Avevamo preso una decisione; io, Harry e Don Ambrogio, avevamo trovato una sorta di soluzione che comprendeva sia la mia vicinanza con Harry, sia la sua guarigione. Doveva frequentare assiduamente e costantemente Mondo Amico, seguire la comunità e partecipare agli incontri che si tenevano tutte le sere per coloro ormai guariti; doveva tassativamente stare lontano da qualsiasi forma di droga o alcol; doveva essere sincero e smetterla di mentire, e questo era quello che mi preoccupava di più.
Ero cosciente di avergli promesso che non lo avrei mai abbandonato, ma non ero così tanto convinta invece di poterlo aiutare a sopravvivere. Don Ambrogio mi aveva messo davanti tutti i possibili ostacoli che durante il periodo di astinenza Harry avrebbe potuto riscontrare, dalle crisi, al malessere, a comportamenti estremamente aggressivi, ed io ero semplicemente spaventata, ma non di ciò che Harry avrebbe potuto fare, ma di non riuscire ad essere abbastanza per lui da proseguire e non mollare la presa. E mi spaventava ancora di più la consapevolezza che Harry stava affidando l'intera sua vita nelle mie mani.
Così il calvario iniziò.
I via vai al Mondo Amico, le mani strette, le notti insonni. E nel frattempo crescevano anche gli impegni, i miei impegni. Harry richiedeva costantemente la mia presenza ed io ormai passavo più tempo con lui che con i miei genitori, che continuavano a non approvare questa mia relazione e a criticare le mie scelte, cercando invano di persuadermi ad andare avanti nel condurre una vita, ma senza di lui. C'erano poi i genitori adottivi di Harry, i quali affidavano qualsiasi speranza di guarigione dell'unico figlio loro rimasto, nelle mie mani.
Così crescevano le responsabilità, le mie preoccupazioni, la mia paura.
Harry senza di me non riusciva più a stare ed io mi sentivo in dovere di riuscire a trovare una soluzione a quella situazione scomoda.Una mattina mi svegliai con un pensiero che da un po' di giorni mi ronzava nella mente. Era nato un pomeriggio, quando uscendo dalla libreria, di fretta, avevo visto un cartello. Affittasi. Harry continuava a chiamarmi al cellulare, a richiedere la mia presenza perché farcela da solo gli era impossibile, soprattutto quando il bisogno e la necessità di ciò da cui stava tentando di fuggire ardentemente, si faceva più insistente ed insopportabile. E la mia mente aveva momentaneamente dimenticato quel cartello, fin quando però non mi ritrovai a stringere il corpo di Harry quella stessa notte ed i miei pensieri avevano sfiorato la possibilità di riuscire ad avere un appartamento nostro, in cui lui avrebbe potuto stare, con me, sempre. Un posto sicuro, un posto solo per lui, solo per noi.
E ci avevo pensato tanto, perché a volte sembrava così assurdo, considerando la scarsa paga che alla libreria mi davano, eppure continuava a sembrare l'unica soluzione. Poi avevo parlato con il mio datore di lavoro, chiesto lui un aumento, che riuscii ad ottenere, ma soltanto in cambio di qualche straordinario. E di conseguenza era aumentata anche la necessità di quell'appartamento.
Che era piccolo, ma grande abbastanza per noi due, accogliente, con poche stanze e ad un prezzo attendibile. A guardarlo, quella mattina, mi convinsi ancor di più che un posto tutto mio e suo potesse soltanto farci bene. Insomma, la nostra piccola capanna e i nostri due cuori un po' distrutti, ma pur sempre innamorati. Pensai che quello poteva essere la soluzione, che quello avrebbe aiutato.
A quel punto non mi restava che annunciare la mia scelta ai miei genitori e poi parlarne con Harry. Ma tra le due non so quale mi terrorizzasse di più.
I miei genitori, ancora ostili nei confronti dell'amore che nutrivo per quel ragazzo; o Harry, costantemente spaventato dall'idea di restare da solo, di fare qualche stronzata, di rovinare ogni cosa.
