Sentendo un urlo Colin dimenticò le buone maniere e corse per le scale di quella casa sconosciuta, aprendo tutte le porte trovate sulla sua strada alla ricerca di Daphne.
Quando aprì la seconda porta sulla sinistra si rese conto che questa era chiusa a chiave dall'interno e che era stato seguito da Amanda, dalla madre e da Rob.
Non ci pensò due volte e la colpì con la spalla, intenzionato a romperla. Ma, non trovandosi in un film di serie B ma nella vita reale, ottenne solo un gran dolore e numerose imprecazioni notando la porta ancora intatta.
Era pronto a riprovarci ancora una volta, quando Rob lo anticipò e la buttò giù.
Colin non si fermò a pensare sul perché l'uomo sembrasse non essersi fatto neanche un po' male, perché quello che vide lo bloccò sull'uscio.
Colin aveva sempre odiato quei sogni in cui venivi rincorso da qualcuno o da qualcosa ma non riuscivi a muoverti e, per quanto tu fossi spaventato e ordinassi alle tue gambe di scappare, restavi fermo lì, senza la possibilità di fare nulla.
E odiava ancora di più quando gli succedeva nella vita reale.
E, ultimamente, gli capitava troppo spesso.
Un altro urlo lo fece rinsavire, e si accorse di non essere l'unico immobile fuori dalla porta ormai spalancata.
Mentre arrancava sulle scale, subito dopo aver sentito il primo urlo, aveva immaginato le scene peggiori che andavano da Karl che picchiava la sorella a Daphne ferita e sanguinante.
Era terrorizzato all'idea di quello che potesse trovare, ma di certo non si aspettava di vedere quello che davvero stava accadendo.
La stanza era una specie di studio. C'era una scrivania abbastanza grande di legno con sopra molte scartoffie e un computer portatile. Sulla destra c'era un divano in pelle marrone con un tavolino con sopra dei sigari e una libreria alta quanto la parete.
Daphne era in piedi accanto alla poltrona e i suoi capelli, legati in una coda alta e disordinata, erano intrappolati tra le mani del padre, che aveva graffi su tutta la guancia e il collo, alcuni tanto profondi da sanguinare.
Vide le unghie della sorella continuare a sfigurare il volto di Karl e gridare, non di paura, perché nei suoi occhi non c'era terrore, ma determinazione.
Notò con orrore i piccoli lividi alla base dei polsi, come se Karl avesse provato a bloccarla, e gli si fermò il cuore quando vide un livido già quasi viola sullo zigomo sinistro.
Daphne voltò lo sguardo solo per un attimo, incontrando quello del fratello, e come se quel piccolo contatto visivo le avesse dato la forza necessaria a fare l'ultima mossa, portò indietro il ginocchio e, piantando i suoi occhi verdi e accesi in quelli così simili di suo padre, lo colpì sui genitali.
Si godette con un piccolo sorriso vittorioso alla reazione stupita e dolorosa dell'uomo che l'aveva presa in giro per troppo tempo e a quella meravigliata degli spettatori.
Karl cadde sul divano e Daphne lo guardò con aria di superiorità e, girandosi verso la sua famiglia e Amanda, con occhi ardenti disse: "Non mi piace essere presa in giro, e Carol dice sempre di colpire ai paesi bassi quando devo difendermi."
Colin a quel punto avrebbe davvero voluto battere il cinque alla sua sorellina finalmente rinsavita, ma prima di tutto corse ad abbracciarla.
Lei si accoccolò tra quelle braccia che tanto le erano mancate e, ritrovando quel calore familiare, sentì la stretta del senso di colpa avvolgerle il petto.
Guardò gli occhi ancora fiammeggianti del padre e con un piccolo singhiozzo diede voce ai suoi tormenti: "La sensazione di potenza che ho sentito mentre ti graffiavo e ti aggredivo mi ha fatto capire il perché sei un mostro: un potere del genere, l'adrenalina generata dalla violenza è qualcosa che non ottieni sempre, e desideravi che Colin fosse come te per rivivere quella sensazione senza sentirti l'uomo spregevole che in realtà sei, perché se lui fosse stato come te, avresti biasimato te stesso. Mi dispiace tanto che Colin non sia il mostro che speravi, ma solo una persona migliore di te."
