capitolo 11

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Mi permettono di tornare a casa tre giorni dopo l'operazione, così da essere certi che tutto sia andato per il meglio ed io sia realmente fuori pericolo. È Michael che viene a prendermi, accompagnato da Luke. Mi dicono che Calum non è potuto venire perché sta dando un esame importantissimo, mentre Ashton è momentaneamente fuori città.

Il medico che si è preso cura di me mi augura una pronta guarigione, raccomandandosi di contattarlo immediatamente se anche solo uno dei sintomi che ho imparato a memoria dovesse manifestarsi. Al momento però sto bene, mi sento solo stanca. Luke si offre persino di portarmi in braccio fino alla macchina, ma sono costretta a rifiutare perché a camminare sono ancora capace. E nemmeno la sedia a rotelle che Michael mi indica è necessaria, però accetto il braccio che mi porge Luke.

A casa, come previsto non c'è nessuno; Luke tiene la porta spalancata mentre Michael mi aiuta pian piano a salire le scale del patio. I punti della cicatrice mi ricordano che sono ancora lì e una smorfia mi si dipinge in sul viso quando mi siedo sul divano. Quel mio gesto non sfugge ai due ragazzi, ma ripeto loro quello che mi hanno detto i medici: è normale sentire ancora fastidio, ma che tutto si risolverà in tempi brevi.

Non so che cosa mi chiede Luke perché la suoneria fastidiosa del cellulare di Michael echeggia nell'aria e lui è costretto a rispondere dopo aver letto chi c'è dall'altra parte. Ascolta per un po' con le sopracciglia aggrottate, poi si passa una mano tra i capelli e impreca sonoramente, alzandosi persino dal divano sul quale si era seduto.

«Non è possibile che si siano rotte di nuovo» borbotta, trafficando con le chiavi dell'auto. «Questa è una condanna. Sì, arrivo subito.»

«Tutto okay?» È Luke a porre la domanda.

«Quelle maledette tubature! È la quarta volta che saltano» sia io che Luke annuiamo alle sue parole, senza poter fare niente. «Ci vediamo più tardi.»

«Ti accompagno di sopra?» Luke me lo chiede quando la porta di casa si chiude dietro Michael e rimaniamo quindi solo io e lui.

Quando annuisco, lui è il primo ad alzarsi e a porgermi la mano per aiutarmi. Le scale le facciamo così lentamente che Luke impiegherebbe meno tempo a sollevarmi sulle spalle. È lui ad aprire la porta della mia stanza e la prima cosa che noto sono due mazzi di fiori freschi sul comodino, insieme a dei palloncini rosa che svolazzano lì accanto pieni di elio. La scritta guarisci presto la vedo solo una volta dentro; sorrido e sento le labbra di Luke premere sulla mia tempia.

«Cerca di riposare» mi suggerisce, tirando poi le tende. «Se hai bisogno di qualcosa chiamami, sono di sotto.»

Mi avvicino al letto e scosto le coperte che qualcuno deve aver cambiato perché queste sono fresche di bucato. Ascolto i passi di Luke lungo le scale e sento la televisione prendere vita a volume appena udibile. Mi addormento quasi subito, svegliandomi di soprassalto solo parecchie ore dopo.

Non ho idea se abbia gridato davvero o se invece sia stato solo un sogno; mi muovo fin troppo in fretta, pentendomene all'istante. Mi rendo conto che Ashton è seduto su una poltrona proprio accanto al mio letto. Non ho idea di come sia arrivata lì o quando.

«Ashton?» Il diretto interessato alza lo sguardo dal blocco da disegno che tiene in bilico sulle sue gambe, poi sorride.

«Ben tornata» si alza dalla poltrona solo per prendere posto accanto a me; il letto è troppo piccolo perché riesca a stare seduto comodamente ed io sono molto vicino al bordo. «Come ti senti?»

«Strana» mi rendo conto di aver già sostenuto quella conversazione con lui e deve farlo anche lui stesso perché trattiene un ghigno divertito. «Ho per caso gridato prima di svegliarmi?»

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