Capitolo 12

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I colpi alla porta subito accompagnati da una suoneria fecero bestemmiare di prima mattina Colin, e sentire Harry rispondere gli fece ribollire il sangue nelle vene. Quella Gwen stava diventando insopportabile. Harry ebbe la decenza di staccare velocemente, per poi abbracciarlo e dargli il buongiorno con un tenero bacio sulla guancia. Colin lo perdonò all'istante.
"Colin, perché hai chiuso a chiave? Alzatevi forza! Dovete venire a scuola."
La voce di Carol alle otto del mattino era qualcosa di odioso.
Colin spinse Harry giù dal letto, intimandogli di indossare una maglietta, e di mettersi sulla brandina, o almeno di spostare le coperte per far intendere che qualcuno ci avesse dormito.
Colin spalancò la porta e trovò Carol scocciata e già vestita che sbraitava.
"Noi andiamo a scuola, voi raggiungeteci, non fate tardi" detto questo corse giù per le scale.
Scesero a fare colazione, e Harry ottenne quattro baci sulla guancia, uno per donna della casa, come buongiorno. Era felicemente sorpreso, soprattutto perché gli ricordava il buongiorno che gli riservava Gwen quando si fermava a dormire da lei.
Fecero colazione da soli, perché subito uscirono tutti, la madre e Rob sarebbero andati a scuola e poi a lavoro, dandosi tutti appuntamento per pranzo.
Si vestirono velocemente per raggiungere la scuola a piedi. Colin aveva detto che non era distante, infatti dieci minuti dopo videro un'immensa struttura imporsi avanti ai loro occhi. Colin subito lo trascinò nel campo da calcio, raccontandogli di varie partite, anche se ad Harry non fregava nulla. Lo convinse a raggiungere le sorelle, e mentre camminava per i corridoi, guardava gli armadietti, e si immaginava il piccolo Colin passeggiare lì, con aria strafottente, e magari facendo il bulletto.
Colin invece, pensava di voler scappare da quella scuola, ma doveva resistere per le sorelle. Era stato il capitano della squadra solo l'ultimo anno, tutti sapevano chi fosse ma non era molto popolare, in realtà lui cercava di essere il più invisibile possibile. Vide Harry fermarsi accanto alla vetrine dei trofei, e sorrise a vederlo tutto concentrato.
"Questa è la tua squadra? Avete vinto il campionato"
Stava guardando la foto dell'ultimo anno, appunto, dove vinsero e stavano festeggiando baciando la coppa.
"Beh, con me come capitano ti aspettavi diversamente?"
Harry si accigliò guardando la foto.
"Ma qui non c'è il tuo nome."
Colin sbiancò, e lo trascinò via, dicendo che c'era, e che doveva raggiungere le gemelle.
Harry lasciò Colin cambiare discorso, ma lui aveva letto tutti i cognomi, e Evans non c'era. Le uniche C puntate erano Sullivan e Kent. Se non avesse visto la foto che inquadrava Colin con la coppa in mano e la fascia da capitano, avrebbe detto che lui non avesse partecipato al campionato.