Alzò lo sguardo su quello impietrito del fratello e poi in quello desolato della madre, supplicando silenziosamente perdono.
"Daphne..." cercò di consolarla la madre, senza trovare le parole adatte.
La ragazzina forzò dolcemente un sorriso prima di sfogarsi: "Averti come padre non comprendeva rinnegare la mia intera famiglia, e sono stata così stupida a permetterti, fino ad oggi, di trattarmi come un'arma per ferire le persone che amo. Se accettare questa situazione significa avere un padre, sarò felice di non averlo per il resto della mia vita."
Fulminò Karl, ancora sul divano, spaventato all'idea di essere aggredito da tutte quelle persone se solo avesse provato a ribattere.
Si avvicinò alla porta e si girò verso Amanda, guardandola in maniera compassionevole.
"In questo poco tempo ti ho osservata e ho capito quanto ami Karl, e mi dispiace se solo oggi hai scoperto che non è l'uomo che credevi fosse, ma lui ha solo bisogno d'aiuto, e ho il presentimento che tu non lo abbandonerai."
E poi, rivolgendosi alla madre, con gli occhi bassi e colpevoli: "Torno a casa a piedi, ho bisogno di riflettere" e, scuotendo la testa e la lucente coda bionda per scacciare le lacrime aggiunse: "Scusa se sono scappata, ti prometto di non farlo più" ma questo lo disse più a Colin che ad Hannah.
Infine, prima di voltarsi e lasciarsi alle spalle il suo passato, guardò il padre, e questa volta era sicura che sarebbe stato per l'ultima volta, e forzando o un sorriso e trattenendo le lacrime disse: "Ci avevo creduto davvero. Avevo ingenuamente pensato che tu fossi diventato una persona migliore. E invece sei rimasto la feccia che eri, Karl Sullivan."
E con queste ultime parole, Daphne Evans abbandonò quella casa e il suo desiderio di avere un padre.
Mentre percorreva il viale per immergersi poi sulla strada principale, si rese conto che in quella casa aveva anche lasciato la ragazzina che era un tempo.
Per Daphne era arrivato il giorno in cui era maturata ed era diventata una vera donna.
Non sempre quella metamorfosi era legata alla perdita della verginità e al macchiare le lenzuola di sangue.
Era un cambiamento interno alla persona ad innescare tale processo.
Poteva accadere il giorno della maturità quando, guardando negli occhi gli insegnanti, ci si rendeva conto che erano scemati tutti gli anni passati ad odiarli, trasformandoli in preziose guide per il futuro.
Oppure quando si perdeva una persona importante, e la vita ti costringeva a crescere anche quando non si vorrebbe.
O quando si comprende di aver sempre inseguito un sogno che non potrà mai avverarsi.
Si cresce, si matura e si cambia, ma a nessuno succedeva per lo stesso motivo.
E per Daphne quel giorno era arrivato.
All'interno di quella stanza erano ancora tutti sconvolti.
Rob si avvicinò pericolosamente a Karl minacciandolo ed intimandogli di non farsi più vedere in giro, altrimenti una cella in prigione l'avrebbe aspettato a sbarre spalancate.
Hannah ignorò platealmente l'uomo, rivolgendosi subito ad Amanda, la quale non la lasciò parlare.
"So cosa vuoi dirmi, e lo apprezzo. Ma Daphne ha ragione, io amo Karl e non riesco ad immaginare una vita senza di lui. Imparerò a difendermi se proverà a mettermi le mani addosso, ma starò al suo fianco, cercherò di aiutarlo..."
"Ma sono anni che prova a cambiare, ed è solo diventato un essere ancora più spregevole!" Hannah cercava di farla ragionare inutilmente.
Amanda le prese le mani tra le sue e le strinse in una morsa quasi amorevole.
"Tu sei una madre, hai divorziato perché avevi quattro figli da proteggere, non si trattava di te, vero? Si trattava di loro. Ma io... io non ho che lui. E lo amo. Lo amo abbastanza da voler restare qui a medicargli le ferite e a consolare il suo orgoglio ferito. È malato, non posso lasciarlo solo. Lo amo tanto da sperare che un giorno possa cambiare."
Hannah ingoiò a vuoto. Come poteva ribattere quando quella giovane donna aveva ormai deciso per sé?
Amare così tanto un uomo da affrontare una situazione simile senza il minimo timore.