Ma dovevo farlo, dovevo dirlo ad entrambi e tra di loro scelsi con chi credevo sarebbe stato relativamente più semplice: i miei genitori. La loro reazione era semplicemente prevedibile, mentre Harry... beh, lui non lo era mai stato, figuriamoci in quel suo stato.
Quando entrai in casa mia l'ora sul display del mio cellulare segnava quasi le nove di sera; sapevo non sarebbe passato altro tempo prima che Harry potesse richiedere la mia presenza, in quanto riusciva a gestire soltanto quelle ore di distanza dovute al mio lavoro. Pensai che dovevo sbrigarmi, dire tutto a mia madre e mio padre senza troppi giri di parole; sarebbe anche stato più facile.
Li trovai entrambi in cucina, mio padre seduto, mia madre invece davanti ai fornelli, intenta a prepararsi la sua consueta tazza di tè. Mi guardarono forse un po' confusi, forse un po' felici di vedermi; in quell'ultimo periodo ormai, dopo il lavoro, andavo dritta a casa di Harry e le volte in cui riuscivo a trascorrere del tempo con loro erano veramente rare.
"Tesoro." Mormorò mia madre, quando si accorse della mia presenza.
Versò l'acqua bollente all'interno di una tazza dove aveva inserito il filtro del tè. Mio padre abbassò il libro che stava leggendo, guardandomi ma senza dire niente.
"I-io devo parlarvi."
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di mantenere la calma e di non impazzire. Ma non riuscivo a smettere di tremare, non riuscivo a controllare il mio cuore che batteva veloce, spaventato. Non avrei mai voluto deluderli, renderli infelici, farli preoccupare, eppure certe volte lo leggevo nei loro occhi quanto fossero costantemente preoccupati e contrari della mia scelta di seguire e supportare Harry in quel suo percorso. D'altra parte mi infastidiva il pensiero che loro, che i miei genitori, sangue del mio sangue, non riuscissero a capire ciò che provavo, l'amore che nutrivo per quell'uomo. Odiavo il fatto di non essere capita, soprattutto da chi mi aveva dato la vita.
"Ho intenzione di affittare un appartamento." Dissi.
"Perché?" Domandò mio padre.
Tirai nervosamente la zip del mio giubbotto aperto, cercando di mantenere il suo sguardo addosso.
"Per Harry."
Seguirono minuti di silenzio; entrambi mi guardavano e realizzavano nelle loro menti le mie parole.
Mi avvicinai, passandomi per la millesima volta una mano tra i capelli, sospirando, trattenendo la voglia di urlare.
Forse se urlo mi capiranno, mi sentiranno quando gli dico di amarlo.
"Lo so, che non accettate le mie scelte, che odiate Harry. Ma so quello che voglio e con chi lo voglio. Se non è lui, non è nessun altro."
Mio padre sospirò e mia madre mi guardò con aria incredula. Ero consapevole di aver sganciato una bomba, eppure non riuscivo a sentirmi in colpa nei loro confronti, non se questo significava difendere Harry e sostenerlo.
"Scarlett, è impensabile quello che vuoi fare." Pronunciò mio padre.
Deglutii, preparandomi ad incassare qualsiasi forma di rimprovero, o richiamo. Di una cosa però ero assolutamente certa: io non mollavo la presa e sarei rimasta attaccata ad Harry in modo incondizionato.
"Ma non possiamo proibirti di fare le tue scelte."
Non realizzai subito le ultime parole che mio padre pronunciò, ma quando capii, rimasi scioccata. Non era di certo quello che mi aspettavo, non una resa così facile, ero molto sorpresa, nel senso positivo della cosa ovviamente.
"Se per te è giusto così, se tu dici di amare tanto quel ragazzo, noi non possiamo impedirtelo." Concluse.
Respirai piano, cercando ancora di assimilare la cosa; alla fine mi avvicinai cautamente e soltanto quando mi ritrovai a due passi da ciascuno di loro, mia madre mi sorrise, sporgendosi per abbracciarmi. La sua tazza di tè non aveva più nessuna importanza.