Entrarono in un'aula immensa, dove c'erano su una parete disegnata la Torre di Pisa, e alcuni ragazzi stavano facendo la foto come a sorreggerla. Poi c'era il Colosseo, sempre disegnato. Daphne aveva un cappello d'artista e una tela, e faceva i ritratti ad alcune ragazze, improvvisandosi artista di strada. C'era un forno di legno, dove alcuni pizzaioli (ragazzini con un grembiulino bianco) sfornavano le pizze. Carol gli piombò addosso dicendo che dovevano assolutamente assaggiare la pizza, mollandogli due piatti in mano. Steph era in giro spiegando alcune cose agli adulti. Harry dovette ammettere che era tutto organizzato molto bene. E che la pizza era ottima. Daphne li costrinse a farsi ritrarre, anche se non riuscivano a stare fermi per più di tre minuti. Ma alla fine venne un bellissimo disegno che li ritraeva sorridenti. Daphne disse che l'avrebbe custodito lei, perché mancavano dei ritocchi che avrebbe ripreso a casa, e li spedì in Spagna. La Spagna era piena di donne in gonnella, qualcuno faceva finta di partecipare alla corrida con mantello rosso al seguito, e poi c'era la paella, che assaggiarono con gusto. Poi visitarono la Francia, conoscendo finalmente Tyler, un tipetto di colore, alto e scuro nei colori di capelli e occhi. Colin gli fece il terzo grado, e lo minacciò, per poi dargli una pacca sulla spalla. Harry non smise di ridere un secondo per quella scena ridicola. Colin si rifiutò di mangiare le escargot, mentre Harry, da perfetto snob figlio di papà qual era, lo rimproverava dicendo che si perdeva il meglio della Francia. Fecero una foto accanto alla torre Eiffel disegnata, e riguardandola sembravano davvero una coppia, perché Harry per scherzare l'aveva preso in braccio. Verso l'una avevano finito il giro, ed erano esausti, e avevano lo stomaco pieno avendo mangiato di tutto. Raggiunsero nuovamente le gemelle che stavano sistemando le ultime cose prima di poter tornare a casa, quindi si sedettero a terra nel corridoio ad aspettarle.
"Qual era il tuo armadietto?"
Colin si guardò intorno come a cercarlo. Poi individuò il 106, e lo indicò.
Harry si alzò e si avvicinò. Con assoluta scioltezza decise di scassinarlo.
"Ma che cazzo fai?"
"Vediamo ora di chi è."
"Ma ti sembra normale? Se ci vede qualcuno, non mi va di finire dalla preside. In tanti anni in questa scuola non ci sono mai finito, non mi va di conoscerla ora!"
"Davvero non sei mai finito dalla preside? Io ormai la mia la chiamavo per nome!"
Colin sbuffò e lo trascinò di nuovo a sedere, e non lo perdeva d'occhio neanche un secondo per paura che facesse qualche casino.
"Colin, dovevi essere davvero noioso!"
Il biondino non rispose, non era stato noioso al liceo, solo con altre priorità rispetto ai suoi coetanei.

A tavola, di nuovo tutti e sette, mangiavano il pollo. Harry pensò che Colin sapesse cucinare meglio della madre. Parlarono di quella mattina, confrontando i pareri e scherzando sull'incontro di Tyler e Colin.
Nel pomeriggio, la casa si svuotò. Steph era andata dal fidanzato, Carol da un'amica, Rob e Hannah invece erano andati a far visita alla madre di Rob. Gli unici in casa erano Harry, Colin e Daphne che guardavano un film. In realtà solo Harry lo stava guardando perché Colin si era addormentato sulla poltrona, mentre Daphne era impegnata a finire il loro ritratto.
"Posso vederlo?"
Daphne non rispose, probabilmente non l'aveva neanche sentito. Le appoggiò una mano sulla spalla e le rifece la domanda.
Lei quasi spaventata alzò gli occhi, per poi rilassarsi vedendo il viso sorridente di Harry.
"Si, ecco. L'ho appena finito."
Harry fissò il disegno. Cazzo, sembrava più bello di quello che in verità era, e poi Colin era perfetto, curato in ogni dettaglio.
"Ho notato che ti piace molto ritrarre Colin..."
Lei si illuminò a quel nome.
"Quando ero più piccola e ho imparato a disegnare decentemente ho notato che riuscivo a disegnare Colin perfettamente in pochissimo tempo, mentre per chiunque altro dovevo applicarmi di più. Non sto dicendo che disegno lui perché lo trovo più semplice, ma lo faccio perché è come se avessi i suoi tratti stampati nella mente o addirittura nella mano che dirige la matita. Sembra assurdo ma è così."
Harry pensò che quella piccolina aveva solo sedici anni ma era una persona molto profonda, dovette ammettere che il biondino aveva fatto un ottimo lavoro con quelle tre gemelline.
"Non è assurdo. E' tuo fratello, e a quanto so ti è stato vicino in molte situazioni, a volte il nostro subconscio trova il modo di trasmettere questo legame, in questo caso, attraverso l'arte."
Lei sorrise annuendo.
