Ci sono momenti nella vita in cui ti senti mancare il terreno sotto i piedi, ed altri, invece, in cui ti senti come se ti fosse caduto il mondo addosso come quando il ragazzo che ami ti lascia, o peggio, quando lo vedi con un altro che non sei tu. Poi ci sono quei momenti in cui pensi di morire e vedi tutto nero.
E, infine, ci sono quei momenti in cui ti senti semplicemente tradito. E vorresti tapparti le orecchie e non ascoltare più nulla.
Colin si era appunto sentito così.
Daphne l'aveva appena tradito.
La sorellina che disegnava per prevenire gli attacchi di panico causati dall'uomo che era seduto sul loro divano. Un divano che un tempo era anche suo. La bambina che lo ritraeva in ogni posizione, che gli aveva fatto un ritratto vestito da supereroe, perché lui era il suo eroe. La ragazzina sempre dolce e disponibile, che prima di partire aveva strappato un disegno dall'album, decidendo di custodirlo in uno dei suoi cassetti.
Daphne.
Quella donna, perché ormai doveva arrendersi all'evidenza che la sua piccola sorellina era cresciuta, aveva appena invitato in casa loro l'uomo che li aveva portati alla disperazione, che gli aveva fatto rinunciare alla sua adolescenza, che l'aveva spinta, che aveva picchiato lui e sua madre.
Lei l'aveva portato lì, si era seduta accanto a lui e ora lo fronteggiava come se Colin potesse fare qualcosa di sbagliato. Come se il fratello fosse nel torto.
Si sentì morire dentro. E non era come quando si sentiva morire per Harry, no, era mille volte peggio, perché questa volta era una certezza che veniva a mancare, era sangue del suo sangue a farlo soffrire.
Serrò gli occhi.
Sentì la mano di Jason stringergli la spalla, gli occhi di Luke su di lui, ma solo Harry poteva capire fino in fondo quello che stava succedendo.
Si girò verso di lui e lo vide guadare con occhi fulminei il padre.
Conoscendolo, stava pensando mille modi più uno per ucciderlo. L'avrebbe fatto per lui, ne era sicuro.
Riportò lo sguardo su Daphne, e per la prima volta in tutta la sua vita, la guardò con sguardo duro.
"Che diavolo significa che l'hai invitato tu?"
Carol si mosse a disagio, ma non osò parlare. Era una situazione troppo delicata per fare qualsiasi battuta pungente.
Ora capiva perché la madre non avesse cacciato a calci quell'uomo da casa sua. Se Daphne l'aveva invitato doveva esserci una ragione, e la madre non avrebbe negato nulla ad una delle sue figlie.
Daphne si alzò, e non era più quella bambina spaventata, ora sembrava più grande, più coraggiosa.
"Ti chiedo solo di ascoltarlo."
Quelle parole arrivarono alle orecchie di Colin come una piccola preghiera.
Portò il suo sguardo duro verso il padre.
Per quanto l'istinto gli dicesse di girare i tacchi e uscire da quella stanza, non poteva restare indifferente a quella richiesta.
"Parla, ti ascolto."
E lui sorrise, come se sapesse che Daphne l'avrebbe convinto.
"Devo avere tutti questi spettatori?"
Sentì davvero le mani prudergli e stava per scattare in avanti, ma sentì la forte presa di Harry sul suo braccio.
Lo guardò e con un cenno gli fece capire che andava tutto bene.
La madre decise di seguire i tre giovani in cucina, preparandogli qualcosa da mangiare.
Colin la vide invece come una fuga, ma non poteva fargliene una colpa. Quella donna era stata forte per troppo tempo, ora poteva benissimo fuggire dalle chiacchiere di un uomo che per lei era morto tempo prima.
Rimasti soli, padre e figli, l'uomo iniziò a parlare.
"Un anno fa ho scoperto di avere il cancro ai polmoni."
Colin, a questo punto, pensò di dover sentire dispiacere, e invece l'indifferenza lo sovrastò.
Quando notò l'assenza di reazione da parte del figlio, decise di continuare.
"Il medico dice che mi manca meno di un anno, ho provato con le cure, ma non sono migliorato, anzi, il cancro tende ad espandersi sempre di più."
Daphne aveva gli occhi lucidi, mentre Carol lo guardava come se avesse paura a fidarsi di lui, e Stephanie era palesemente spaventata da tutta quella situazione.