"Noi ci saremo sempre per te, okay?" Mormorò al mio orecchio.
Annuii, mentre un magone bloccava nella mia gola qualsiasi parola. Parte dello stress accumulato in quei mesi, scivolò via dal mio corpo in un soffio, insieme ad un'amara lacrima che bagnò il mio volto. Da questo punto di vista, io non avrei potuto essere più contenta.
Non restava allora che dirlo ad Harry.
E le mani mi tremavano, il freddo gelava le mie gambe coperte soltanto dal velo dei collant, l'ansia mi divorava mentre mi trovavo dinanzi a lui. Non perde tempo ad abbracciarmi; il riuscire a sentire anche solo da quegli abbracci la sua necessità della mia vicinanza mi spinse ad accorciare i tempi, mi persuase che forse la mia iniziativa non era stata troppo affrettata, o sbagliata, ma piuttosto lecita ed assolutamente corretta.
"Ho una sorpresa per te." Gli sorrisi.
Con la mano spostai una ciocca di capelli dalla sua fronte, mantenendo comunque ed assolutamente il contatto visivo. Tra me e lui c'era sempre stato questo modo unico di comunicare con gli occhi, per rassicurarsi e per confortarsi, per cui cercavo tramite quel contatto tra i nostri occhi di trasmettergli un po' di quella sicurezza che la mia scelta mi aveva conferito.
"Ti fidi di me?" Gli domandai a bassa voce.
Strinsi le sue guance tra le mie mani, abbassando il suo viso alla mia altezza, così da poter poi appoggiare insieme le nostre fronti. Il suo respiro si infranse sulle mie labbra.
"Mh?" Mormorai, attendendo una risposta che tardava ad arrivare.
Alla fine, annuì, lasciandosi trascinare fino al nostro appartamento.
Pregavo il cielo di sorprenderlo sul serio, ovviamente nel senso positivo della cosa. Non so bene cose mi facesse più paura, se la possibilità di vederlo scappare dinanzi alla scelta importante di convivere, o la possibilità di mettergli pressione. Perché avrebbe potuto reagire così, avrebbe potuto reagire peggio, o semplicemente avrebbe potuto accogliere la mia decisione ed esserne felice.
Harry ormai non riuscivo più a prevederlo e questo spesso mi angustiava.
Tentai ancora di rassicurarlo con un soffice bacio sulla guancia ed un sorriso quando ci trovammo dinanzi il palazzo in cui si trovava l'appartamento. Lo trascinai dentro, su per le scale fino al secondo piano e davanti la porta, con il cuore che batteva sempre più forte. La sua aria sempre più confusa e forse anche un po' più preoccupata.
"Benvenuto a casa." Sussurrai al suo orecchio.
Aprii la porta, rivelando ai suoi occhi l'appartamento ancora poco arredato. Le pareti beige mi trasmettevano comunque una sensazione piacevole, quasi come se riuscissi a sentirmi accolta da quelle mura nonostante mi fossero ancora sconosciute, quasi come se mi facessero effettivamente sentire a casa.
Richiusi la porta alle mie spalle quando entrammo dentro, mentre lui continuava a guardarsi attorno. Mi sembrava ancora così tremendamente confuso, timoroso.
"Che c'è? Non ti piace?" Domandai.
Mi appoggiai alle sue spalle, con il viso accanto al suo e le braccia attorno alla sua vita; eppure ero così piccola nei suoi confronti che per riuscire a mantenere davvero quella posizione dovetti reggermi sulle punte dei piedi.
"Non capisco che cosa significa." Ammise.
Baciai la sua spalla, sorridendo.
"È casa nostra, è per noi." Afferrai il suo polso sinistro, trascinandolo con me, "Vieni, te la faccio vedere."