"Lo considero il mio eroe, e non solo perché ha rinunciato alla sua adolescenza per noi, ma per tutto quello che continua a fare." Si fermò un attimo, riflettendo sulle sue stesse parole, non aveva mai parlato di Colin a qualcuno che non fosse della famiglia, ma se Colin aveva portato Harry in casa, significava che si fidava di lui, e lei si fidava del fratello. "Lui non è solo un fratello, è un padre, una madre, un insegnante in alcuni casi, un dottore, un tranquillante per me. Lui è un eroe perché da quella sera..."
Colin, che aveva ascoltato tutto il discorso di Daphne facendo finta di dormire, pensò che era impossibile non amarla così tanto. Ma appena la sentì nominare quella sera, capì che doveva intervenire, interrompendola il prima possibile.
"Ehi che fate? Uh il disegno, posso vederlo?"
Daphne subito gli si avvicinò sedendosi sulle sue gambe, come quando era bambina e gli mostrava il suo nuovo disegno.
Harry odiò Colin per tre secondi, perché voleva conoscere la fine del discorso della ragazzina, ma vedendo quella scenetta così dolce, si arrese all'idea che era impossibile arrabbiarsi con qualcuno della famiglia Evans.
Daphne dopo un po' li abbandonò dicendo che avrebbe raggiunto Carol e l'amica, e si ritrovarono soli.
Harry guardava Colin, lo vedeva un po' a disagio non riuscendo a sostenere il suo sguardo.
"Evans che hai?"
Colin si accigliò, non gli piaceva che lo chiamasse per cognome, soprattutto quando erano da soli.
Harry gli si avvicinò, e si sedette in braccio a lui, proprio come aveva fatto prima la sorella. Colin scoppiò a ridere vedendo Harry aggrappato alle sue spalle.
"Ora non mi scappi, così mi spieghi perché hai interrotto Daphne, volevo sapere perché ti considera un eroe."
Colin aprì le gambe facendolo cadere a terra.
"Non so di cosa stai parlando." Si alzò e andò in cucina a prendere un bicchiere d'acqua.
Harry lo seguì e dandogli una pacca sul culo riprese il discorso.
"Colin, dopo mesi credi ancora di potermi mentire? So che eri sveglio, eri immobile, tu quando dormi non hai idea di quanto ti muovi. Quindi mi spieghi perché hai interrotto il monologo di tua sorella? Era la prima volta che ero interessato alle parole di una sedicenne!"
Beh, pensò, era interessato perché stavano parlando del biondino, ma non era necessario che lui lo sapesse.
"E poi non farmi più cadere, mi sono fatto male il culo!"
Colin rise vedendolo massaggiarselo con cura.
"Vai in camera, mettiti nudo a pancia sotto, ti vengo a massaggiare il culetto" disse con aria maliziosa.
Harry già si stava immaginando Colin che si prendeva cura di lui e del suo fintissimo dolore, quando capì il suo gioco.
Incrociò le braccia e lo guardò con aria di sfida.
"Mi credi così stupido da distrarmi con un po' di sesso?"
Colin aveva sperato di si.
Lo sorpassò e imboccò le scale, sentendo i passi di Harry dietro di sé.
"Evans, allora?"
Colin si stava per incazzare, perché sapeva che Harry lo stava facendo di proposito a chiamarlo in quel modo.
Salì in camera e gli chiese di chiudere a chiave.
"L'ho interrotta perché sapevo dove andava a parare il suo discorso, e quando parla di quella sera finisce male. Le viene un attacco."
Harry lo raggiuse sedendosi al bordo del letto. Daphne gli era sembrata tranquillissima, ma non sapeva le modalità degli attacchi, quindi decise di credergli, almeno in parte.
"Solo per questo quindi?"
Colin si guardava le punte delle scarpe. Lui aveva scelto di portarlo con sé in casa, e gli doveva la verità. Gli avrebbe fatto male parlarne, ma preferiva che quelle parole uscissero dalle sue labbra e non da una delle sorelle come stava accadendo. Respirò più lentamente prima di parlare.
"Anche perché mi avrebbero fatto male quelle parole. E sinceramente preferisco essere io a raccontarti di quella sera."
