Capitolo 39

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Era la seconda volta che si trovava davanti quella porta. La prima era andata decisamente male.
Ma come la prima volta, anche in questa non sapeva che diavolo stesse facendo.
Aveva seguito l'istinto.
Neanche mezz'ora prima era nel suo letto, girandosi tra le coperte. Ed ora era l'alba e lei era ancora sveglia.
Aveva preso tutto il coraggio che aveva nel suo piccolo corpo e si era fatta la doccia il più velocemente possibile e aveva scelto con cura cosa indossare. Strada facendo si era poi fermata al bar e aveva comprato due cornetti.
Bussò e subito dopo ebbe l'idea di scappare in Alaska. O in Messico.
Sentì delle risate sconosciute all'interno e storse il naso.
La porta si aprì e lo sguardo di Cher divenne un po' dubbioso quando vide una ragazza con corti capelli scuri che le sorrideva incerta.
"Ciao."
Cher non la ascoltò nemmeno. Riusciva solo a vedere le mutandine blu della tipetta e la camicia bianca aperta, troppo grande per essere sua.
Chi diavolo era quella sconosciuta per indossare la camicia dell'uomo con cui lei era stata la notte prima?!
"Ciao." Rispose Cher, spostandola malamente ed entrando in casa.
Era lì con un obiettivo preciso, e nemmeno quella ragazza mezza nuda l'avrebbe fermata.
Luke era ai fornelli, facendo palesemente finta di preparare la colazione.
Non era mai stato capace neanche di friggere un uovo, e lei lo sapeva bene.
Quando la vide spalancò gli occhi.
"Cher, che ci fai qui?"
"Io..." le parole le morirono in gola quando vide i vestiti della ragazza sparsi sul pavimento.
Si girò verso la ragazza e la spinse fuori dalla porta, mentre lei si lamentava e Luke era pietrificato.
"Mangia il cornetto!" le mollò il pacchetto con i cornetti quando ormai era fuori dall'appartamento.
Chiuse la porta zittendo le imprecazioni della moretta.
Si rigirò verso Luke e prese un lungo respiro.
Era pronta a parlare, ma c'era ancora qualcosa che la infastidiva.
Guardò ancora i vestiti sparsi a terra, e in un attimo li raccolse tornando alla porta d'ingresso.
Ritrovò la ragazza ancora sul pianerottolo, estremamente confusa e adirata.
"Questi devono essere tuoi." Le disse lanciandole i vestiti addosso. "E mangia il cornetto, quello alla crema è divino. Addio" e le richiuse la porta sulla punta del naso.
"Cher! Che cazzo stai facendo?" Luke finalmente ritrovò la parola.
"Hai ragione, scusa." Riaprì velocemente la porta e strappò la camicia dalle grinfie dalla ragazza che cercava invano di coprirsi il seno.
Quando rientrò, la porse a Luke "Questa è tua."
Luke prese la camicia in mano quasi terrorizzato.
Cher lo guardò, ma prima di aggiungere qualcosa corse nella sua camera da letto e tolse tutte le lenzuola e le coperte, gettandole a terra.
Da fuori poteva sembrare una pazza psicopatica, e forse lo era davvero, ma non gliene fregava nulla.
"Queste le bruci, intesi?" indicò minacciosa le lenzuola che stava calpestando.
"Cosa? Perché dovrei?" chiese ancora più confuso.
"Beh, perché di certo non scopo sulle lenzuola con cui hai scopato con quella!"
Luke ci mise un po' a capire cosa intendesse e nascose un sorriso.
Era proprio curioso di sapere cosa gli avrebbe detto.
"Che ci fai qui, Cher?" le chiese facendo il finto tonto.
"Lo sai che ci faccio qui!" si accigliò.
"No, non lo so." La provocò.
"Vuoi sentirmelo dire! Sei uno stronzo." Incrociò le braccia al petto, intenzionata a non dargliela vinta.
"Sarò pure stronzo ma tu hai appena cacciato fuori dalla mia porta una ragazza dolcissima, concedendole anche i cornetti alla crema che ti piacciono tanto. E mi hai anche ordinato di bruciare tutte le lenzuola su cui ho scopato con le altre."