Cercò con lo sguardo Rob e gli sorrise, un sorriso pieno d'amore che catturò l'attenzione di tutti i presenti.
Colin, una volta, aveva letto da qualche parte che quando due persone si amavano era impossibile nasconderlo. Eppure lui e Harry l'avevano nascosto piuttosto bene, ma si amavano comunque tantissimo.
Quindi c'era chi, come loro, era capace di amarsi in silenzio, senza disturbare.
Questo non significava che l'amore fosse meno profondo, vero?
Il discorso di Amanda l'aveva scosso. Si poteva davvero amare fino a quel punto?
E lui davvero stava rinunciando all'amore della sua vita per una cosa così futile come la popolarità, la voglia di riscattarsi per la sua mancata adolescenza e la paura di un coming out?
In quel momento pensò che Daphne avesse torto quando diceva che lui fosse una persona migliore. Forse non era il mostro che sperava suo padre, ma lo era comunque. O almeno così si sentì pensando a Harry.
Si avvicinò a Karl e lo studiò come i bambini osservano gli animali allo zoo.
Avrebbe voluto dire tante cose, ma decise di non dire nulla perché vederlo così piccolo e debole sul divano gli fece addirittura pena.
Sapere che la sua piccola sorellina avesse procurato all'uomo tutti quei graffi sanguinanti, non gli impedì di trattenere una risata. Vide a terra un fermacarte a forma di sasso decorato e leggermente sporco di sangue, e capì che probabilmente anche la ferita sulla fronte era opera sua.
E ridendo ancora sonoramente, sfidò con lo sguardo il padre che, invece di reagire, chiuse gli occhi, scappando così dal suo incubo.
Colin, stanco di quella situazione, uscì anche lui per la prima e ultima volta da quella casa e corse per raggiungere la sorella.
Si fermò con il fiatone, appoggiò le mani alle ginocchia per riprendere abbastanza fiato da urlare alla sorella di fermarsi.
Daphne, sentendosi chiamare, si girò e si asciugò al volo le lacrime mentre aspettava che il fratello la raggiungesse.
Colin, fermatosi davanti a lei, notò gli occhi rossi e gonfi ma non disse nulla, avvolse le sue spalle con un braccio e ripresero la passeggiata, abbracciati.
"Mi dispiace."
Colin non rispose.
"Sai, ho creduto davvero in Karl. Volevo così tanto che fosse cambiato tanto da convincermene e nascondervi tutto. Non sai quanto mi senta in colpa per tutto questo. È tutta colpa mia se siete stati male e davvero non so come..." si fermò tirando su col naso.
"Mi odi? Mi perdonerai mai?" chiese di nuovo in preda ai singhiozzi.
Colin si fermò e mettendole entrambe le mani sulle spalle la costrinse a guardarlo.
"Daphne guardami! Io sono tuo fratello, e per quanto fossi deluso dal tuo comportamento, in un certo senso comprendevo le tue ragioni. Non ti ho mai odiata, e dico sul serio quando dico mai. E ti ho già perdonata. Ti ho perdonata nel momento in cui ho visto quello che è successo in quella stanza..."
"Ma non sai cosa è successo!" protestò debolmente Daphne.
"Ho visto abbastanza. Ho visto la mia sorellina difendere la proprio famiglia e se stessa, e questo mi basta. Da oggi non sarò più il tuo eroe, perché non ne hai più bisogno. Oggi sei diventata l'eroina di te stessa, e sono fiero di te!"
La guardò asciugarsi le lacrime, e mentre le accarezzava il livido sullo zigomo, prova del suo coraggio, si chiese come aveva davvero creduto di poter restare arrabbiato con lei per più di tre giorni.
"Ora, secondo te, per quanto tempo dovrò far finta di tenerti il muso per non avermi invitato alla tua rivincita su pap-Karl?"
Lei rise forte, quella risata piccola e poco acuta che la caratterizzava, e il cuore di Colin quasi scoppiò dalla felicità di aver riavuto indietro la sua bellissima sorellina.
Si abbracciarono forte, e quando Daphne disse: "Ti porterò la colazione a letto tutti i giorni che sarai a casa per un anno intero per farmi perdonare" lui la strinse più forte, perché entrambi sapevano che non ce ne era bisogno, ma era lo stesso bello che lei ci avesse pensato.