Harry non si ricordava nemmeno che Daphne avesse accennato a "quella sera", ma visto che Colin sembrava sul punto di confidarsi con lui, non aveva la minima intenzione di fermarlo. Gli mise una mano sulla gamba, e strinse un po', e fu felice che Colin appoggiò la sua mano sulla sua.
"Mio padre picchiava mia madre."
Colin ingoiò a vuoto, deciso a dire tutto senza interrompersi, per paura di scoppiare a piangere, o di non avere più il coraggio di continuare. Decise anche di non guardare Harry, sarebbe stato più facile continuare a fissarsi le scarpe.
"Mai davanti a noi figli, ma io lo sapevo. Ero piccolo, non potevo fare molto. Mia madre non voleva denunciarlo, l'avevo sentita parlare con mia nonna, dicendo che da quando erano nate le gemelle si era calmato, che non alzava più le mani come un tempo, e che avevamo bisogno del suo stipendio per andare avanti. Io sinceramente odiavo mio padre, odiavo i pianti di mia madre, e soprattutto vederla nascondere i lividi. Odiavo anche come trattava in maniera amorevole le gemelle, non credo di aver mai più incontrato una persona più falsa.
Quella sera, avevo dodici anni, più o meno, sentii un rumore di vetri infrangersi, e poi dei singhiozzi. Subito capii che stava succedendo, e non lo so, ero arrabbiato, mi sentivo più grande, e credevo di poter affrontare mio padre e proteggere mamma. Corsi in cucina, e vidi tutti i bicchieri rotti a terra e mia madre in un angolo, mio padre le dava calci e pugni, e lei reagiva invano. Inizia a gridare, dicendo che non doveva toccarla, che sarei andato dalla polizia. Non ricordo di preciso, so solo che dissi tante cose finché lui non mi zittì con uno schiaffo. Non mi aveva mai toccato, mai. Reagii, ma ovviamente lui era più forte, iniziò a picchiarmi, mentre mia madre cercava di fermarlo. Io ero lì a terra e piangevo, le botte facevano male, ma piangevo perché quel mostro era mio padre. Il mostro che aveva fatto del male a mia madre e che ora stava picchiando me, era mio padre. La cosa che faceva più male era sapere che non era l'alcol ad offuscargli la mente, no, lui non beveva. Era violento e basta. Proprio di suo. Solo l'idea che nelle mie vene scorresse il suo stesso sangue mi fece stare male. Beh, tutt'ora se ci penso trattengo a stento il vomito.
All'improvviso sentimmo la vocina di Daphne che ci chiedeva che stava succedendo. Aveva un pigiama azzurrino con delle mucchette, forse. Sta di fatto che mio padre, preso dall'ira, la spinse e lei cadde a terra. Aveva sette anni, era una bambina, ed era stata spinta dal proprio padre a terra, e aveva sbattuto il naso su una sedia. Il grido di mia madre squarciò il silenzio della notte, sovrastando anche i rumore della televisione.
Non riuscivo a muovermi, avevo dolori ovunque, ma appena vidi il sangue uscire dalle labbra e dal naso della mia sorellina mi alzai in piedi e corsi da lei. Mio padre ci fissava come appena resosi conto dell'atto crudele, quando mia madre gli disse che doveva andarsene e non tornare mai più. Lui forse facendosi un esame di coscienza capì che gli conveniva. Da allora in quell'uomo non ho più rivisto mio padre."
Strinse più forte la mano di Harry, che non sapeva che dire. Ma Colin non aveva finito.
"Dopo quella sera Daphne iniziò ad avere i primi attacchi di panico, ti ho già spiegato poi come siamo arrivati ad una soluzione. In ogni caso mia madre chiese il divorzio, iniziò a lavorare di più all'ospedale perché da quell'uomo non volevamo nulla, manco i soldi del mantenimento. In quel periodo ho capito quanto forte fosse mia madre, e la appoggiavo in tutto. Avevamo deciso insieme di chiudere quell'uomo fuori dalle nostre vite. Le gemelle chiedevano spesso di papà, tranne Daphne, che ne parlava con lo psicologo. Se ci ripenso mi sale una rabbia assurda, aveva sette anni cazzo, e io invece di accompagnarla al parco, dovevo accompagnarla dallo strizzacervelli!"