"Sì, ho un debole per le lenzuola nuove da battezzare, problemi?" alzò il mento in segno di sfida.
"Nessun problema. Ma non capisco ancora che c'entro io in tutto questo." Le sorrise ormai divertito.
"Sei uno stronzo." Ma dicendolo lo stava guardando dritto negli occhi.
"Si, l'hai già detto." E si avvicinò di un passo.
Cher si spogliò all'improvviso. Tolse il cappotto verde bottiglia che aveva addosso. Poi passò al maglioncino color crema restando in un adorabile reggiseno nero di pizzo.
"E' nuovo." Disse un po' imbarazzata.
Luke alzò un sopracciglio. Di certo non gli dispiaceva avere Cher in reggiseno nella sua stanza, ma non capiva questo improvviso cambio d'umore.
"Cher, non capisco..."
"Sono venuta qui perché volevo dirti che io... beh sì, ti amo! Ecco l'ho detto."
Luke fece per avvicinarsi, ma lei lo fermò.
"No, ti prego fammi finire altrimenti non trovo più il coraggio."
Lui allora annuì, sorridendole dolcemente.
"Io... ti amo. L'ho già detto, lo so, ma è così assurdo. Ti amo e volevo dirtelo. Volevo dirti che sono pronta a stare con te, che sono solo una donna decisa ad amare un solo uomo. Non un altro uomo, te e solo te!"
"Oddio, lo sai che ti amo anch'io!" si lasciò sfuggire Luke.
"Lo so! Non vorrei sembrare arrogante ma lo so, l'ho sempre saputo ma... avevo paura." Prese un lungo respiro e si guardò il reggiseno.
"Questo è nuovo perché non volevo che vedessi cose che hanno già visto altri. Volevo indossare qualcosa che potessi conoscere solo tu. Probabilmente è stupido ma è l'unico modo che conosco per dimostrarti che davvero voglio stare con te."
Luke la guardò intensamente, poi azzerò la distanza tra loro e la avvolse tra le braccia baciandola.
Tra le sue braccia non c'era la Cher che tutti conoscevano, ma la ragazzina che aveva amato e la donna meravigliosa che era diventata.
Tra le sue braccia c'era la donna che era pronta ad amare senza pregiudizi o limiti.
Si staccarono solo per riprendere fiato e lui ne approfittò per prendere il maglioncino che Cher si era tolta poco prima.
"Indossalo."
"È la prima volta che un uomo mi chiede di rivestirmi." Scherzò lei.
Luke le sorrise, non doveva essere più geloso degli altri.
"Sono serio, vestiti. Ho intenzione di far funzionare questa cosa, quindi non scoperemo. Non ora almeno."
Lei si avvicinò per lasciargli un altro bacio a fior di labbra prima di rivestirsi.
"Ti porto a fare colazione."
"Grazie a Dio non hai deciso di prepararla tu. A proposito prima che facevi ai fornelli?"
Luke scoppiò a ridere.
"Sinceramente speravo si distraesse per cercare su internet come friggere un uovo."
"Lo sapevo! Quando imparerai a cucinare?!"
"Quando imparerai tu! So benissimo che nemmeno tu non te la cavi!" Disse mentre si infilava i primi jeans che aveva trovato.
"Colpevole." Disse alzando le mani.
"Possiamo imparare insieme." Buttò lì lui.
"Non è esattamente la prima cosa che voglio fare con te." Ribatté con la sua solita aria maliziosa.
"Da qualche parte dobbiamo iniziare." Disse finendo di indossare una felpa.
E Cher fu d'accordo e lo palesò baciandolo ancora.
Per la prima volta non ebbe paura di pensare che quelle sarebbero state le uniche labbra che l'avrebbero sfiorata.



Era sempre la solita storia.
Non poteva mettere piede in casa che si trovava sommerso dalle braccia delle sorelle.
Dalle domande attente della madre e quelle indisponenti delle sorelle.
Da un santo Rob che cercava di salvarlo dalle donne della sua vita.
Era sempre la solita bellissima storia.
Colin era arrivato da meno di un'ora e già aveva voglia di scappare dalle grinfie di Carol che gli chiedeva continuamente perché non avesse portato Jason.
Per l'ennesima volta le disse che avrebbe spiegato tutto a cena, perché voleva dire una cosa a tutti.