Lo portai in cucina, dove un tavolo occupava gran parte del piccolo spazio, l'arredamento color legno, tutto il resto brillante di nuovo; lo trascinai fino a quella che sarebbe stata la nostra stanza, un letto matrimoniale al centro e due comodini ai lati, un grande armadio al lato in una parete, mentre in quella opposta si trovava una grande finestra da cui riuscivamo a vedere gran parte della città; c'era poi il bagno ed un ripostiglio. Infine, infondo al corridoio, una porta di una stanza che scelsi di mostrargli soltanto alla fine: era piccola, le pareti bianche, vuota se non per qualche cosa che io stessa mi ero preoccupata di mettere e sistemare prima di andare a parlare con i miei genitori. Vi era al centro una tela bianca adagiata su di un cavalletto, appoggiata alla parete una libreria, piena dei miei libri e dei miei taccuini stracolmi di parole e pagine consumate; ed accanto ad essa una scrivania con su pennelli e colori, penne e fogli; sopra quest'ultima, una bacheca, ancora un po' vuota, se non per le nostre polaroid attaccate ed il suo tramonto nero disegnato appuntato. Quella stanza volevo che fosse il suo mondo, il nostro mondo. Non lo vedevo dipingere dalla morte di suo fratello e con quel posto speravo di potergli far rivivere le sensazioni che lui diceva tanto di provare con un pennello tra le dita. Mi mancava quell'Harry, quello che viveva per la sua passione.
Si avvicinò, senza proferir parola, alla tela, sfiorandola con le dita, per poi tirare avanti e toccare con estrema delicatezza i pennelli consumati sulla scrivania.
"Io non ci capisco molto, ne ho presi un po' a caso, ma se te ne servono altri possiamo andare a comprarli." Dissi, appoggiata allo stipite della porta con le braccia conserte.
Non mi rispose, ma andò avanti fino alla libreria e scorse tra i libri e tra i miei quaderni, tirandone fuori uno di quelli talmente consumati d'avere persino la copertina in pelle bucata e completamente scarabocchiata; osservò le pagine, sfogliandolo piano, accarezzandolo con le dita, sorridendo nel leggere qualche parola. Sapevo che quei diari contenevano alcuni dei miei più grandi segreti, mille delle mie emozioni, tutta la mia intera vita, ma non mi importava, li avevo messi lì perché lui potesse leggerli quando desiderava se questo serviva a farlo stare bene; erano lì perché volevo sapesse che non c'era nulla che io volessi nascondergli, che la mia vita era ormai parte della sua, che indiscutibilmente non esistevo più io, senza di lui.
Richiuse il taccuino, rimettendolo al suo posto, rivolgendosi finalmente a me e regalandomi uno sguardo carico di tante emozioni.
Tornò al mio fianco ed esitante allungò una mano per afferrare il mio fianco ed attirarmi a lui. Nascose il viso nel mio collo, lasciando che il suo respiro caldo si infrangesse sulla mia pelle e che le sue dita fredde invece premessero sulla pelle del mio addome scoperto dalle sue mani che cercavano un contatto al di sotto della mia maglietta.
"Non dipingo da quando è morto Nick." Mormorò.
"Lo so." Annuii.
"Non so se sono pronto a farlo ancora."
Accarezzai i suoi capelli, lasciando un bacio sulla sua fronte.
"Potrai venire qui dentro quando vorrai e soprattutto quando te la sentirai." Lo rassicurai.
Soltanto allora mi guardò, mentre io reggevo il suo viso tra le mani e lasciavo un bacio sulla punta del suo naso.
Tutta la preoccupazione scivolò via dal mio corpo, lentamente. Non ero ancora sicura, ma riuscivo comunque a percepire che quella sorpresa lo aveva davvero sorpreso ed ovviamente nel senso buono della cosa.
"Vivremo qui?" Chiese.
Annuii con il capo. Le sue mani continuarono a disegnare linee astratte sulla mia pelle.
"Perché hai fatto tutto questo?"
"Perché ti ho promesso che ti sarei stata vicino e voglio poterlo fare sempre."
"Grazie."
Sorrisi e finalmente riuscii a sentire qualsiasi forma di paura o timore abbandonare il mio corpo. D'altronde tutto quello non avrebbe potuto farci altro se non bene, a lui e anche ad entrambi.