Strinse i pugni sulle ginocchia e Harry subito gli prese le mani e se le portò alle labbra per baciargliele. Colin, però, ancora non aveva la forza di alzare lo sguardo.
"Un pomeriggio, mentre Daphne era con lo psicologo, e le gemelle dalla nonna, venne papà. Ero solo in casa, e lui aveva ancora le chiavi. Mi chiusi in camera perché avevo paura, davvero tanta paura. Lo sentii urlare, dicendo che era stata colpa mia se mamma aveva chiesto il divorzio, che se io non avessi fatto l'eroe tutto quello non sarebbe successo, che lui non avrebbe spinto la bambina. Io mi sentii uno schifo, volevo mia mamma, ma lei era a lavoro, potevo anche gridare ma nessuno mi avrebbe sentito. Mio padre mi intimò di aprire la porta ma io cercavo un modo per scappare dalla finestra. Perse la pazienza e sfondò la porta della mia stanza. Ricordo solo che mi assestò un pugno sull'occhio, poi sentii dei passi veloci e vidi Rob che sbatteva mio padre fuori di casa. Se non fosse arrivato Rob davvero non so come sarebbe andata a finire, e tutt'ora ringrazio il cielo che avesse un forte raffreddore da farlo tornare prima a casa e soprattutto da venire a chiedere un'aspirina alla mia famiglia, sentendo così tutto quel baccano"
Harry fece per trascinarselo addosso, ma Colin rifiutò per paura di cedere, restando rigido al suo posto.
"Dopo quello mio padre rinunciò anche a noi figli. Accettò il divorzio per paura di una denuncia, e rinunciò a tutto. Noi non l'avremmo mai fatto, non perché non lo meritava, ma perché in tribunale non avremmo mai fatto testimoniare Daphne, e mia madre non voleva neanche che lo facessi io. Diceva che ne avevamo già passate troppe quindi voleva solo quell'uomo fuori dalle nostre vite, in tutto e per tutto. Per questo poi sono stato io a prendermi cura delle mie sorelle, stavo anche per rinunciare al calcio, ma mia madre mi obbligò a continuare, perché voleva che andassi al college, e mi serviva la borsa di studio. Ne fui felice, sai il calcio mi faceva sentire il ragazzino che ero, quelle poche ore mi bastavano per vivere l'adolescenza che non mi stavo godendo. Ancora oggi quando gioco mi sembra di avere dodici anni. Comunque a scuola non ero popolare, cioè tutti conoscevano il mio nome, ero il capitano della squadra, ma tutti sapevano anche di mio padre, e in un paesino come questo, certe cose, anche dopo anni, non vengono dimenticate. Ero il figlio di un mostro. Da parte mia, non ho mai cercato di fare amicizie, non potevo permettermi un legame con persone al di fuori della mia famiglia. Rachel aveva trovato il modo di starmi accanto, perché mi aiutava con le mie sorelle, ma non gliel'ho mai chiesto io. Non festeggiavo con la squadra dopo le partite, e non andavo a bere qualcosa con loro dopo gli allenamenti. Semplicemente non potevo, dovevo tornare a casa e preparare la cena, leggere le fiabe e rimboccare le coperte. Penso che mia madre si sia sentita in colpa per questo, ma io credo che se non l'avessi fatto mi sarei sentito un mostro come mio padre. Lui ci aveva abbandonato, beh, ne eravamo stati felici, ma comunque ci aveva lasciati, e io non potevo fare lo stesso."
Finalmente alzò lo sguardo su quello di Harry. Si sorrisero debolmente, poi Harry se lo strinse al petto, e Colin, questa volta, glielo lasciò fare.
Il biondino non si era fatto scappare neanche una lacrime. Non ne aveva mai parlato per paura di cedere, e invece, ora, aveva raccontato tutto, e si sentiva quasi meglio, con un peso in meno sul cuore.
