetto sulla testa della bimba.
"Scusate se sono piombato qui ma..."
"Ma ne parliamo davanti ad un piatto di pasta! Io e Gwen stavamo per cenare e siamo felicissime di aggiungere un posto a tavola."
Il cuore dell'ospite si riscaldò a quelle parole. Le conosceva da pochissimo tempo, eppure l'avevano subito accolto senza remore. Senza preoccuparsi di essere la causa del continuo dolore di Harry, senza accusarlo di dover curare delle ferite che causava e che, puntualmente, continuava ad aprire.
Doveva immaginare di non incontrarlo lì. Se voleva scappare di certo non si sarebbe rifugiato dove poteva essere trovato facilmente da lui.
A tavola, seduto al posto in cui si era messo la prima sera in quella casa, pensò che lì lui non c'entrava niente. Quello era il posto di Harry, e lui era stato capace di rubargli anche quello, strappandogli il luogo dove poteva sentirsi a casa.
"Colin, dopo mi leggi Harry Potter? Mamma e Harry mi stanno leggendo Il calice di fuoco" lo riscosse dai suoi pensieri Gwen.
Leggere la 'favola' della buonanotte. Un altro pezzo che portava via a Harry.
Charlotte sorrise e lo incitò ad accettare.
"Harry oggi ha chiamato la mamma e ha detto che stava via per un po'. Quando mamma me l'ha passato lui ha detto che quando sarebbe tornato mi avrebbe portato un bellissimo regalo." Lo informò raggiante.
Ebbe un tuffo al cuore a sentir pronunciare quelle parole.
Charlotte lo notò e chiese a Gwen di andare a mettersi il pigiamino e che poi Colin l'avrebbe raggiunta.
Appena la bambina fu fuori dalla stanza, la donna piantò i suoi grandi occhi scuri in quelli chiari del suo ospite.
"Che ci fai qui?" non lo disse con cattiveria, era solo una domanda curiosa.
Colin si passò una mano tra i capelli.
"Non ho idea di dove si sia cacciato Harry. Non sapevo dove cercarlo." Disse sconsolato.
"Sa come non farsi trovare, ormai lo conosciamo bene, o mi sbaglio?" si lasciò andare in una piccola risata.
Non si sbagliava affatto. E lo sapevano, sfortunatamente, entrambi.
"Ti ha chiamato quindi..." chiese avido di conoscere delle risposte.
La rossa annuì mestamente.
"Sì, in realtà è stata una chiamata rapida. Mi ha solo detto che sarebbe stato via per un po', ma quando gli ho chiesto dove andasse lui ha cambiato discorso chiedendomi di parlare con Gwen."
Ci furono lunghi minuti di silenzio.
Colin non sapeva più dove cercarlo. Gwen e Charlotte erano il suo porto sicuro, oltre loro dove poteva esser andato a nascondersi?
Ma nascondersi da cosa? Da lui?
Solo al pensiero sentì una stretta allo stomaco.
"Che è successo ancora tra di voi?" chiese quasi esasperata.
Colin sapeva di potersi fidare e iniziò a raccontare cosa fosse successo quel giorno e soprattutto della chiacchierata col preside, dando per scontato che la donna sapesse della sua dichiarazione.
Charlotte ascoltò in silenzio, intervenendo solo alla fine.
"Penso che dovresti lasciargli il suo spazio. Sai quanto tengo a Harry, e tu gli stai facendo del male, anche dopo aver promesso di non volergliene più fare"
"Ma io ho fatto coming out con la squadra e sono deciso ad avere una vera relazione con lui, ma prima di urlarlo al mondo che lo amo vorrei che lui ne fosse a conoscenza, o che almeno provasse a credermi" disse tristemente, più a se stesso che alla donna che aveva di fronte.
Charlotte rimase felicemente sorpresa.
"Se la metti così non posso che tifare per te. Ti aiuterei volentieri a cercare Harry, ma sai, a tue spese, quanto lui ci tenga lontano dalla sua vita, quindi non saprei proprio a chi chiedere" finì con una punta di tristezza.
"Non ti pesa essere un segreto?" si morse la lingua subito dopo. Non erano domande da fare.
Charlotte lo studiò per un po'.
"A te non pesava esserlo?"
"Scusa..." Colin abbassò lo sguardo affranto.
"No, è una domanda lecita, ma tu conosci la risposta. Si accetta di essere un segreto pur di non perdere una persona cara." Lo interruppe la donna.
"E poi noi non siamo un segreto. Harry lo fa solo per proteggerci, anzi, per proteggersi da domande scomode" continuò: "Harry ama i suoi segreti, ma per te ha fatto un'eccezione. Ti ha portato qui, da noi, e anche se so che hai fatto quasi tutto tu, lui poteva benissimo non raccontarti nulla, invece è andato contro tutti i suoi principi solo per lasciarti entrare nel suo mondo."
"Sono stato uno stupido a non capirlo, a volermi allontanare quando l'unica cosa davvero giusta era ammettere i miei sentimenti."
"Ma tu l'hai fatto. Ci hai messo un po', ma il detto recita: Meglio tardi che mai."
E Colin si sentì un po' consolato da quelle parole così scontate.
"Se non mi avesse raccontato di voi, a quest'ora sarebbe qui a leggere Harry Potter con Gwen. Mi sento in colpa per avergli portato via il rifugio che era la vostra casa."
Charlotte scoppiò a ridere.
"Oh Colin, non dire cazzate! Tu non l'hai privato di nulla, anzi, gli hai insegnato ad amare. Harry ha sempre sofferto per colpe non sue, porta dentro dolori che non voglio neanche immaginare, ma molti li posso capire. Io e Harry abbiamo condiviso molte lacrime silenziose e solo Gwen riusciva a tirarci su, ma sapevo che per Harry non era esattamente così, a lui mancava sempre qualcosa per stare davvero bene. La prima volta che l'ho visto davvero felice non è stato mentre teneva tra le braccia Gwen, ma la prima volta che mi ha parlato di te. E ti confesso una cosa, lui aveva intenzione di presentarci, ma poi tu hai bruciato le tappe, ed è inutile dire il resto." Prese fiato prima di continuare. "Tutto questo solo per dirti che Harry ti ama e che è stato felice di condividerti con noi. Noi siamo la sua seconda famiglia, ma tu sei la sua casa. E lui l'ha capito, per questo è spaventato, ha troppa paura di rimanere di nuovo deluso."
Colin aveva gli occhi lucidi. Per Harry significava così tanto e voleva solo sbatter la testa contro il muro per quanto fosse stato stupido rifiutarlo e farlo soffrire.
"Io credo che, se ci pensi, saprai dove cercarlo. Harry ama i misteri, ma è anche vero che tu sei stato l'unico a fargli cambiare idea sul tenere tutti questi segreti. Lui è lì fuori da qualche parte e aspetta solo che tu te lo vada a riprendere."
Il biondo si gettò tra le sue braccia. Quella donna era la cosa più vicina ad Harry che avesse, e stringerla significa stringere un pezzetto di lui.
"Ho il pigiama da tantissimo tempo, allora? Colin muoviti che dobbiamo finire il capitolo!" la vocetta della bambina li fece allontanare con un piccolo sorriso.
Colin si asciugò le lacrime che gli erano sfuggite ai lati degli occhi e mimò un "Grazie" che trovò risposta in un "Che mi tocca fare per vedere il vero amore sbocciare".
Risero un po' più leggeri.
Mentre leggeva il libro alla mezza addormentata Gwen, pensò che forse Charlotte aveva ragione, c'era ancora una speranza.
E, nell'istante in cui lo pensò, si ricordò di Jody, la barca che aveva accompagnato Harry in molte avventure e soprattutto fughe.
Finalmente aveva un altro posto dove cercarlo, e l'avrebbe trovato.
Lo giurò a se stesso, e al suo amore per quel ragazzo.
"Ma non avete le telecamere del campus?" chiese Rick con le mani tra i capelli.
Stavano spremendo le meningi da ore, ma non sapevano proprio da che parte cercare.
Avevano mandato Tom e Mark a chiedere in giro se qualcuno avesse visto o sentito qualcosa, ma erano tornati a mani vuote.
Non potevano essere stati dei fantasmi, eppure erano quasi arrivati a prenderla come un'opzione.
"No, le avete fatte a pezzi l'anno scorso prima di Natale. Non vi ricordate neanche più i vostri scherzi? Non mi dite che state perdendo colpi..." scherzò Mike.
"Davvero le abbiamo rotte? E perché il preside non le ha fatte installare di nuovo?"
"Perché il preside aveva perso le speranze e ci aveva giurato di non ricomprare mai più nulla di quello che distruggevamo, a meno che non fossero cose indispensabili." Disse Luke per poi fulminare Mike e dire: "Ce li ricordiamo bene i nostri scherzi, ma Rick non era ancora in squadra per questo non lo sapeva."
Mike alzò le mani in segno di resa, e Jason iniziò a pensare che per colpa di una guerra, di cui non conoscevano neanche le origini, si stavano perdendo delle amicizie che potevano diventare importanti.
Se non fosse stato per Colin e Harry non avrebbe mai conosciuto Luke, e non avrebbe mai ammesso ad alta voce che gli sarebbe dispiaciuto molto, perché senza il minimo sforzo era diventato uno dei suoi più cari amici.
Venne tirato fuori dai suoi pensieri dal vento freddo che entrò dalla porta appena spalancata da Bill, che era uscito a prendere le pizze.
In mano non aveva delle pizze fumanti, ma puntava il suo cellulare contro tutti dicendo: "Aggiungiamo un nome a quella lista, penso di sapere chi è stato."
STAI LEGGENDO
How many secrets can you keep?
FanfictionErano anni che,in quell'università, la squadra di calcio e quella di basket erano in guerra,il loro odio veniva tramandato di generazione in generazione. Ci sono dei segreti,però, che devono restare tali, e altri,invece, che continueranno a distrugg...