C'era un amaro alone di tristezza che infangava la stanza in cui mi trovavo.
Seduta su di una sedia, accanto a Renée, guardavo dritto davanti a me, cercando le parole giuste da dire per confortare un cuore infranto.
Renée era una donna di quarantott'anni, dai lunghi capelli neri e dal viso dolce, ma segnato dalle numerose e tenebrose vicende accadute nella sua vita.
Renée era la donna che mi aveva seguito per tutta la mia infanzia, quando mia madre e mio padre non c'erano, troppo impegnati a preoccuparsi del lavoro.
Renée era un'amica, una confidente, una sorella, a volte più di questo, quasi una mamma.
Quando io avevo soltanto sei anni, i miei genitori decisero che il tempo di troppo da dedicarmi loro non lo possedevano, di conseguenza scelsero lei: questa donna dolce che quella sera silenziosamente sedeva al mio fianco.
Ricordo molto di tutto il tempo passato con lei, ricordo molto di tutto l'affetto che mi ha sempre donato.
Renée era però anche una donna tormentata dai suoi demoni del passato, divorata dagli errori commessi nel suo passato.
Aveva avuto una giovinezza burrascosa e piuttosto disastrosa.
I miei genitori credo non conoscessero la sua storia quando la scelsero come mia tata; non credo l'avrebbero mai scelta altrimenti.
Renée era cresciuta in una famiglia di basso è scarso ceto sociale; il padre a stento la seria riusciva a portare un pezzo di pane in casa, la madre era una prostituta di strada, il fratello invece era un alcolizzato che decedette all'età di trent'anni.
Renée abbandonò la famiglia quand'aveva soltanto diciassette anni, ma non migliorando certamente le sue condizioni sociali, frequentando cerchie di persone non totalmente, o quasi per niente, affidabili. Attraversò poi un sofferente periodo di anoressia, di cui portava ancora i segni sul suo fragile corpo.
Sposò un uomo che di buono non aveva assolutamente nulla, dal quale divorziò poi dieci anni dopo; concepì tre figli, ma di questi non le rimase molto.
Due dei suoi tre figli lottavano duramente ed ogni giorno contro quella che è la malattia della droga, in una comunità a cui Renée stessa dedicava gran parte del suo tempo come ringraziamento per tutto quello che questa aveva fatto per lei, per la sua famiglia e soprattutto per i suoi due figli. L'ultima delle sue figlie da ragazzina aveva attraversato un tremendo periodo anch'esso legato all'anoressia, ma adesso era quella che più o meno stava bene.
Quando Renée mi confessò della sua storia, con timore d'essere giudicata, io l'abbracciai perché a me non importava del suo passato, non m'importava se durante la giovane età aveva commesso degli errori, perché con me, non ne aveva commesso nemmeno uno.
Era stata al mio fianco quando più ne avevo avuto bisogno e continuava a farlo comunque nonostante nessuno più glielo richiedesse.
Spesso, questa dolce donna, si accusava di non essere stata una madre abbastanza per essere considerata tale per i suoi figli, si affibbiava tutte le colpe per le condizioni dei suoi figli; diceva che io ero la sua possibilità di essere ciò che con i suoi figli non era mai riuscita ad essere.
Ed infatti, per me era stata una mentore, un modello da seguire; lei era una donna con infinite e profonde cicatrici sul cuore e sul corpo, ma che comunque tirava avanti a testa alta, mostrando più forza di quanta apparentemente sembrava ne possedesse.
Quella sera erano esattamente due anni e sette mesi che lei passava lontano dai suoi due figli, i quali alloggiavano entrambi in comunità per sopravvivere alla tentazione dannata che è la droga.
Ognuno ha i suoi tempi per riuscire a superare e vincere tali tentazioni, i suoi figli essendo persone terribilmente fragili e mancanti di una figura di riferimento che è il padre, impiegavano più del previsto.
Renée comunque tirava avanti, cercando in ogni modo di esserci per me e per la sua terza figlia.
Le accarezzai una spalla, accennando un sorriso, lei ricambiò quel piccolo sorriso prima di avvicinarsi a me e stringermi in un abbraccio.
"Grazie, Scarlett."
"Non dirlo nemmeno per scherzo. Ci sono sempre." La rassicurai.
Quel pomeriggio mi aveva chiamata piangendo, avvolta da un attacco di panico dovuto alla lontananza dai suoi figli e dal comunque frammentato rapporto con l'unica figlia che vicina le era rimasta.
Le lasciai un bacio sulla guancia, lei sorrise.
Eppure, per quanto fosse forte, possedeva anche lei quei momenti di crollo e a me faceva così tanta tenerezza; le volevo così infinitamente bene.
"Susy?" Domandai.
Susy era la sua terza figlia.
"Oggi pomeriggio aveva lezione all'università, ma stamattina abbiamo avuto una piccola discussione."
Annuii, ascoltandola.
"Ho paura di perdere anche lei." Confessò in un sussurro.
Ma io la rassicurai, dicendole che tutto sarebbe andato bene e le strinsi le mani tra le mie.
Gustammo poi le nostre tazze di camomilla che Renée aveva preparato; sosteneva che la camomilla era il miglior calmante di sempre, molto più di qualsiasi tipo di tranquillante, di qualsiasi sigaretta o droga.
"Come va, Scarlett?" Mi chiese.
La guardai con la tazza fumante ancora alle labbra, lei accennò un sorriso.
"Bene." Affermai, convinta.
Ma mentre soffiavo sull'infuso caldo e fumante, per raffreddarlo, il volto di Harry mi attraversò la mente.
Non avevo ancora raccontato a Renée di questo bellissimo ed affascinante uomo dagli occhi smeraldo.
Allora cercai invano di reprimere un sorriso, ricordando quanto quel ragazzo dannatamente bene mi facesse sentire.
Appoggiai la tazza sul tavolo, ma tenendola ancora tra le mani per riscaldarmele; Renée mi guardava curiosa del mio sorriso.
"In realtà," iniziai, "ho qualcosa da confessarti."
"Ti ascolto."
"I-io... ho conosciuto un ragazzo." Mormorai.
Velocemente mi nascosi il viso tra le mani, sorridendo imbarazzata, davanti all'espressione esterrefatta di Renée.
Quest'ultima spostò le mani dal mio viso e mi guardò, felice.
"Non essere timida e raccontami tutto di lui e di voi!" Esclamò, entusiasta.
Risi, annuendo, sicura delle mie gote tinte di rosso.
"Non c'è nessun 'voi' ancora," mormorai "ma lui è carino. Cioè," temporeggia, "in realtà è bellissimo." Dissi infine, timida.
Renée annuì, ascoltandomi continuare, con un affettuoso sorriso sul suo viso, a me rivolto.
"Ha un paio d'occhi verdi meravigliosi ed un sorriso magnifico." Ricordai quei dettagli, urlando nella mente quanto fosse bello, "è molto pacato, sta sempre sulle sue."
Lasciai che il ricordo della magnificenza che Harry ai miei occhi possedeva, mi trasportasse ed offuscasse ogni mio pensiero razionale.
"Mi lascia senza parole." Sussurrai infine.
Renée mi rivolse un dolce sorriso, i suoi occhi brillavano, i miei si perdevano tra le immagini di un viso dai lineamenti virili, di un paio d'occhio dallo sguardo bello da morire, tra le immagini delle sue mani, dei suoi capelli, della sua pelle, del suo corpo.
Harry era un perfetto tutt'uno di tutto quello che a me piaceva; o forse era soltanto perché lui era così in grado di farmi apprezzare anche le più pessime cose.
"Qual è il suo nome?" Mi domandò.
"Harry." A pronunciarlo il mio cuore batté all'impazzata.
Assaporai il gusto di poterlo dire, dolce amaro sulla mia lingua.
"Come vi siete conosciuti?" Chiese ancora informazioni, curiosa.
"È un artista, ci siamo conosciuti in una delle sue mostre." Le risposi, sorridendo.
Le mani lentamente mi sudarono, tanto da costringermi a doverle sfregare sui pantaloni.
Renée continuava a sorridere difronte la mia espressione imbarazzata ed alle mie guance che, con i minuti che scorrevano ed i mille pensieri rivolti ad Harry, a poco a poco erano diventate paonazze.
"Scarlett, non ti ho mai sentita parlare di un ragazzo così, ti piace sul serio!" Esclamò, sorpresa.
Era l'ennesima reazione stupita nei confronti del mio interesse per Harry.
Mi domandai se c'era davvero qualcosa di così diverso e sconvolgente nel modo in cui parlavo di lui.
Magari sì.
Magari perché i miei occhi brillano e le mie labbra sorridono.
Magari perché le mie guance si tingono di rosso e le mani mi sudano.
"Mi piace." Dissi soltanto.
Renée mi sorrise, carezzandomi i capelli.
Non parlammo più di Harry, ma io non cessai di pensarlo.
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Di Vetro [HS]
FanfictionTi guardo dormire e mi chiedo come hai fatto ad arrivare fino a questo punto; mi chiedo ancora com'è stato possibile spezzare il tuo cuore fino a portarti a tanto. Forse sei di vetro: appari così forte, ma ti distruggi al primo impatto. ___ Stato: c...