Harry finalmente stava mettendo i pezzi del puzzle al posto giusto. Aveva capito perché Daphne soffrisse di attacchi di panico, e si ricordò perfino del tizio che andò ad aggiustare la porta il giorno in cui scoprirono la distrazione della bambina. Capì perché Colin era così legato alle sorelle, e perché sentiva la necessità di essere così presente nelle loro vite. Pensandoci, capì anche perché Colin ci teneva alla sua popolarità all'università. Lì era popolare perché era Colin Evans, e non perché aveva il padre che picchiava la madre. Colin in quella popolarità vedeva tutta l'adolescenza che non aveva avuto, tutti gli amici che si era privato di avere, e finalmente una vita da ragazzo della sua età. Si sentì uno stupido per averlo preso in giro, ma era contento di averne capito finalmente il motivo.
"Quindi il divorzio è stata la vostra seconda vittoria?"
Colin sorrise, e annuì.
Harry però non capiva perché la mamma di Colin, pur avendo passato tutto questo, si fosse presentata con il cognome dell'ex marito. Poi come un lampo gli tornò in mente la lista dei nomi della squadra di calcio che aveva letto quella mattina, e capì.
"Sullivan o Kent?"
Colin si sdraiò sul letto trascinandolo con sé.
"Come...?"
"Oggi, le uniche C puntate erano Sullivan e Kent. Tu mi hai detto che il tuo nome c'era, quindi qual era il tuo nome?"
Colin sorrise, Harry era davvero un tipetto sveglio e intelligente.
"Sullivan. Colin Sullivan."
"Colin Evans suona meglio."
Il biondino scoppiò a ridere.
"Carol ha detto la stessa cosa."
Harry si sdraiò su di lui e lo baciò. Colin aveva scelto di fidarsi di lui, e lui non l'avrebbe deluso.
"Prendere il cognome di mamma non è stato facile, ma è stata un'altra vittoria. Forse la più importante."
Colin lo credeva davvero, dopo anni grazie ad alcune amicizie di Rob erano riusciti a far cambiare cognome anche alle gemelline ancora minorenni, ma la cosa importante era che con quel mostro non avevano più nulla in comune, solo il sangue, ma quello non potevano cambiarlo.
Harry, si mise a cavalcioni su Colin, continuando a baciarlo.
"D'ora in poi, sarò io a prendermi cura di te."
Harry credeva davvero in quello che aveva detto. Il senso di protezione che aveva verso il biondino si era triplicato, e lui voleva solo tenerlo al sicuro. E pensandoci, doveva tenerlo al sicuro, soprattutto, dal suo sentimento. Dopo tutto quello che aveva passato, Harry non gli avrebbe mai chiesto di rinunciare alla sua vita per stare con lui alla luce del sole. Non l'avrebbe mai privato di quello che si era costruito pur di riavere un minimo di normalità. Si sarebbe fatto bastare quello che Colin poteva dargli. Poteva farlo. Poteva amarlo in silenzio, accontentandosi solo delle notti, di quei baci e quelle carezze nascoste. Avrebbe fatto di tutto per rendere quel biondino felice. Anche rinunciare al suo stesso amore.
Si alzò, e trascinò Colin con sé.
"Dove hai la palla?"
Colin lo guardò con aria interrogativa.
"Non fare quella faccia. Sono sicuro che uno come te ha un pallone in casa. Forza, vallo a prendere, ti aspetto in giardino."
Così dicendo corse in giardino, mentre Colin ancora dubbioso andava a prendere il pallone, perché si, lui ovviamente aveva un pallone in casa.

Uscito fuori, vide Harry a petto nudo che sistemava la sua maglia a terra.
Appena lo vide gli sorrise dicendogli di togliere la maglietta e passargliela, spiegando che stava creando una porta del campo di calcio. Colin lo assecondò felice dell'idea dell'amico, notando che dall'altro lato i pali della porta erano un albero e il secchio delle mollette da bucato.
"Allora, iniziamo. Uno contro uno. Riprendiamoci i tuoi dodici anni."
Detto questo calciò il pallone ai piedi di Colin iniziando a correre verso la sua "porta".
Il biondino era semplicemente felice.