Si avvicinò a lei e le appoggiò una mano sulla spalla, che lei subito coprì con la sua mano affusolata e smaltata di rosso.
"Mi dispiace che stai per morire, ma non so che c'entriamo noi in tutto questo."
Daphne gli riservò uno sguardo di rimprovero, e lui avrebbe voluto davvero ribattere ma il padre lo anticipò.
"Lo so, Colin, che ormai sono uscito dalle vostre vite, ma sono qui per chiedervi scusa, e provare a ricostruire un rapporto, ora che ne ho la possibilità."
Colin quasi scoppiò a ridere. Forse era insensibile, ma l'odio verso quell'uomo, anche dopo tutti quegli anni, non era per nulla diminuito.
Evitò di ridere solo per l'espressione di Daphne. Lei si fidava di quell'uomo, e Colin si chiese chi diavolo era quella Daphne seduta su quel divano. Di certo non era la bambina che lui aveva cresciuto.
"Pensavi di venire qui e trovarci a braccia aperte?"
Fu Carol a parlare, e Colin sorrise, almeno qualcuno la pensava come lui lì in mezzo.
Il padre guardò Daphne, come se l'unico suo scopo fosse convincere lei, come se non pendesse già dalle sue labbra.
"So che vi ho fatto soffrire, ma sono un altro uomo ora. Daphne può dirlo, abbiamo passato del tempo insieme e..."
"Fermati, oddio, che significa che avete passato del tempo insieme?"
Colin trafisse Daphne con il suo sguardo.
Era questo che teneva nascosto a tutti?
Quando guardò le altre due sorelle e non vide stupore, si allontanò di scatto.
"Voi lo sapevate?"
Stephanie si alzò e gli andò incontro, ma Colin indietreggiava.
Era stato tradito da tutti in quella casa.
"Mamma...?" chiese
Stephanie scosse la testa.
"No, mamma non lo sapeva, ma Colin ascoltaci per favore, noi lo sapevamo che si vedevano ma..."
"Ma gli ho chiesto io di non dire niente." Parlò Daphne.
Colin la guardò quasi con disgusto.
"Chi diavolo sei tu?"
Lei abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo e con un'aria che non gli aveva mai visto la sentì dire:" Mi hai insegnato ad essere buona, ed è quello che sto facendo. Non farmene una colpa."
Si sentiva soffocare, doveva risvegliarsi subito da quell'incubo. Quell'uomo era ancora una volta la rovina della sua famiglia. Si girò e uscì fuori da quella casa.
Aveva bisogno di aria. E di fumo.
Dalla cucina sentirono sbattere la porta e la madre corse in salotto e trovò Stephanie in lacrime, mentre Carol era scappata nella sua camera e Daphne fissava la porta dalla quale il fratello era uscito.
"Che è successo?" chiese preoccupata la donna.
Fu il padre a rispondere.
"Colin non ha preso bene il mio rapporto con Daphne."
La madre non si sforzò nemmeno di camuffare lo sguardo pieno d'odio e con fermezza disse: "Credo sia arrivata l'ora di andare via."
Lui le sorrise, e si alzò.
Daphne lo seguì e gli promise di chiamarlo.
La madre scosse la testa, non aveva proprio idea di quello che passasse nella testa della figlia.
Arrivati fuori la porta, il padre vide Colin appoggiato al Range Rover con una sigaretta in mano.
"Fumi anche?"
Colin non gli rispose neanche, guardò dritto negli occhi di Daphne, aspettandosi che dicesse qualcosa, ma lei restò in silenzio.
Si impose di non muoversi perché se si fosse spostato di un solo passo avrebbe preso quell'uomo e mandato bellamente a miglior vita prima del previsto.
Guardò con disgusto come la sorella salutasse il padre, e quando tornò indietro per rientrare in casa, evitò con lo sguardo il fratello.
Poco dopo uscì Harry e si accese una sigaretta che Colin prontamente rubò appena gettato il mozzicone di quella che stava precedentemente fumando.
Harry non disse nulla, se ne accese con pazienza un'altra.
"Ha il cancro."
Harry annuì. Poco prima Stephanie tra le lacrime gli aveva spiegato quello che era successo, e non piangeva per il padre, ma per la paura di aver rovinato il bellissimo rapporto con il fratello.
Harry aveva insistito per uscire lui stesso a parlare con il biondino, infondo, tra di loro era sempre stato così, bastava la presenza dell'altro per lasciarsi andare alle confessioni e, inevitabilmente, sentirsi un po' meglio.