Avevano proseguito abbracciati e in silenzio.
"Io ho aggredito Karl" ruppe il silenzio, trovando sorprendentemente facile chiamare Karl quell'uomo che poche ore prima aveva chiamato papà.
Colin strinse la sua mano sulla spalla della ragazza per incitarla a continuare.
"Quando sono scappata, beh, ero arrabbiata con voi, ma le tue parole mi avevano turbata, sai quando hai difeso Harry, dicendo che c'era un motivo alla sua reazione. Io non ho voluto sentire ragioni ma mi avevi messo la pulce nell'orecchio, quindi sono andata alla ricerca di spiegazioni, ma avevo paura di chiederlo a voi. Mi ero fatta quella sparata e non mi sembrava il caso."
Colin non era per nulla d'accordo ma annuì, non era il caso di polemizzare al momento.
"Quando sono arrivata da lui, siamo andati nello studio e stavo applicando la crema su un livido quando gli ho chiesto cosa fosse successo, e lui mi ha detto che il tuo amico era pazzo, e vabbè meglio non ripetere quello che ha detto. Sinceramente mi sembrava strano, conosco poco Harry, ma non credo che tu frequenti persone psicopatiche. In ogni caso, è stata solo una frase a farmi scattare, ed è stato tutto nuovo per me, io sono sempre così calma e accondiscendente. Carol e Steph mi chiamano addirittura Madre Teresa di Calcutta! Io non so cosa mi sia preso, ma lui ha detto quella cosa, e io già ero piena di dubbi per quello che era successo a casa, mi sono sentita uno strumento nelle sue mani, e boh, ho visto il fermacarte e l'ho colpito. Lui ha reagito subito. Prima ha provato a bloccarmi, poi mi ha dato un pugno, mi ha preso per i capelli e io ho urlato. Ma te lo giuro, non avevo paura. E anche ora mi chiedo come fosse possibile.
L'ho graffiato e l'adrenalina era talmente alle stelle che non sentivo neanche il dolore. Mi sono sentita potente come mai nella mia breve vita. Poi siete arrivati voi e..."
"Il resto è storia. O presto lo sarà nella nostra famiglia."
Si erano avvicinati a casa, mancavano pochi metri, ed entrambi, senza neanche accorgersene, avevano rallentato il passo, per prolungare quel momento.
"Qual è stata la frase che ti ha fatto scattare?" chiese curioso Colin.
"Non è importante." Rispose, con il volto basso.
Per Colin era importante eccome, ma non voleva forzarla.
La prese per mano e la trascinò in una strada laterale.
"Ehi, guarda che viviamo laggiù..."
"Lo so, ma ti sei meritata un gelato!"
E Daphne non lo avrebbe mai rifiutato!
Dopo aver mangiato un cono gigante al gusto cioccolato e pistacchio, e dopo aver ricevuto una chiamata allarmata dalla madre che, tornata a casa, non li aveva trovati, erano di nuovo sulla strada del ritorno.
"Ah, comunque... Tu resti il mio eroe."
Erano nel bel mezzo di un'accesa discussione su quale fosse il gelato migliore e Daphne aveva completamente cambiato discorso, facendolo sorridere come un ebete.
"E tu? Tu ce l'hai un eroe?"
Ok, quella domanda non se l'aspettava, ma la sua mente subito pensò a due occhi ipnotici che potevano uccidere con un battito di ciglia.
"Si, ho anch'io un eroe."
La ragazza sorrise leggermente imbarazzata, come se volesse chiedere qualcosa ma se ne vergognasse.
"Lui, cioè questa persona sa di essere il tuo eroe?"
Harry sapeva di essere il suo eroe?
Spesso l'aveva ringraziato per tutto quelle attenzioni, ma non gli aveva mai detto niente di più esplicito. I loro rapporti erano sempre così strani, ripensando alla loro ultima conversazione non sapeva nemmeno più come comportarsi appena l'avrebbe rivisto.
Ma Harry sapeva quanto gli era grato di tutto, quindi...
"Si, penso lo sappia."
Daphne lo guardò accigliata.
"Pensarlo non è abbastanza, lo sai vero?"
Colin si chiese quando le sue sorelle fossero diventate sagge, in quale fottuto momento della loro vita.
E soprattutto avrebbero dovuto pensare al padre pestato e non al suo presunto eroe.