Harry si era sempre preso cura di lui, senza neanche rendersene conto, ora invece aveva scelto di farlo, di proteggerlo. Tutto quello che provava per lui lo sovrastata, spesso impedendogli di pensare lucidamente. Non era sicuro fosse amore, o qualcosa del genere, sapeva solo che non avrebbe rinunciato a lui, non avrebbe soffocato quel sentimento senza nome, voleva viverselo al meglio, senza porsi domande o cercando invano delle risposte.
L'uomo che ce la stava mettendo tutta per fare almeno un goal, pur sapendo che se l'avesse fatto era semplicemente perché lui stava imbrogliando; l'uomo che faceva un finto broncio ogni volta che era lui a fare goal, ma che poi gli sorrideva fiero; l'uomo che con una partitella di calcio gli stava dimostrando di esserci, sempre. Quell'uomo era una vittoria. La sua vittoria. Tutta sua.

La sera decisero di andare a cena fuori, in una pizzeria molto frequentata. Ordinarono velocemente e nel frattempo si intrattenevano chiacchierando come due veri amici.
Quella situazione era strana, per la prima volta potevano essere in una pizzeria, avanti ad altra gente, e potevano ridere e scherzare come se nulla li preoccupasse. Harry si sentì un po' geloso pensando che gli amici di Colin potevano vederlo in quelle vesti ogni qual volta desiderassero, mentre lui doveva aspettare di essere a chilometri di lontananza dall'università per essere semplicemente amico del ragazzo che amava. Cacciò via questi pensieri, appena notò uno sguardo scrutare le spalle di Colin attentamente. Artefice dell'attenta analisi era una ragazza dai lunghi capelli neri, con dei jeans forse troppo stretti, e una maglietta bianca a righe azzurre, e le converse bianche. Beh, era bellissima anche se vestita in maniera molto semplice, poco da dire.
Colin seguendo lo sguardo di Harry alle sue spalle, si girò.
"Rachel!"
Cazzo, era quella Rachel?
"Colin! Oddio, ti stavo guardando, ma non ero sicura fossi tu."
Si scambiarono un tenero abbraccio e un bacio sulla guancia.
Harry li fissava, e il modo in cui Rachel guardava Colin non gli piaceva proprio. Tossì per attirare l'attenzione.
"Oh, Rachel questo è Harry, il mio... amico"
Harry notò l'indecisione di Colin su come presentarlo.
Le strinse la mano facendo il sorriso più falso possibile.
"Come stai? Ho incontrato tua madre, ammetto che speravo di incontrarti" dicendolo gli accarezzò lentamente una spalla.
Harry si trattenne da staccarle la testa a morsi.
"Si, mamma me l'ha detto. Ma con chi stai? Vuoi unirti a noi?"
Ok, Harry avrebbe volentieri sbattuto la testa di Colin sul tavolo ripetutamente. Che cazzo gli saltava in mente di chiedere? Lui di certo non era contento all'idea di passare la serata con quella. Ma ovviamente sorrise cordiale.
"Mi piacerebbe, ma sono con delle amiche, e abbiamo ordinato la pizza per portarla a casa."
Che peccato.
"Infatti dovrei raggiungerle, vedo che già hanno preparato la nostra ordinazione. Ma sono stata felicissima di vederti, magari ci sentiamo, domani mattina parto presto, ma torno per l'estate, potremmo passare un po' di tempo insieme."
Sorrideva troppo dicendo queste cose, e le sue mani erano troppo vicine al corpo del biondino per i gusti di Harry. Non poteva avere un'amnesia temporanea in modo da dimenticare che Colin l'avesse scopata, e che lei provava qualcosa, in modo da non notare tutte queste cose? A quanto pare, no. Che poi, pure Colin sembrava troppo felice di parlare con lei. Doveva ricordarsi che praticamente era l'unica amica del liceo, ma comunque lo stava ignorando, come se quella Rachel avesse prosciugato tutto l'interesse che Colin provava per lui. Erano paranoie assurde, ma si sentiva trascurato.
"Mi farebbe molto piacere. Dai allora ci sentiamo, il mio numero è sempre lo stesso."