"Sono una brutta persona se dico che non me ne frega un cazzo?" chiese davvero preoccupato.
Harry lo guardò e stringendogli entrambe le braccia, in modo da guardarlo in faccia, gli disse:" No, non lo sei."
E Colin sembrò credergli, come a tutto quello che usciva dalla bocca del moro.
Harry se lo strinse al petto.
Non gliene fregava nulla se poche ore prima l'aveva schiaffeggiato e gli aveva urlato contro, se Colin aveva bisogno di lui ci sarebbe stato, sempre e comunque.
"Daphne lo vedeva, ci parlava, l'ha invitato in casa, e io non sapevo assolutamente nulla. Anche Stephanie e Carol lo sapevano" si staccò per guardarlo negli occhi. "Ti rendi conto? Hanno agito alle mie spalle! Io...io non lo so!"
Aveva gli occhi lucidi, e Harry gli accarezzò una guancia e poi lo se lo strinse ancora addosso.
"Dovresti parlare con loro, sicuramente hanno delle spiegazioni plausibili, sono ragazze intelligenti, le hai cresciute tu, lo sai bene."
Colin scosse la testa.
"Io non le riconosco più."
E Harry non sapeva come consolarlo. Lui stesso era rimasto sorpreso da tutta quella situazione, e poteva capire bene il senso di tradimento che logorava il cuore del ragazzo tra le sue braccia.
In casa Luke si sentiva decisamente di troppo, per fortuna la madre e Stephanie, che finalmente si era calmata, lo stavano coinvolgendo nella preparazione della cena, e quando iniziarono a cantare "Man on a wire" dei The script pensò di essere finito in una puntata di Glee.
Jason, dopo che Harry aveva deciso di andare a parlare con Colin, aveva preso la strada delle scale intenzionato a parlare con Carol, per capire che diavolo era successo.
La vide uscire dal bagno e entrare nella camera di Colin, e subito la seguì.
Si chiuse la porta alle spalle e guardò attentamente la ragazza bionda dalle ciocche rosse seduta sul tappeto.
Carol arrossì appena vide Jason entrare nella camera del fratello.
Quando l'aveva visto apparire poco prima in salotto con Colin, stava per cadere dalla poltrona su cui era seduta. Non era molto contenta del fatto che Jason partecipasse ai suoi drammi familiari, ma capiva anche che, essendo il migliore amico del fratello, quella casa, in quel momento, era proprio il posto in cui doveva stare.
"Ehi."
"Ehi" rispose abbassando lo sguardo sul tappeto.
Jason si gettò accanto a lei, e le sorrise, quei sorrisi firmati Jason Smith.
"Hai colorato altre ciocche, ti stanno benissimo."
Lei si toccò i capelli e sorrise.
"I tuoi capelli verdi sono adorabili, anche se scommetto ti sono costati parecchie prese in giro da parte di Colin"
Jason rise, Carol anche in situazione del genere non perdeva la sua spigliatezza.
Ma appena nominò il nome del fratello, un'ombra le passò negli occhi grandi e verdi.
Jason la osservò pensando che fosse così simile a Colin, e non solo fisicamente, ma anche nel modo di nascondere i propri sentimenti.
"Mi dici che è successo?"
Lei alzò le spalle tirandosi le ginocchia al petto.
"Un po' di tempo fa papà ha contattato Daphne, lei... beh, lei è Daphne, ovviamente si è fatta abbindolare da quelle quattro belle parole che gli ha detto. Io e Stephanie abbiamo provato a dissuaderla, ma lei è tanto dolce quanto testarda, ci ha solo fatto promettere di non dire nulla a Colin perché, beh perché avrebbe reagito così come ha fatto!"
Si girò verso Jason e gli sorrise debolmente.
"Io capisco Colin, ma io e Stephanie non potevano tradire la fiducia che Daphne aveva riposto in noi, per quanto fosse sbagliato... ma poi chi lo dice che è sbagliato? Daphne sa bene chi è quell'uomo, lei più di me e Steph sa che può essere pericoloso, eppure ha deciso di fidarsi, di dargli un'altra occasione. Io non l'accuso di nulla. E' stata una sua scelta, e anche se io non sono d'accordo, non posso far altro che accettare la sua decisione."
Jason sorrise. Quelle ragazzine erano una forza della natura, avevano davvero preso tutto dal fratello.