Carol lo fissò dubbiosa e poi, puntandogli l'indice contro, lo avvertì "Spera sia una cosa seria, altrimenti ti costringo a tornare indietro e portarlo da me!"
Colin mise su un finto broncio: "Vuoi più bene a lui che a me?! Dillo, sorella ingrata!"
"Sì, certamente, perché con lui posso fare cose che non posso fare con te!" rispose maliziosa, come suo solito.
Colin, solo in quel momento, iniziò a pensare che Jason e la sorella potessero scopare, e voleva piangere perché non doveva succedere! O almeno non avrebbe voluto saperlo. O forse sì.
C'era una certa differenza d'età e il fattore lontananza di certo non li aiutava, ma aveva notato che continuavano a volersi bene e a vedersi appena avevano tempo, a volte anche solo per un pomeriggio.
Jason era il suo migliore amico ed era sicuro che ancora non fossero andati oltre perché altrimenti gliel'avrebbe detto. O almeno ci sperava.
Che situazione di merda!
"Non voglio sapere queste cose!" scappò letteralmente dalla conversazione.
Doveva assolutamente parlarne con Jason una volta tornato al campus.
Era arrivato il momento.
La tavola era stata apparecchiata e la cena era pronta.
Le sorelle erano sedute composte e stavano aspettando la madre che prendesse posto per iniziare a mangiare, mentre Rob cercava qualche programma di sport alla tv.
Colin era terrorizzato, immobile sul suo posto accanto a Daphne.
Lei, da brava sorella, intuì subito il suo strano disagio e gli appoggiò una mano sul ginocchio per infondergli un po' di coraggio senza sapere di preciso per cosa.
Colin sospirò e pensò che nulla potesse andare male. Era la sua famiglia e l'avrebbero accettato.
Si alzò lentamente e si schiarì la voce: "Vorrei dire una cosa."
Rob abbassò il volume della tv, mentre la madre prendeva posto interessata. Le gemelle invece si scambiarono uno dei loro sguardi.
"Io... beh sì, io" Colin voleva davvero dire qualcosa, ma non riusciva a guardare in faccia nessuno e le parole non gli uscivano.
"Tu..." lo prese in giro Carol meritandosi uno scappellotto da parte di Steph.
Si schiarì nuovamente la voce, mentre sentiva gli occhi degli altri puntati su di lui.
"Io... ok niente." Perse del tutto il coraggio, riprese posto e iniziò a mangiare la sua pasta come se nulla fosse successo.
"Cosa?!" urlò Carol. "Ti sei alzato manco dovessi dirci chissà cosa e poi ti risiedi lasciandoci così?! No! Non va affatto bene!" continuò indignata.
"Carol smettila, forse Colin non si sente ancora pronto per dirci quello che voleva dirci." Disse la madre, iniziando anche lei a mangiare senza però riuscire a nascondere la sua preoccupazione.
"O semplicemente non era così importante!" rispose acida Steph.
Colin alzò di scatto la testa fissando la sorella di fronte a lui.
Sentire Steph acida era una novità, e quell'aria di sfida che le stava lanciando lo spaventava un po'.
Carol invece era fiera della gemella e Daphne sospirò come se si aspettasse una reazione simile.
"È così? Non era importante quello che volevi dirci?" continuò in maniera molto più dolce Daphne.
Il fratello maggiore, per la prima volta dall'inizio della cena, guardò negli occhi tutti i suoi familiari, e pensò davvero se fosse importante quello che voleva dire.
Era ovvio che lo fosse!
Voleva raccontare una parte di sé. Voleva essere sincero. Voleva mostrare ai suoi cari chi fosse davvero.
Allora si alzò di nuovo e si schiarì la voce per l'ennesima volta.
"Io..." ignorando lo sbuffo di Carol continuò "beh, è strano dirlo così, ma... avete presente Harry?" chiese.
Non aveva preparato nessun discorso perché l'esperienza gli aveva insegnato che poi l'avrebbe dimenticato e quindi tanto valeva non perdere tempo. Ora però si stava arrampicando sugli specchi, non sapeva proprio da dove partire.
Carol alzò un sopracciglio mettendolo a disagio e Rob soffocò una risata abbassando la testa e facendo finta di pulirsi le labbra con il tovagliolo.
