49. Amarti più di se stessa

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"Questa volta mi ammazzano."
Avevamo appena finito di preparare il tavolo per il pranzo, Harry più agitato che mai continuava a passarsi le mani tra i capelli. Era arrivato il giorno che tanto avevamo temuto. Dovevamo dare la fatidica notizia ai miei e ai suoi genitori e per l'occasione avevamo invitato entrambi a pranzo, con la scusa di far vedere loro il nostro appartamento.
Harry era agitato, molto più spaventato di quanto non lo fossi io; non che io non avessi paura, ero terrorizzata perché sapevo indubbiamente che non l'avrebbero presa bene, almeno per quanto riguardava mio padre e mia madre, eppure ad Harry erano drizzati pure i capelli per il forte nervoso.
"I miei o i tuoi?" Chiesi, ridacchiando.
Sospirò, non riuscendo comunque a trovare divertente tutta quella situazione. Harry certamente faticava ancora a realizzare il fatto che fossi incinta, nonostante fossero ormai passate più di tre settimane, non nel senso negativo della cosa, ma certe volte mi capitava di trovarlo a fissare il vuoto e alla mia domanda cosa c'è che non va mi rispondeva che era un po' spaventato di affrontare la vita da genitore. Bastava però qualche bacio e qualche mia rassicurazione per calmarlo, o almeno così lui mi faceva credere.
"I tuoi. Sul serio, mi faranno fuori appena lo sapranno. Non bastava che tu avessi scelto un drogato." Borbottò, sempre più nervoso.
Vidi le sue mani tremare. Non mi piaceva quando parlava di sé in quel modo, odiavo quando usava il termine drogato per definirsi, forse perché io avrei sempre fatto di tutto purché la realtà legata a questa parola non distruggesse le nostre vite.
Allora mi avvicinai a lui, prendendo le sue mani e stringendole tra le mie. Le avvicinai alla bocca, baciandone dolcemente il dorso di ciascuna, poi le nocche, le dita una per una, fino a lasciarvi le mie labbra premute sopra e a guardarlo negli occhi. Il suo sguardo si intenerì e lasciò così che le nostre dita si intrecciassero; baciai ancora il dorso della sua mano, lui sospirò.
"Andrà tutto bene." Gli dissi.
Continuò a guardarmi, ma senza dire nulla.
"E lo sai perché so che comunque andrà bene?"
Scosse il capo, mentre io mi avvicinavo ancor di più e lasciavo le sue mani, ma soltanto per poter accarezzare il suo viso.
"Perché non è importante se ai miei genitori non va bene. Saremo sempre e comunque io, tu e questo bambino."
Con tanta delicatezza appoggiai le mie labbra sulle sue, per potergli regalare un bacio, con la speranza di calmarlo. Ricambiò, anzi stringendomi forte al suo petto, approfondendo quel bacio, mozzandomi il respiro quando, per chiudere in bellezza, tirò il mio labbro inferiore tra i denti.
"Menomale che esisti." Sussurrò.
Sorrisi, scuotendo il capo, trovando alquanto assurde quelle parole, ma lasciando comunque che queste mi riempissero il cuore.
"Che mi dici dei tuoi, invece?" Gli chiesi.
"Probabilmente per loro sarà una manna dal cielo questo bambino, un miracolo." Scherzò, nonostante infondo capii vi fosse anche un pizzico di verità in quelle parole.
Mi accarezzò la schiena, facendosi strada con le mani sotto il maglione largo che stavo indossando; la mia pelle puntualmente si ricoprì di brividi, come se ormai fosse in grado di riconoscere le sue mani da quelle di chiunque altro.
"Riesci a crederci che diventeremo genitori?" Gli chiesi, mentre giocavo nervosamente con il colletto della sua maglia.
Sospirò, scuotendo il capo.
"Mi fa strano pensarlo." Rispose a bassa voce.
Annuii, concordando con lui.
Spesso mi fermavo a riflettere su quella realtà che sembrava tanto un'assurdità. Avevo poco più di vent'anni e penso che nessuno ormai ai giorni d'oggi progetti un bambino a quest'età; eppure sono cose che capitano e l'unico rimedio consisteva in una scelta che non avrei preso mai e che per niente al mondo sarei mai riuscita a prendere. L'aborto non è mai una scelta sana.
D'altronde, quella gravidanza era dovuta alle mie azioni e alle mie scelte, dovevo quindi prenderne atto ed assumermi tutte le responsabilità.
Comunque, se chiudevo gli occhi e mi immaginavo con un bambino tra le braccia, indaffarata tra pappe e pannolini, quell'immagine risultava strana ed assurda, una verità tanto lontana quanto realmente vicina.
"Harry," richiamai la sua attenzione, "se ti avessi detto di voler abortire, cosa mi avresti detto?"
Ma prima ancora che potesse pronunciare anche una sola sillaba, il citofono squillò.
Non mi diede mai una risposta a quella domanda.

Di Vetro [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora