Continuazione capitolo 15
Buona lettura
"Un bicchiere anche per il mio amico"
Fa un cenno al barista che subito mi poggia davanti un bicchiere di liquido scuro.
Lo porto alla bocca e assaporo lentamente,sento l'alcol scorrere lungo la gola.
Brucia, ma in confronto al dolore che sto provando sembra quasi un sollievo.
Come se quel calore familiare desse fuoco ad ogni ricordo,facendolo svanire lentamente.
Penso a mia madre, quella donna così sicura di sé che credevo mi amasse, penso a mio madre, a quanto sia simile a lui,lo sguardo minaccioso, il portamento imperioso e l'incapacità di dimostrare qualche sentimento.
È sempre stato freddo, distaccato,non abbracciava i suoi figli, raramente giocava con noi ed erano pochi i momenti in cui sorridevamo insieme.
Penso a mia sorella,l'unica femmina della mia famiglia, quella ragazza così dolce e sempre amata da tutti, mi manca terribilmente.
Penso ai miei amici, a quanto mi fanno incavolare,ma sono la mia vita,non so come farei senza di loro.
Li conosco da sempre e nonostante tutte le cazzate che ho fatto non mi hanno mai abbandonato e spero davvero che non mi lascino mai.
Penso a James,il mio migliore amico,quel cazzone con cui passo le ore ad insultarci, ma c'è sempre stato,per qualsiasi cosa.
Mi capisce al volo,non c'è bisogno di inutili parole, basta uno sguardo.
Un po come Kathe,so che spesso vuole farmi qualche domande, cercare di conoscermi un po di più. Sono convinto che pensa di non conoscermi affatto,ma la verità è che mi capisce più di chiunque altro.
E io capisco lei,perché siamo terribilmente simili,entrambi testardi, stronzi, menefreghisti, dei veri e propri bastardi.
Ma siamo anche così diversi, siamo un misto di contraddizioni unico e spaventoso.Ma dopo ogni bicchiere i pensieri svaniscono piano piano, e lentamente, lasciano la mia mente per far spazio alla musica assordante.
Il suono monotono mi rimbomba nelle orecchie, mentre la testa inizia a farsi più confusa.
Mi guardo attorno.
Questo locale è pieno di gente, di ogni tipo, di ogni età.
Cinquantenni pervertiti che rivolgono occhiate maliziose a delle studentesse completamente nude, se non fosse per il sottile strato di stoffa che dovrebbe coprirle.
Ragazze che si muovono seducenti,provocando qualche ragazzo arrapato.
E poi c'è chi se ne sta solo,come me, a bere appoggiato al bancone o nei divanetti di velluto, a guardarsi attorno, in cerca di risposte in mezzo alla folla sudata, che però non arriveranno mai.La verità è che tutte queste persone mi fanno pena, siamo così immensamenti simili, passiamo la notte di Natale in uno sporco locale, quando l'unica cosa che vorremmo è stare in compagnia delle persone che amiamo.
Ma siamo soli, probabilmente la maggior parte non ha nessuno che gli aspetta a casa, nessuno che si sta chiedendo dove diavolo sono finiti.
E per un istante, mi sento meglio, mi vengono in mente i miei amici, distesi sul divano a chiacchierare.
Nessun vestito provocante e striminzito, nessun doppio fine, solo loro e l'amicizia che ci lega.
Forse staranno parlando di me, conoscendo le ragazze, avrebbero il coraggio di chiedere spiegazioni a mia madre.
O forse si stanno godendo questa serata, stufi dei miei sbalzi d'umore,magari se ne sono anche andati da casa mia,un posto così opprimente e pieno di tensione.E il leggero sollievo che avevo provato, svanisce.
Ed è ora che capisco quanto siamo fottutamente uguali, scappiamo dalla solitudine cercando conforto da sconosciuti, anche solo per una notte, per alleviare la malinconia di una serata che si prospetta ricca di rancore e rammaricoSento l'improvviso bisogno di uscire da questo posto angusto e opprimente.
Scendo dallo sgabello ignorando i richiami di Caleb.
Chissà perché sta trascorrendo qua la nottata. Non so nulla di lui, se ha famiglia o qualcuno che lo aspetta a casa. Magari sta scappando da qualcuno, come me.Mi faccio spazio tra la folla e finalmente esco fuori.
L'aria fresca mi sferza il viso, provocandomi un immenso sollievo rispetto al caldo opprimente del locale.
Il bodyguard è cambiato, ma appena mi vede raddrizza la sua postura e mi rivolge un cenno del capo come saluto. Molti sono quelli che conoscono il mio nome e spesso la mia fama mi precede.
Quando passo,tutti guardano quel ragazzo così stronzo con le ragazze, un vero ruba cuori che non deve essere provocato, che viene temuto e ammirato. Le voci corrono e se spacchi la faccia a sei bulletti del cazzo fuori da un locale, intenti a molestare una ragazzina da ubriachi marci, difficilmente vieni dimenticato.
Quella sera fu la prima di molte, ad appena quindici anni mi ero già creato una reputazione che si è mantenuta con il tempo.
Ma quando si tratta di donne, la rabbia si impossessa del mio corpo,la sento scorrere nelle vene e mi annebbia il cervello. Non ho mai toccato una donna e mai lo farò, mi fa schifo solo il pensiero di qualcuno che anche osa sfiorarle.
Sono uomini deboli, che cercano di apparire forti prendendosela con chi non è in grado di difendersi.Il mio pensiero corre a Kathe,non so cos'avrei fatto se Ian fosse riuscito nel suo intento. Probabilmente non mi sarei fatto scrupoli ad ucciderlo, non me ne sarebbe fregato niente delle conseguenze, nessuno deve osare toccarla,nessuno.
Leggevo la paura nei suoi occhi e so che avrei fatto ben più che sfigurare il volto a quel bastardo se non fosse stato per lei.
Quegli occhi, così pieni di terrore e di...ricordi.
Ricordi del passato che raffioravano mentre veniva toccata, riviveva la sua infanzia, una notte che l'ha sconvolta con tutta se stessa.
Perché durante una serata trascorsa tra le braccia di una Elizabeth adorante, sua madre venne stuprata davanti ai suoi occhi.
In un vicolo buio, senza la possibilità di venire aiutata.
Aveva appena dieci anni e so che si ricorda quella notte nei minimi dettagli, una sola volta ce ne ha parlato, ma dovettimo aspettare tre anni prima di sapere cosa la tormentava. Gli uomini che avevano violentato sua madre le avevano seguite tutta la notte, fino a cogliere il momento giusto per "saldare il debito con suo marito", così dissero.
E mentre la stupravano, tenevano la piccola Kathe ferma immobile, inveendo contro di lei di guardare,non osare chiudere gli occhi. Le dissero che se avrebbe pianto, avrebbero massacrato sua madre, scopato fino a consumarla e Kathe era una bimba forte, così non pianse, rimase ad osservare in silenzio, imprimendosi nei suoi meravigliosi occhi verdi l'immagine di Elizabeth in lacrime, sfinita e vulnerabile, un ricordo che non l'avrebbe mai più lasciata andare.
Imprimendosi nella mente, nel cuore e nello sguardo, impedendole di piangere, con l'unica possibilità di soffrire in silenzio.
Per sempre, perché la mente non dimentica e il cuore non perdona.
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Lacrime del cuore 2
RomanceSequel di "Lacrime del cuore" Sono tante le domande che si è soliti porsi,le incertezze e le insicurezze che un'amore può portare,ma se due cuori si ricorrono da tutta una vita,saranno mai destinati a raggiungersi? Continua la storia di quei due ra...