"Si, abbiamo presente." Disse frettolosamente la madre per smorzare quel silenzio imbarazzante.
"Beh," si iniziò a grattare la nuca, cosa che faceva sempre quando aveva nove anni ed era agitato.
"Colin, davvero se non vuoi..." cercò di aiutarlo la madre, ma Colin scosse la testa.
"No, mamma. Questa cosa è davvero importante per me!" Quasi urlò.
"Sì, ma noi non abbiamo tutta la vita da spendere dietro a te, quindi veloce, grazie!" ovviamente Carol palesò il suo disappunto.
Era arrivato il momento di dirlo e basta.
"Harry, beh, io e Harry non siamo amici. Cioè lo siamo, ma non proprio..." Vide la confusione sul volto di tutti quindi riprese fiato e cercò di spiegarsi meglio.
"Io e Harry siamo più che amici. Nel senso che, sì, beh, stiamo insieme?"
"Lo stai chiedendo a noi?" subito rispose Carol provocando le risate delle gemelle.
La mamma le ammonì subito, intuendo l'estremo disagio del figlio.
"Io e Harry stiamo insieme. Siamo una coppia. Ma non è questo quello che volevo dirvi." Cercò di continuare.
"Ah no?" alzò un sopracciglio la sorella.
"Carol basta! Fallo finire." Si intromise Daphne.
"Io volevo dirvi che beh, sono bisessuale. Mi piacciono anche i maschi."
"Sì, l'avevamo capito dal -io e Harry siamo una coppia-" lo prese in giro Carol.
"Questo volevo dire, fine." E si sedette fissando il suo piatto ancora pieno di pasta.
Ci fu uno strano silenzio. Si aspettava un discorso incoraggiante dalla madre, o qualche parola confortante da parte di una sorella.
Invece nulla, anche Carol si morse la lingua per non continuare con le sue frecciatine.
Stanco di quel silenzio alzò lo sguardo e appena incrociò gli occhi di Rob vide quest'ultimo scoppiare a ridere. Quasi si piegava in due dalle risate.
Colin era sconvolto. Dopo Rob iniziarono tutti a ridere.
"Mi spiegate perchè ridete?!" urlò per farli smettere con quegli schiamazzi.
Daphne guardò Steph, che a sua volta guardò Carol.
"Come sempre devo dire tutto io!" sbuffò fintamente Carol. "Colin, ci dispiace distruggere il tuo momento di gloria ma... noi già sapevamo tutto."
"Come sapevate già tutto? Mamma?" chiese spiegazioni all'unica persona che aveva smesso di ridere.
"Colin" iniziò la donna "non stiamo ridendo perché vogliamo sminuire la cosa, anzi. Noi siamo felicissimi che finalmente tu abbia avuto il coraggio di confidarti con noi, ma saremmo stati degli stupidi a non capirlo prima." Si alzò per avvicinarsi al figlio e spiegargli bene ogni cosa.
"Porti Harry di punto in bianco a casa, dopo che hai sempre disprezzato i cestisti, scopriamo che il tuo nuovo carissimo amico è proprio il capitano. Già questo ci era sembrato strano, ma poi abbiamo pensato che qualcosa fosse cambiato e infatti non hai più fatto parola della vostra faida. Ma poi un giorno ritorni a casa distrutto e non potevamo nominare il suo nome neanche per sbaglio. A dire il vero però, abbiamo avuto la conferma quando siete stati tutti qui e avete litigato. Due amici non reagiscono in quel modo quando litigano. Beh, Harry è scappato, ma tu... Colin, io penso di non averti mai visto così disperato. Io non sapevo come comportarmi, e mi sono sentita così inutile perché non avevo capito, fino a quel momento, il sentimento che vi univa." E concludendo gli accarezzò dolcemente una guancia.
"Mamma, non potevi immaginarlo. E poi in quel momento non sapete quanto mi sia stata d'aiuto la vostra presenza. Spesso facevate tantissimo per me senza neanche saperlo" dicendolo si rivolse anche alle sorelle.
"In realtà noi lo sapevamo già da prima." Disse Carol tranquillamente, volendo essere sincera fino in fondo.