"Colin dopo questo discorso si sentirà un vero stupido, lo sai vero?"
Carol scoppiò a ridere.
"Oh si, e non vedo l'ora di farglielo notare."
Jason fu felice di averla fatta ridere, anche se entrambi sapevano che non era così semplice ricevere il perdono da Colin.
Si guardò un po' intorno e poi si rese conto che effettivamente quella era la stanza del suo migliore amico.
"Perché sei venuta nella stanza di Colin?"
Carol si sistemò meglio con la schiena alla base del letto, e incrociò i piedi.
"In stanza c'era Daphne, e penso abbia bisogno di stare un po' da sola. Conoscendola starà preparando un discorso per farsi perdonare dal suo fratello preferito."
Risero piano tutti e due.
"E poi mi piace qui."
Lo guardò e sorrise in maniera birbante.
"Ti confesso una cosa, ma promettimi che non ne farai parola con Colin."
Jason si mosse elettrizzato, amava i segreti.
Incrociò le dita e le baciò: "Prometto."
Lei sorrise soddisfatta.
"Quando Colin manca per parecchio tempo, beh, io, Daphne e Stephanie veniamo nella sua stanza e facciamo i compiti, oppure ci mettiamo sul tappeto ad ascoltare musica, insomma ci viviamo la sua stanza, ma non lo facciamo per approfittarne della sua assenza, lo facciamo perché ci manca così tanto che se stiamo nella sua stanza e facciamo le cose che di solito facciamo con lui, beh, sembra che lui sia in giro per casa, che sia ancora qui con noi. Qualche volta dormiamo anche nel suo letto."
Carol sorrise incerta.
"Ora penserai che siamo delle psicopatiche..."
"Adorabili. Io vi trovo semplicemente adorabili."
Carol arrossì.
"Cioè non è proprio normale, ma voi avete un rapporto abbastanza morboso, quindi non mi sorprende tutto questo."
Lei rise.
"Già, ma non glielo dire, già crede di essere il Dio sceso in Terra in casa e non vogliamo alimentare ancora di più il suo ego."
Ora risero più forte.
Stavano ancora ridendo come pazzi, quando Jason vide le labbra di Carol appoggiarsi sulle sue.
Era talmente sorpreso che non aveva neanche avuto il tempo di chiudere gli occhi.
Carol subito si staccò, mostrando le guance rossissime.
Jason non sapeva che dire, non se lo aspettava di certo.
"Scusami..." disse lei alzandosi.
Lui non riuscì a muoversi. Carol l'aveva baciato. Sulle labbra.
Non sulla guancia come facevano di solito, non l'aveva abbracciato, no! L'aveva baciato come si baciano un uomo e una donna.
Alzò di scatto la testa verso di lei.
Carol era una donna.
Era la sorellina del suo migliore amico. Era una delle gemella che adorava, proprio quella che si era lasciata convincere a colorarsi le ciocche di rosso. Ma prima di tutto questo, Carol era una donna.
Una bellissima donna dai capelli lunghi biondi, a tratti rossi, con grandissimi occhi verdi.
E, in quel momento, la guardò davvero, come se fosse la prima volta.
Ma lei già era scappata nella sua stanza, lasciandolo solo su quel tappeto a chiedersi che diavolo stava succedendo alla famiglia Evans?
Quando Harry e Colin tornarono in casa trovarono Luke intento a preparare la cena con Stephanie e la madre, e sentendolo cantare a squarciagola, inventando anche qualche parola, Colin rise, pensando che forse tutto sarebbe tornato come sempre.
Stephanie subito gli si avvicinò e lo abbracciò.
Lui non ci pensò nemmeno di allontanarla, ma comunque non ricambiò come era solito fare, ma apprezzava il fatto che almeno lei facesse qualcosa per risolvere quella 'piccola' rottura.
"Scusami davvero."
Colin rise piano e sottovoce disse: "E' proprio la giornata delle scuse."
Riferendosi alle scuse che lui stesso aveva fatto quel pomeriggio a Harry, dopo aver aggredito un povero ragazzo.
E Harry sentì, ma fece finta di nulla, sorridendo solo tra sé e sé, iniziando ad aiutare ad apparecchiare la tavola.
In quel momento la porta si aprì e arrivò un Rob trafelato che gridava: "Dov'è? Dov'è?"
La madre lo guardò e scoppiò a ridere.
"E' arrivato il principe azzurro a salvare la principessa in pericolo."