"Lo so, ma ora non è importante!" disse lapidario.
Daphne si fermò per strada incrociando le braccia al petto.
"Invece lo è! Colin, come ti sei sentito quando ti ho detto che eri il mio eroe? E non quando te l'ho detto a sette anni, ma quando te l'ho detto con cognizione di causa, quando la parola eroe ha iniziato ad avere un vero significato per me, quando ho smesso di immaginarti in calzamaglia azzurra su un cavallo bianco. Dimmelo, come ti sei sentito?" lo interrogò.
"Bene..." il ragazzo era a disagio, e guardando l'occhiata severa della sorella capì che la risposta non era stata abbastanza soddisfacente.
"Va bene, mi sono sentito davvero, davvero bene. Mi sono sentito importante e gratificato perché significava che quello che facevo veniva apprezzato e, soprattutto, pensavo di poterti davvero proteggere come un eroe, e tu ti saresti sentita al sicuro con me. Mi sono sentito fiero di me e in grado di essere la tua roccia."
Daphne sorrise contenta, ricominciando a camminare.
"Rendi fiero qualcun altro, allora, dicendogli la verità."
E Colin si sentì strano. Da quando erano le sorelle ad insegnargli qualcosa e non il contrario?
Harry era alla finestra, Hannah e Rob erano tornati quasi un'ora prima raccontando quello che era successo, e lui era dannatamente confuso. Quella famiglia era un delirio e lui doveva smetterla di volergli così bene pur conoscendoli poco. Doveva fermare il senso d'orgoglio che si stava facendo spazio nel suo petto all'idea di Daphne che reagiva e metteva a posto il padre. Doveva smetterla di cantare le canzoni con Steph e Carol mentre aiutava ad apparecchiare la tavola per cena, sperando silenziosamente che almeno un pasto riuscissero a consumarlo senza drammi. Doveva smetterla di chiedersi quando sarebbe tornato Colin per rivedere il suo sorriso sollevato.
La porta si aprì e lui alzò di scatto la testa e la prima cosa che vide furono i sorrisi sui due volti all'entrata.
Doveva davvero smetterla di sorridere di riflesso alla felicità degli Evans.
Appena entrati in casa, Daphne venne travolta dalle gemelle che la costrinsero a raccontare ogni dettaglio.
Lei raccontò sorridendo, ma Colin, come Harry, notarono benissimo che la ragazza non era per nulla fiera di aver colpito una persona e aver fatto soffrire la famiglia per le sue assurde convinzioni.
Ma Luke le batté il cinque pur non conoscendola e Carol si vantò di averle insegnato lei stessa la mossa del calcio alle palle, quindi Daphne poté mascherare il suo senso di colpa dietro tutte le risate.
Mentre tutti erano impegnati a pendere dalle labbra della sorellina, Colin ripensò a quel pomeriggio assurdo, e alle parole di Amanda e della sorella.
Osservava Harry ridere e complimentarsi con la ragazza per il racconto avvincente. La vide scusarsi per averlo accusato ingiustamente, e sorrise quando Harry snobbò le scuse con un cenno della mano dicendole che era tutto a posto.
Daphne aveva aperto gli occhi, ed era stata una frase che non aveva voluto rivelare a nessuno, e lui accettava questa sua scelta, anche se non gli piaceva l'idea di altri segreti in famiglia.
Notò come Carol abbracciasse Jason senza preoccuparsi della mamma a due metri di distanza, e la sentì raccontare tutta emozionata la sua nuova storia alle sorelle che sbuffavano e alzavano gli occhi al cielo.
Per quanto provasse a distrarsi, il suo sguardo finiva sempre su Harry e la sua mente a quelle parole.
Se Amanda aveva il coraggio di sopportare la violenza nella sua vita per amore, lui poteva affrontare le sue paure a testa alta.
E se Daphne aveva aperto gli occhi nonostante avesse la mente e il cuore offuscati dal desiderio di avere un padre e una nuova guida, lui poteva ammettere ad alta voce quanto amasse il bellissimo ragazzo dagli occhi di ghiaccio e i capelli neri come la pece seduto nel suo salotto.
A cena non mancarono i commenti piccanti sulla nuova storia tra Jason e Carol e la madre faceva finta di non capire a chi fossero rivolte quelle frecciatine, perché era troppo presto per commentare quella relazione appena nata.