"Vi ho visti baciarvi sul divano la prima volta che hai portato Harry a casa." Spiegò Steph in risposta allo sguardo interrogativo del fratello. "Non me ne volere, ma non potevo non dirlo alle altre."
"Abbiamo mantenuto il segreto. Aspettavamo che ti sentissi pronto per parlarcene tu stesso, anche se non pensavamo ci volesse così tanto tempo" chiarì Daphne, non avrebbe mai voluto che il fratello pensasse che l'avessero 'tradito' in qualche modo.
"Ci sono stati degli intoppi." Dovette ammettere a malincuore.
"L'avevamo capito. Sei troppo trasparente per noi." E nel tono di Carol si sentiva solo tanto affetto.
"Quindi mi sono fatto venire delle paranoie assurde inutilmente" sbuffò Colin, decisamente più sollevato.
A quelle parole Rob scoppiò a ridere di nuovo.
"Scusami Colin, ma dovevi vederti. Stavo per riderti in faccia appena ti sei alzato. Eri terrorizzato." Ritrovando un po' il contegno continuò. "Avrei voluto salvarti e dirti 'sappiamo tutto, non ti torturare così' ma poi Carol mi avrebbe ucciso, e scusami tanto, ma tua sorella mi spaventa" concluse con un occhiolino simpatico.
"Ma perché lo eri? Lo sai che l'avremmo presa bene, siamo la tua famiglia." Chiese la madre.
"Lo so, ma non potevo esserne davvero sicuro e poi, non lo so, ero spaventato e basta." Ammise quasi imbarazzato.
"Ora possiamo mangiare?" chiese Carol, stanca di tutta quella faccenda.
"Si, mangiate" disse Colin ormai rilassato.
"Steph, mi devi dieci dollari." Esordì ancora Carol, tra una forchettata e l'altra.
"Avevi detto che tornava a piangere sulle nostre spalle, non che tornava felice come una farfalla." Le ricordò.
"Ho detto che sarebbe tornato a casa e ce l'avrebbe detto, il resto non conta." E porse il palmo aspettando la sua banconota.
"Smettetela di scommettere su di me!" urlò indignato Colin, rivolgendosi all'unica sorella che poteva capirlo.
Daphne lo fissò intensamente prima di alzare le spalle e dire: "ma sono soldi troppo facili quando si tratta di te."
"Almeno tu, ti prego" la supplicò il fratello.
Ma lei si limitò a sorridere e a dargli un bacio sulla guancia.
"Ma perché Harry non è venuto con te?" chiese Rob subito dopo.
"Beh" ora era davvero imbarazzato. "Volevo fare questa cosa da solo. Harry è così presente e lo amo davvero da morire per questo" e arrossì quando si rese conto delle sue parole, ma continuò tranquillamente vedendo il sorriso della madre. "Lui sta passando un periodo difficile in famiglia e non volevo dargli quest'altro peso."
"Ma ora che è tutto risolto potresti chiamarlo e potreste stare qui fino a lunedì." Propose la madre.
"Ottima idea! Invito anche Jason." Carol saltò subito dalla sedia per andarlo a chiamare.
"Sono felice che finalmente ci hai detto questa cosa così importante." Lo punzecchiò Steph.
"Non essere più acida con me, però!" si lamentò Colin, lanciandole un pezzettino di pane.
"Tu non volevi dirci di amare Harry, stavi per rinchiuderti di nuovo dietro al tuo muro e io... noi non potevamo permetterlo." Ammise fieramente la gemella.
Colin si stupiva ancora di quanto fossero cresciute e maturate le sorelle, ma non poteva che esserne felice. Erano tre folli adolescenti che sapevano essere sagge e infantili nello stesso momento.
Erano le sue piccole vittorie. La vita, infondo, era stata buona con lui.



Harry era nel suo appartamento giocando alla Play Station, chiedendosi come stesse andando la cena di Colin in famiglia.
A dire il vero non si sentiva molto preoccupato, aveva conosciuto quelle persone, e sembrava amassero il biondino come nessun'altro al mondo, ma capiva perfettamente la paura di Colin, soprattutto avendo come esempio la sua situazione attuale.
Era così fiero di Colin e di come voleva affrontare tutto da solo.