Si abbracciarono, promettendosi di rivedersi, e cazzate varie, poi Colin tornò seduto.
"Molto bella, tua mamma aveva ragione."
Colin lo guardò sorridendo, senza fare commenti.
"Saprai con chi trastullarti mentre sarai qui quest'estate."
Si sforzò di sembrare il meno infastidito possibile.
Colin dal canto suo, scosse la testa.
"Non credo. Cioè non sono cieco, ho visto come mi ha guardato, sicuramente ci starebbe, ma è solo una vecchia amica. E poi al momento non è che sono in cerca di qualcuno."
E lo guardò come ad intendere che se c'era lui, pure Cher era quasi un peso.
Harry però non si fece incantare.
"Parli ora. Quest'estate non avrai né Cher, né me. Sai che vado negli Hampton dai miei, ci tengono a fare la famigliola felice almeno qualche settimana di agosto."
"Non sono un drogato di sesso. Vivrò benissimo anche senza scopare un mese."
Detto questo, chiuse il discorso. Sinceramente non gli andava di sapere che Harry si andava a scopare le americane, avendo addirittura paura che potesse dimenticarlo. Lui voleva solo mettere in chiaro che l'avrebbe aspettato, anche senza dirlo apertamente.
Harry era compiaciuto della fine del discorso, ma non era tanto sicuro di potergli credere. Era pur sempre un uomo, e Rachel un gran pezzo di figa. Decise comunque di non aggiungere nulla, godendosi la pizza quattro formaggi che gli avevano appena servito.

Stavano passeggiando tornando a casa, quando una goccia di pioggia cadde sul naso di Colin. Harry la baciò via, senza curarsi di essere nel bel mezzo di una strada affollata. Quella goccia fu solo l'inizio di una pioggia fitta ed insistente.
Ridendo come due bambini corsero a riparo sotto un portone, ma ormai erano completamente zuppi.
"Il sogno di ogni ragazza è baciare il proprio principe azzurro sotto la pioggia."
Harry scoppiò a ridere alle parole di Colin.
"Scusa allora, se non sono un principe azzurro, e se non ti sto baciando."
"Ehi, mica sono una ragazza io!" disse piccato il biondino.
Harry lo scrutò un po', per poi toccargli il pacco e affermare convinto che no, non era affatto una ragazza.
Ormai erano bagnati, la pioggia non sembrava voler smettere quindi decisero di incamminarsi lo stesso verso casa, riparandosi sotto i balconi dei palazzi. Non si tenevano per mano e non si lanciavano sguardi d'intesa. Semplicemente camminavano uno accanto all'altro, a testa alta, sotto la pioggia. Finché Harry non trascinò Colin quasi di peso in un piccolo vicoletto. Non lo schiacciò al muro, anche se la tentazione era tanta, ma si fermò nel bel mezzo di quella piccola stradina, appoggiò le mani sulle guance del biondino, che sbatteva le palpebre per scacciare l'acqua che gli finiva quasi negli occhi, e lo baciò. Era diverso da quei baci passionali, dettati dalla voglia di divorarsi a vicenda, ma non era nemmeno dolcissimo, o tenero come il primo bacio dei dodicenni. Era solo perfetto. Harry accarezzava con la lingua il palato di Colin, assaggiava il suo sapore, mentre il biondino rispondeva con altrettanto trasporto, assaporando quel momento come se si stessero baciando a rallentatore. Si sentiva come il protagonista di un film nella scena finale, dove finalmente riceve il bacio del ragazzo per il quale ha una cotta. Aprì un po' gli occhi, e vedere Harry con gli occhi chiuse che lo continua a baciare e stringergli il viso tra le mani lo fa sentire davvero felice, come se dopo quel bacio possa arrivare davvero il The End. Richiuse gli occhi, strinse in maniera possessiva le mani sui fianchi del moro, sperando che quel bacio duri per sempre, come la pioggia che continua a scendere sui loro corpi, e non si cura neanche del raffreddore che potrebbe venire ad entrambi, perché è solo il piccolo prezzo da pagare per vivere il momento migliore della sua vita. Il momento in cui si sente davvero amato. 

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