Harry si era seduto lontano da Colin perché, dopo la piccola discussione di quella mattina e le riflessioni del pomeriggio, voleva solo pensare ad altro. Solo per cinque minuti.
Colin aveva ammesso la sua paura di non essere più ricambiato in quell'assurdo sentimento, e nonostante pensasse che fosse un egoista, non poteva evitare di sentire un pizzico di soddisfazione.
Ma per tutto quello che stava passando la famiglia, di certo Colin non si metteva a pensare a lui, e gli stava bene, era inutile illudersi quando in pochi giorni tutto sarebbe tornato come prima.
Dopo aver aiutato a sparecchiare, Jason, Carol, Steph e Luke si misero a guardare un film nella casa di fronte, mentre Hannah e Rob parlavano con calma e seriamente con Daphne di tutta quella situazione.
Harry e Colin si erano trattenuti fuori in giardino per fumare una sigaretta.
"Come stai?" chiese evidentemente stanco Harry.
"Bene, alla fine è andato tutto bene."
"Ma... sento un 'ma' nell'aria"
Colin annuì.
"Daphne non è felice di quello che ha fatto, non è proprio nel suo carattere e per quanto possa riderci su si sente troppo in colpa per aver messo in pericolo tutti noi."
Harry annuì, senza avere niente da aggiungere.
"È un bene che se ne sia resa conto, ma vorrei capire cose le ha aperto gli occhi."
Harry alzò le spalle.
"Lasciale i suoi piccoli segreti."
Colin scosse piano la testa portandosi la sigarette alle labbra.
E Harry non stava fissando quel movimento. Assolutamente no.
"Non ho un buon rapporto con i segreti, sai com'è..." lasciando in sospeso la frase, sapendo benissimo che il suo interlocutore comprendesse.
E Harry aveva compreso eccome!
I segreti avevano quasi rovinato tutto tra loro, eppure erano l'unica cosa che li teneva ancora così uniti.
Colin gettò il mozzicone a terra e lo spense con la punta delle scarpe.
"Vado in camera a prendere qualche vestito per voi che dormite da Rob, io penso di restare qua, pensavo di dormire con le gemelle."
Il moro gli sorrise mentre continuava a godersi gli ultimi tiri della sua sigaretta.
Il loro rapporto era così strano. Potevano urlarsi contro e giurarsi di volersi vedere morti e amarsi senza remore nel giro di poche ore e, soprattutto, potevano sorridersi sinceramente senza preoccuparsi del dolore che uno procurava all'altro.
Colin stava frugando tra le sue magliette quando sentì la porta aprirsi.
"Posso entrare?" chiese Harry dall'uscio.
Colin annuì velocemente lanciandogli delle mutande pulite.
"Sono venuto a darti una mano, poi mi sono dimenticato di dirti che domani mattina io e Luke torneremo a casa" stava dicendo dalla porta, prendendo tutto quello che gli veniva lanciato.
Colin, dopo quelle parole, si fermò a fissarlo.
"Ma..."
"Ora che si è sistemato quasi tutto, tu e la tua famiglia avete bisogno di stare insieme e noi siamo solo degli estranei. Jason è stato praticamente costretto da Carol a restare" disse con una mezza risata.
A Colin non fregava un cazzo, semplicemente non voleva che se ne andasse. Lo voleva lì a casa sua, soprattutto per tenerlo sotto controllo e lontano da Logan.
No, non l'aveva davvero pensato. Di certo lui non era il fidanzato possessivo e psicopatico di Harry.
Sfortunatamente no.
"Ma domani è sabato, potete restare per il fine settimana e lunedì torniamo tutti insieme. Sai benissimo che può solo farci piacere avervi qui" cercava di mantenere un tono indifferente.
Harry si strinse i vestiti che aveva tra le mani al petto.
"Appunto perché è sabato vado da Gwen e Charlotte. Mi hanno chiesto di te e sono preoccupate..."
"Per me? Cioè preoccupate per me?" Non capiva perché la cosa lo riempisse di gioia.
Harry si grattò dietro la nuca in un chiaro segno di imbarazzo.
"Beh, sì... chiedono sempre di te e avevo accennato a Charlotte dei problemi che stavi avendo in famiglia e il motivo per cui mi trattenevo da te."
Colin sorrise dicendo: "Appena torno le vado a salutare" poi ripensandoci velocemente aggiunse: "Sempre se a te va bene..."
"Oh certo, non ci sono problemi, cioè a Gwen farebbe molto piacere" lo rassicurò ma dal suo tono incerto si capiva benissimo la sua titubanza per questo piano.
Colin lo stava fissando senza vergogna.
Aveva a due passi di distanza il ragazzo che amava, la persona che lo conosceva meglio, con cui aveva condiviso ogni piccolo segreto e...
"Ti amo."
Entrambi spalancarono gli occhi.
Colin si tappò la bocca con le mani. Gli era scappato, lo stava pensando e l'aveva vomitato fuori. Stranamente non si sentiva leggero come un peso tolto dallo stomaco, anzi, si sentiva riempire di tutto l'amore che si era costretto a reprimere fino a quel momento. Ed era la sensazione più bella.
Harry era sconvolto, tanto da far scivolare a terra i vestiti tra le mani. Aveva desiderato tantissimo sentirsi dire quelle due paroline, eppure in quel momento non ne fu felice.
Si sentiva quasi arrabbiato per quella confessione così importante, detta in un momento del genere.
"Colin..."
"No, lasciami parlare" dicendo questo si avvicinò a Harry, che invece fece un passo indietro, quasi spaventato.
"Ti amo. Forse non è un buon momento questo, ma ti amo, sul serio. Ti amo, e non sapevo neanche di essere capace di poter amare così tanto, e Dio, è così semplice dirlo e lasciarmi avvolgere da questo sentimento che mi sto chiedendo perché non l'abbia fatto prima."
Più si avvicinava al moro e più lo vedeva indietreggiare. Erano quasi arrivati in corridoio quando Harry prese il coraggio di spiccicare parola.
"Colin, hai passato dei giorni d'Inferno e pensi di amarmi perché ti sono stato vicino, ma non è così. Se mi avessi davvero amato non l'avresti detto in questo momento, ma l'avresti ammesso una delle tante volte in cui te l'ho detto io. Invece no, quindi..."
"No! No! Non c'entra nulla quello che sta succedendo in questo periodo, io ti amo e basta, da sempre, solo che sono stato un codardo e..."
"E non è cambiato nulla! Cazzo, Colin! Ti prego... io... ti supplico... io non voglio illudermi ancora... non riesco a sopportare i tuoi continui dubbi, i tuoi rifiuti e le tue paure... Sono stanco di crederci, di illudermi che tra noi ci possa davvero essere qualcosa. Non posso continuare a credere che tu provi per me ciò che io sento per te, e poi accorgermi che è tutta una menzogna, mentre il mio cuore si sgretola e io devo raccoglierne i pezzi, e tutto per colpa tua." Si passò una mano tra i capelli, ormai arreso e disperato.
Sentiva gli occhi pizzicargli, ma non poteva cedere alle lacrime.
Non voleva mostrarsi ancora una volta così vulnerabile.
"Ora pensi di amarmi, e magari stai dicendo la verità, ma lunedì mattina, quando torneremo alla vita normale, tu sarai di nuovo il capitano Evans, freddo e distaccato, insensibile e indifferente nei miei confronti, e io non credo di poterlo sopportare ancora, quindi ti prego, non dirmi cazzate perché ne ho le palle piene."
Colin era terrorizzato perché Harry non aveva alzato la voce, non era incazzato nero come spesso succedeva. Era calmo, tranquillo e triste, e questo significava solo una cosa: la sua resa.
Scosse la testa prendendolo per i gomiti e bloccandolo, per evitare che scappasse.
"No! Sarà diverso, te lo giuro! Ti amo. Ti amo così tanto."
Harry avrebbe potuto dire 'ti amo anch'io' oppure 'finalmente' o baciarlo fino a togliergli il fiato. Invece, con gli occhi lucidi riflessi in quelli altrettanto rossi del biondino, le uniche parole che gli uscirono furono:
"Mi dispiace ma... io non ci credo."
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How many secrets can you keep?
FanficErano anni che,in quell'università, la squadra di calcio e quella di basket erano in guerra,il loro odio veniva tramandato di generazione in generazione. Ci sono dei segreti,però, che devono restare tali, e altri,invece, che continueranno a distrugg...