Quel disastro biondo era cresciuto troppo in fretta, ma su molte cose restava un bambino, e ora stava superando anche quell'ostacolo e, sebbene lui fosse a chilometri di distanza, sapeva che un po' era anche merito suo.
Come era merito di Colin se lui stava chiarendo con il padre un passo alla volta.
A volte si chiedeva cosa ne sarebbe stato della sua vita senza Colin. Chissà quando si sarebbe reso conto di essere gay, e chissà se avrebbe avuto il coraggio di confessarlo alla famiglia e agli amici. Chissà se avrebbe chiuso la porta in faccia a sua madre la prima volta che era andata da lui, e chissà se avrebbe continuato ad urlare contro il padre, o peggio, continuare a vivere nel silenzio.
Non lo sapeva, e sinceramente non voleva saperlo. Era solo grato di aver avuto Colin al suo fianco ogni volta.
Il suono del campanello lo fece tornare alla realtà e, messo in pausa il gioco, andò ad aprire.
Di certo non si aspettava di vedere suo padre con un vecchio completo da basket, quello che spesso usava per le partite in cortile con lui e il fratello, e un borsone ai suoi piedi.
"Ciao figliolo." Gli sorrise.
"Ciao" stava per chiamarlo papà, ma ancora non si sentiva pronto a far tornare davvero tutto come prima.
"Ti va una partita?" e dicendolo indicò la sua tenuta e il borsone.
Harry era molto confuso. Non avevano parlato molto dall'ultima volta, e sotto consiglio della madre e di Colin non aveva fatto pressioni. Ma ora come si doveva comportare?
"Ehm... sì, va bene." Disse infine. Era solo una partita, ma soprattutto era un passo avanti.
Entrò in casa e cercò nell'armadio una tuta.
Il padre lo seguì e quando vide cosa stava cercando lo fermò.
"Ho io il completino per te." Gli spiegò.
Harry lo guardò con un sopracciglio alzato chiedendo ulteriori spiegazioni.
Il padre sembrava quasi imbarazzato mentre si abbassava ad aprire il borsone che si era trascinato nell'appartamento.
Quando prese il contenuto, Harry spalancò gli occhi.
"Papà..." fanculo il suo proposito, quello era suo padre, e la maglietta che gli stava mostrando, così simile alla sua, non era una semplice maglietta, ma era quella di Chris.
"Ho solo pensato che era ora che prendesse un po' d'aria." Si giustificò il padre.
Harry non sapeva cosa dire. Il padre non era mai stato d'accordo quando si era appropriato del numero di maglia del fratello, e ora, addirittura, voleva fargli indossare la sua maglia.
"Ma tu non hai mai voluto..."
"Le cose cambiano, non credi? Sto cercando di agire nel modo giusto, sto cercando di farlo funzionare, Harry. Io e tua madre ne abbiamo parlato, e abbiamo capito che è davvero l'ora di superare la morte di tuo fratello." E per la prima volta non c'era titubanza nella sua voce nel pronunciare quelle parole.
"A nome anche di tua madre, ti chiediamo scusa se ci abbiamo messo tanto a capirlo."
Harry si asciugò le lacrime che minacciavano di cadere e prese tra le mani la maglietta che il padre gli stava porgendo.
"Allora, ti va questa partita?"
E Harry non poté che annuire, ed essere orgoglioso dei suoi genitori per la prima volta dopo tanti anni.
Avevano deciso di andare a giocare in un vecchio campetto malmesso, in un parco vicino la sua casa d'infanzia.
Non ci andavano spesso con Chris perché era sempre pieno di bambini, ma era ormai buio e quindi pensavano di non trovare molta gente.
Infatti trovarono solo tre ragazzi, uno dei quali, con una testa di ricci rossi, era seduto su una panchina fingendo di avere un microfono e facendo la telecronaca della partita dei suoi amici.
Harry si avvicinò a loro e gli rubò la palla, meritandosi degli insulti da parte del ragazzo di colore che stava per segnare un canestro.
"Possiamo giocare con voi?" chiese Harry palleggiando la palla rubata.
"Gioca anche il vecchietto?" chiese l'altro ragazzo, indicando con la testa il signor Montgomery.
Harry rise per l'appellativo dato al padre e annuì, ma il padre prese subito parola.
