40.Courage.

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Far riecheggiare il rumore dei miei tacchi sul pavimento di marmo beige e bianco del palazzo reale, in passato mi era sempre piaciuto. L'eco che era provocato dalla smisurata dimensione di quelle stanze decorate e perfette nei minimi dettagli.

Ora quell'eco che provocavano i miei pasai per arrivare nel salotto in cui sapevo che mi stava attendendo la mia famiglia non faceva altro che farmi accapponare la pelle.

L'eco dei miei passi non faceva altro che scandire il conto alla rovescia che mi portava verso loro.

Sapevo benissimo cosa mi stava aspettando in quella stanza. E di sicuro non era un 'ben tornata' .

Mi fermai di fronte alla porta di mogano con decori troppo sfarzosi di color oro.

Il cuore mi batteva forte.

Il respiro era accelerato, eppure avevo camminato piano, ma non era ciò a rendere il mio respiro e il battito del mio cuore frenetico, ma l'ansia.

Quell'ansia era come una mano invisibile che stringeva il mio collo, così forte da farmi mancare il respiro.

Volevo scappare, darmela a gambe, fuggire via da quelle persone che avevano il mio stesso sangue ma che mi consideravano solo come un oggetto da regalare ad un' altra famiglia in segno di pace.

Dio, che schifo.

Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.

Se solo pensavo a ciò o meglio a chi meno di dodici ore fa ho abbandonato in un letto.

Se solo pensavo a quelle persone pur non avendo nessun legame sanguigno mi volevano più bene della mia così detta famiglia.

Se solo fossi stata più coraggiosa per scappare via, non farmi trovare più e mandare tutta questa merda a puttane.

Se solo...

Una lacrima bagnó la mia guancia e presto con il polso la asciugai.

Ma non era questo il momento di essere deboli, magari dopo nella mia stanza avrei pianto chiudendomi fuori dal mondo come ormai da tutta la vita facevo, ora dovevo essere forte o almeno lo dovevo dare a vedere.

Non potevo dare assolutamente la soddisfazione ai miei di vedermi crollare, ancora.

Non potevo mostrargli che questa mia libertà mi aveva fatto più male che bene.

Non potevo.

Passai le mani lungo il mio vestito color panna per togliare qualche eventuale piega che si era formata, aggiustai con le dita l'eventuale trucco sciolto con le lacrime, presi un ultimo respiro profondo e aprii la porta entrando nel salotto.

I miei occhi subito andarono sulle tre figure sedute in modo impeccabile sul sofà rosso al centro della grande stanza.

Il mio sguardo subito incontró quello di mia sorella Lalita sorridente come sempre e poi quello impassibile e di ghiaccio dei miei genitori.

"Padre, madre e Lalita è un piacere rivedervi."in maniera composta e con tono di ghiaccio accomodai di fronte a loro.

"Ben tornata Sherazade. Com'è andato il viaggio?"mia madre prese la parola per prima.

"Bene, grazie."

"Liam mi ha raccontato tutto."intervenne mio padre.

"Lo immaginavo." risposi semplicemente.

"Sherazade! Dovresti essere grata che il principe si preoccupi per te! Non sei mai uscita da questo castello il mondo, lì fuori, è cattivo!" le parole di mio padre mi accecarono di rabbia. Non poteva credere di proteggermi tagliandomi le ali.

La principessa Sherazade||H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora