capitolo 9

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Il dolore e il malessere generale mi perseguitano per le due settimane successive. Alcuni giorni è qualcosa di appena accennato, altri invece così forte da farmi girare la testa. Non ho idea di cosa mi stia succedendo, non ne ho parlato con nessuno. Mi ero quasi convinta ad andare dal medico, ma la paura di scoprire qualcosa di grave mi ha fatto cambiare idea l'istante successivo.

Passerà, continuo a ripetermi. Non posso perdere l'esame di Economia; qualsiasi cosa sia, passerà.

Sono seduta alla mia scrivania quando il cellulare vibra all'improvviso, strappandomi ai miei pensieri. Dall'altro capo del telefono, Michael è in preda al panico.

«È il compleanno di Stella!» Michael me lo dice così tanto terrore che davvero non capisco il motivo di quella sua telefonata.

«Sì beh, dimmi qualcosa che già non so, ti prego.» Replico in risposta e Michael impreca in un modo così colorito da farmi sorridere.

«Ho dimenticato di comprarle il regalo.» Spero vivamente che non stia gridando in mezzo alla strada.

«Avevo detto qualcosa che già non so.» Mike resta in silenzio quel tanto che basta a farmi allontanare il telefono dall'orecchio per controllare che la linea non sia caduta per sbaglio.

«Ti prego, sai meglio di me che mi farà del male fisico se solo oso presentarmi senza niente.» Michael ha un tono così melenso che sospiro in modo teatrale.

«D'accordo, d'accordo» mi alzo dalla scrivania trattenendo a stento uno sbadiglio. «Dove andiamo?»

«A pranzo, come prima cosa. Sto morendo di fame» il mio stomaco si contrae a quella prospettiva. «A pancia piena sarai in grado di tirare fuori la tua solita idea geniale che mi farà apparire come il fratello migliore del mondo.»

«Tu lo sai che Stella è perfettamente a conoscenza che sono io a scegliere i suoi regali, vero?»

La risposta affermativa alla mia domanda non arriva perché Michael ha già chiuso la chiamata e un quarto d'ora dopo, il clacson della sua auto echeggia fuori casa. Finisco di abbottonarmi la giacca in veranda, chiudendo poi a chiave la porta perché i ragazzi non ci sono. Michael sta cantando a squarciagola e distratto come suo solito, non si accorge della smorfia di dolore che mi attanaglia il fianco un momento prima di allacciare la cintura di sicurezza.

Raggiungiamo le vie del centro una buona mezz'ora più tardi, lo stesso tempo che impieghiamo per trovare parcheggio e scendere finalmente dall'auto. È Michael a fare strada verso il solito locale, fermandosi all'ingresso per salutare un paio di ragazzi che io conosco solo di vista. Sono quindi io a scegliere il tavolo che preferisco. Quando Mike mi raggiunge, non ha nemmeno bisogno di controllare il menù, così come Jackson, il solito cameriere, non ha bisogno di elencare i piatti del giorno.

«Il servizio sta diventando scadente, mi aspettavo di vederti arrivare con le ordinazioni già pronte.» Lo rimbecca Michael, facendo a pezzi un tovagliolino di carta.

«Vi chiedo immensamente scusa. Ti prego, non fare rapporto al mio superiore.» Replica, stando allo stupido gioco di Michael, che finge addirittura di pensarci su per poi agitare una mano a voler chiaramente lasciar perdere. Scrive il suo solito ordine e poi si volta nella mia direzione. «Anche per te, Hayden?»

«No, questa volta no» Michael si finge scioccato alle mie parole. «Solo una porzione di patatine, senza salse per favore.» Jackson annota tutto, congedandosi subito dopo per servire gli altri clienti. Michael mi osserva invece dall'alto in basso, confuso o preoccupato.

«Ragazzina, stai bene?»

«Certo, tranquillo.» Replico, allontanando dalle sue grinfie i tovaglioli prima che li distrugga tutti uno dopo l'altro.

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