"Giochiamo, e poi vediamo chi è il vecchietto qua in mezzo." Lo provocò.
Il telecronista fischiò e allargando le braccia disse "Il gioco finalmente si fa interessante!"
Gli amici annuirono divertiti dalla situazione e senza altri preamboli iniziarono a giocare.
Dopo poco dovettero ammettere che il vecchietto giocava bene, ed era molto in sintonia con il figlio.
"Giocate spesso insieme?" Chiese il ragazzo di colore, che scoprirono si chiamava Archie.
Harry guardò il padre aspettandosi la sua risposta che non si fece attendere molto.
"Era da un po' che non lo facevamo, a dire il vero."
"Peccato, siete forti insieme"
Harry fu felice di quella constatazione e sorrise al padre che ricambiò rispondendo "Lo so."
Finita la partita in parità, i ragazzi salutarono e tornarono a casa, mentre padre e figlio si sedettero sulla panchina a guardare quel vecchio campo, ripensando alle vecchie partite.
"Mi ero quasi dimenticato quanto fossi bravo a giocare" gli confessò il padre.
"Succede quando non mi vedi giocare per anni." E Harry davvero non voleva lanciargli una frecciatina, ma certe abitudini erano dure a morire.
"Scusami, non volevo..."
"Hai ragione" lo interruppe il padre. "Ma forse potrei liberarmi per la prossima, che ne dici?"
"Solo se porti anche mamma." Si sentiva quasi un bambino per quella richiesta.
"Affare fatto." Gli promise il padre.
"Mamma mi ha detto che non vuole più divorziare" e dicendolo scoppiò a ridere, perché gli faceva troppo strano che la madre avesse minacciato il padre in quel modo.
"Tua madre" scosse la testa "tua madre mi conosce troppo bene e a volte ne approfitta, ma stavolta mi ha dato una svegliata, lo devo ammettere" e dicendolo si avviarono verso la macchina.
Entrati in macchina Harry aprì il discorso che più lo preoccupava.
"Papà... per il fatto della mia omosessualità, so che può essere ancora difficile per te accettarlo, ma sono contento che stiamo cercando un punto d'incontro." E sospirò, perché finalmente si sentiva libero di parlare apertamente con il padre.
L'uomo annuì. "Devo solo abituarmi, dammi del tempo."
E Harry annuì a sua volta.
Come con Colin, anche con la sua famiglia aveva bisogno solo di piccole certezze. Una dopo l'altra. Un passo alla volta.
La sua vita era scandita da passi rumorosi e brevi, ma gli andava bene così.



Quando Harry tornò a casa trovò tre chiamate perse da Colin.
Prima ancora di buttarsi sotto la doccia e lavar via tutto il sudore della partita, lo richiamò.
Dopo due squilli il biondino rispose: "Che fine avevi fatto?"
E Harry sorrise tra sé per quel tono quasi minaccioso, ma velato di preoccupazione.
"Non ci crederai, ma ero a giocare a basket con mio padre." Disse fiero.
"Davvero?! E come è successo? Sei andato da lui o è venuto lui? Che vi siete detti?"
Harry scoppiò a ridere per l'assurda curiosità del suo ragazzo.
Poteva essere maturato in tante cose in quell'ultimo periodo, ma la curiosità se la sarebbe portata nella tomba.
"Una domanda alla volta, piccola peste!" rispose pieno d'amore verso quel biondino che gli aveva rubato il cuore. "E poi hai tanto da raccontare anche tu."
"Oddio, è vero! Non ci crederai neanche tu..." e continuarono a raccontarsi cosa era successo quella sera, restando ore al telefono.
Prima di staccare Colin chiese ad Harry di raggiungerlo a casa per il fine settimana, ma il moro rifiutò a malincuore perché voleva davvero passare il sabato con i genitori, e la domenica con Gwen e Charlotte per raccontargli le novità.
Colin non ci restò male, era troppo felice per tutto il resto.
Gli strappò la promessa di sentirsi in ogni momento libero, e dopo le mille allusioni sessuali del moro staccarono senza riuscire a smettere di sorridere.
Troppe vittorie in così poco tempo potevano quasi essere preoccupanti, ma il timore di una prossima tempesta era troppo lontana dalle loro menti.



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