Colin rise, insieme agli altri.
"Un principe ritardatario a quanto pare." Si palesò Carol.
Rob si levò il cappotto e si avvicinò ad Hannah per baciarla dolcemente.
"Scusami per il ritardo, ma sono arrivato il prima possibile."
E Colin pensò davvero che dovevano ribattezzare quel giorno come la giornata mondiale delle scuse.
In realtà Rob era arrivato prestissimo, era stata lei ad avvertirlo appena l'ex marito era uscito di casa, non l'aveva chiamato prima perché non voleva coinvolgerlo. Diciamo che aveva paura di dover chiamare la polizia per una scazzottata nel suo salotto.
Sorrise al pensiero, e invitò tutti a sedersi a tavola.
"Non preoccuparti, sono arrivati dei valorosi cavalieri in nostro aiuto."
Solo in quel momento Rob si girò intorno e notò la presenza dei ragazzi.
"Spero che abbiate tenuto le mani giù dall'amore della mia vita."
Ma quanto era bello sentire Rob dire quelle cose apertamente?
Carol imitò il sintomo del vomito, mentre Stephanie alzò gli occhi al cielo, sicuramente loro assistevano a scene del genere ogni giorno, e per un attimo le invidiò.
Risero tutti insieme, e poi si zittirono vedendo Jason scendere le scale.
"Dov'eri?"
Jason si scosse un po'.
"In bagno" mentì.
Carol era seduta di fronte a lui e continuava a comportarsi come se non si fossero detti nulla nella stanza di Colin. Come se non ci fosse stato nessun bacio.
Colin guardò l'intera tavola. Era lì con la sua bellissima famiglia, con il suo migliore amico che si stava comportando in maniera più strana del solito, con l'uomo della sua vita che chiacchierava con le sue sorelle e sua madre proprio come se fosse uno di famiglia, e Luke che parlava con Rob di chissà che, ma ridevano, quindi sicuramente qualcosa di divertente.
In tutto quello mancava qualcosa.
Mancava Daphne.
Guardò il suo posto vuoto, e la madre intercettando il suo sguardo e probabilmente i suoi pensieri, gli prese una mano nella sua.
Lui gli sorrise tristemente.
"Ci spiegherà tutto quando ne avrà il coraggio."
Colin sospirò.
Il coraggio.
Tutto si riduceva a quello. All'avere coraggio.
Lui era sempre stato il primo fifone, e guardando il ragazzo accanto a lui ne ebbe la prova.
Non aveva il coraggio di amare Harry, ma avrebbe avuto il coraggio di risolvere tutto con le sue sorelle.
Coraggio.
Continuò a ripetersi questa parola nella testa per tutta la durata della cena.
Ci voleva solo coraggio.
E quando Harry si girò verso di lui, con la bocca piena di pasta al pesto, chiedendogli di passargli l'acqua, capì che la paura poteva schiacciarlo, ma non poteva rovinargli la famiglia.
Il problema era che in questo ragionamento, in questa famiglia, aveva compreso Harry senza neanche accorgersene.
Mentre aspettavano il dolce Stephanie si alzò dicendo di volerne portare una fetta a Daphne che aveva saltato la cena.
Colin seguì con lo sguardo la sorella fino a perderla di vista sulle scale, e dieci secondi dopo si sentì un urlo.
Scattarono tutti in piedi e si precipitarono in camera delle ragazze.
Stephanie continuava a chiamare il nome della madre e del fratello, mentre accanto a lei, a terra, giaceva il piatto con il pezzo di dolce.
Gridava perché Daphne era in preda ad uno dei suoi attacchi di panico.
"Tutti fuori." Gridò Colin, sapendo che la sorellina avrebbe faticato di più a stare meglio in una stanza piena di gente relativamente estranea.
La madre subito salì sul letto ad abbracciare la figlia sussurrandole parole dolci nell'orecchio. A volte funzionava.
Nella camera restarono solo gli Evans e Carol iniziò a cantare lentamente Superheroes, la canzone preferita della sorella.
Stephanie invece aveva preso l'album con la matita e si era seduta sul letto chiedendo a Daphne di disegnare.
Erano mesi, quasi un anno a dirla tutta, che non succedeva una cosa simile. Si erano illusi fosse tutto finito, invece, non lo era affatto.
La madre rimproverò con lo sguardo il figlio che se ne stava fermo, accanto alla porta chiusa, a fissare quella scena.
Colse al volo il pensiero della madre, e si avvicinò alla sorella che respirava a fatica, iniziando ad intonare anche lui la canzone.
Daphne lo guardò, ma solo quando lui le prese una mano nella sua iniziò a calmarsi.
Stava per sorriderle, le voleva dire che pur essendo parecchio arrabbiato con lei avrebbe ascoltare tutto quello che lei avesse voluto dirgli.
Ma proprio mentre stava per aprire bocca lo sguardo gli cadde sull'album che Steph aveva aperto poco prima, e rimase paralizzando notando che, per la prima volta, non c'era un ritratto delle sorelle o della madre, e non c'era neanche il suo viso abbozzato su quel foglio. C'era il volto del padre. Dell'uomo che le aveva causato ancora una volta un attacco di panico. E lei aveva anche avuto il coraggio di disegnarlo, di gettare merda su tutto il lavoro che avevano fatto negli anni per farla stare bene.
Si alzò di scatto e la guardò senza vederla veramente, era troppo furioso.
Portò con sé quel foglio, lo strappò in mille pezzi e poi li gettò addosso alla sorella sconvolta.
La madre lo fulminò con lo sguardo, mentre le altre sorelle non sapevano come comportarsi, non avevano mai visto Colin in quello stato, soprattutto mai davvero arrabbiato con loro.
Colin, d'altro canto, non riusciva più a guardarle con gli stessi occhi. Non si sentiva solo arrabbiato o deluso, ma era immensamente triste. Tutti i suoi sforzi non erano serviti a nulla.
"Spero tu sia contenta ora."
E con queste parole uscì da quella stanza, intenzionato a non metterci piede per un bel po'.
Fuori la porta c'erano ad attenderlo i suoi amici e Rob, che subito chiesero come stesse Daphne, ma lui rispose con un duro: "Bene" e si chiuse in camera sua.
Si guardò intorno e tutto gli ricordava le sorelle, le foto e i disegni attaccati alle pareti, il copriletto blu che aveva scelto con Steph, il tappeto dove, anche dopo anni, usavano come scrivania quando decidevano di fare i compiti in camera sua. La sua stanza non era mai stata davvero solo sua, e ne era sempre stato felice, amava sentire la presenza delle gemelle ovunque, ma non quella sera.
Quella sera avrebbe dato fuoco a tutto pur di non pensare a quello che gli stava accadendo.
La porta si spalancò.
Perché nessuno aveva la decenza di bussare?
Era all'in piedi rivolto verso la finestra, fissando le macchine nel viale. Non si girò pensando fosse uno dei suoi amici, ma sperando fosse Harry.
"Non ti permettere mai più."
Si gelò sul posto.
Quella era la voce di sua madre, e non era il tono dolce che usava di solito.
Si girò e la guardò confuso.
La donna si passò una mano tra i capelli, le si poteva leggere la stanchezza sul viso.
"Quella di là in lacrime è tua sorella, quella che hai sempre protetto e difeso, quindi non ti permettere mai più di parlarle in quel modo rude o di strappare uno dei suoi disegni."
Colin non sapeva se ridere o urlare.
Ma avevano perso tutti la testa in quella casa?
"Mamma ma sei seria?"
La madre lo guardò arresa e ormai stanca. Si sedette sul letto continuandolo a guardare.
"Sono stata tutto il pomeriggio nel salotto con l'uomo che più odio a questo mondo. Gli ho offerto addirittura un thè e il caffè. Sono stata due ore ad osservarlo, a trattenermi dal cacciarlo a calci in culo fuori da questa casa. Abbiamo fatto di tutto per riprenderci dalla merda in cui ci aveva lasciato, tu hai fatto di tutto per le tue sorelle, e io, io mi sento ancora in colpa per averti privato della tua adolescenza..."
Colin subito le si avvicinò prendendole le mani, non era assolutamente da lei rivolgersi con quel linguaggio colorito.
"Mamma non è colpa tua, lo sai."
Lei scosse la testa.
"Colin, io non so come avrei fatto senza di te. Tu e le tue sorelle siete la ragione che mi ha dato la forza per superare tutti quegli anni di soprusi e violenza. Secondo te come mi sono sentita quando l'ho rivisto in casa nostra?"
Colin sapeva bene che per la madre quello doveva essere stato un vero incubo.
"Daphne. Per lei ho resistito dal cacciarlo, non posso impedirle di vedere suo padre. Lei sa perché l'abbiamo allontanato dalle nostre vite, e io... Dio, vorrei che non l'avesse contattata, ma non posso fare molto oltre ad avvertirla, e a proteggerla, non posso rinchiuderla in casa come ha proposto Rob."
Colin rise un po'. Una proposta del genere era proprio da un tipo protettivo come Rob.
"Mamma, io sono solo deluso. Avrei voluto saperlo, avremmo potuto affrontare tutto insieme, invece lei ha deciso di chiuderci fuori dalle sue decisioni. Io non riesco neanche a guardarla in faccia."
La madre gli sorrise incoraggiante.
"Ti chiedo solo di non abbandonarla."
Lui rivolse lo sguardo al lampione fuori casa che emanava una luce fioca, proprio come il suo animo in quel momento. Fioco, come se da un momento all'altro potesse spegnersi e non riaccendersi mai più.
Daphne era la sua famiglia. L'avrebbe perdonata, ne era sicuro, proprio come avrebbe risolto tutto con un abbraccio con Steph e Carol.
Sarebbero tornati ad essere una bella squadra.
Ma quella sera sembrava tutto così difficile.
"Rob ha detto che tu e i tuoi amici potete andare a dormire a casa sua, visto che lui resta qui e non c'è posto per tutti. Tu potresti restare, ma..."
"Preferisco andare con loro, meglio schiarirci tutti le idee stanotte, domani ne parliamo."
Lei annuì alzandosi e incamminandosi verso la porta.
Colin si trattenne nella sua stanza per prendere un ricambio per la notte per tutti, spazzolini nuovi e intimo, e poi scese, con le mani piene di vestiti.
Sulle scale incontrò Steph che stava portando su dell'acqua.
Appena lo vide partì con altre scuse.
"Scusa se ti ho chiamato in preda al panico, ma davvero non mi aspettavo l'avrebbe portato a casa. Mi dispiace se non ti abbiamo detto che sapevamo di papà e Daphne ma lei ci aveva chiesto di non farlo e noi non potevamo..."
Colin le appoggiò una mano sulla spalla.
"Tranquilla, hai fatto bene a chiamarmi. Ora vai a dormire."
La loro famiglia sarebbe davvero sopravvissuta a tutto questo?
Lei annuì e lo abbracciò stretto prima di ritirarsi in stanza.
Dopo quell'abbraccio, la risposta ai suoi pensieri non poteva che essere si.
Harry, vedendolo scendere le scale, lo raggiunse per aiutarlo a portare gli abiti.
"Allora fate come se foste a casa vostra, due possono dormire nella mia stanza, gli altri nella stanza degli ospiti. Ecco la chiave."
Luke prese le chiavi dalle mani di Rob e lo ringraziò.
Tutti si avviarono alla casa di fronte, mentre Colin venne trattenuto dalla madre.
Senza bisogno di parole, abbracciò la madre, per farle capire che nulla li avrebbe abbattuti.
"E' meglio se vai dai tuoi amici."
"Si, grazie Rob per ospitarci a casa tua."
Rob gli schiacciò una mano sulla spalla.
"Visto che io dormo a casa tua, mi sembra il minimo. E poi non mi devi ringraziare, farei questo ed altro per voi, lo sai."
Colin sorrise sinceramente.
Poteva considerare Rob il suo eroe, l'uomo che l'aveva salvato da lividi e cicatrici indelebile, come la violenza che si portava addosso.
"Quando farai di mia madre una donna onesta mettendole un anello al dito?" disse provocatorio.
La madre lo spinse quasi fuori casa per zittirlo, mentre Rob gridava: "Ho troppa paura di un suo rifiuto."
E risero tutti e tre, sapendo bene che la madre non avrebbe mai rifiutato la proposta dall'uomo che amava, ma semplicemente non voleva parlarne davanti ai figli.
Mentre attraversava la strada per raggiungere la porta della casa di Rob pensò che nulla potesse rovinare la sua bellissima famiglia.
Quella sarebbe stata solo un'altra prova, e come sempre, ne sarebbero usciti vincitori.
Era pronto per un'altra vittoria, anche se un po' più dura delle altre.
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How many secrets can you keep?
FanfictionErano anni che,in quell'università, la squadra di calcio e quella di basket erano in guerra,il loro odio veniva tramandato di generazione in generazione. Ci sono dei segreti,però, che devono restare tali, e altri,invece, che continueranno a distrugg...