"Ti amo." Sussurrai, l'istante prima di regalargli uno di quei baci che da troppo tempo non ci scambiavamo.Quella sera a Mondo Amico eravamo riuniti tutti a cerchio. Harry seduto al mio fianco, stringeva la mia mano nella sua, entrambe appoggiate sulle sue gambe, mentre io invece mi sporgevo verso di lui, i nostri corpi tanto vicini da riuscire a sentirsi a scaldarsi.
"Eccoci qui, anche oggi sono felice di vedere che ci siamo tutti." Annunciò Alfredo, sorridendo.
Ricambiarono tutti, me compresa, eccetto Harry che continuava a fissare davanti a se e ad accarezzare distrattamente la mia mano con il pollice. Appoggiai il mento sulla sua spalla, parlando al suo orecchio.
"A cosa pensi, amore?"
Si scosse, tornando alla realtà e girando il viso per guardarmi negli occhi. Erano persi, i suoi; tormentati.
"Penso che ti amo." Sussurrò, talmente piano, sulla mia bocca.
Che in parte credevo alle sue parole, ma sapevo anche abbastanza bene che quello non era soltanto ciò a cui stava pensando. Harry non mi avrebbe mai realmente esposto i suoi problemi e ciò che lo tormentava, ed io lo sapevo, e forse era anche un po' questo a ferirci.
Ad ogni modo, quello non era né il luogo, né il momento adatto per aprire una qualsiasi discussione e per insistere ancora sull'argomento. Gli sorrisi soltanto, accarezzando il suo viso e portando indietro i suoi capelli, prima di lasciargli un piccolo bacio sulla bocca.
"Allora, come ogni sera, anche oggi inizieremo parlando di ciò che ci è successo in questa giornata. Emozioni, sensazioni, tormenti. Tutto, come sempre." Disse Alfredo, terminata la sessione dei saluti imbarazzanti tra chi si trovava lì dentro e continuava a sentirsi a disagio, insicuro, spaventato.
Tra tutte quelle persone non c'era qualcuno che in quel momento stesse cercando di uscire da quel tunnel della droga, eccetto Harry ovviamente; tutti avevano già superato quell'ostacolo, eppure continuavano a seguire Mondo Amico e a farne parte sempre per non cadere più in quella tentazione e vincerla vivendo.
"Harry." Alfredo lo chiamò, distraendolo dai pensieri in cui ancora una volta si era perso, "Vuoi iniziare tu?"
Il ragazzo al mio fianco deglutì e pensai avrebbe rifiutato, eppure dopo un paio di minuti annuì, seppur tentennante.
"Questa mattina mi sono svegliato, accanto alla donna che amo." Iniziò.
Strinsi la sua mano quando menzionò la mia presenza, accarezzando, allo stesso tempo, il suo braccio.
"Ma nella mia mente avevo un solo pensiero, che mi ha tormentato per il resto della giornata, almeno fino al suo ritorno." Trattenne il respiro, "Continuo a sentire il bruciante bisogno di quelle sostanze che mi hanno ridotto in questo stato e certe volte credo davvero di non potercela fare."
La sua voce era bassa e mentre parlava non guardava negli occhi nessuno, ma fissava il vuoto, quasi come se stesse parlando con se stesso, piuttosto che con il resto del gruppo, piuttosto che con me.
"Continuo a farmi schifo per diversi aspetti, prima di tutto per come ho trattato lei, mandandola via tante volte."
Restai a guardarlo, mentre le sue parole si incidevano, come sulla pietra, nella mia mente.
"La cosa peggiore di tutto questo casino è che non potrò mai perdonarmi di essere stato un tale stronzo."
"Harry." Sussurrai il suo nome quando le sue parole mi colpirono dritta al cuore.
Harry non aveva mai parlato tanto, non si era mai esposto tanto.
"Ma lei ti ha perdonato." Disse una donna, tra i presenti.
Tutti là dentro guardavano attenti Harry e poi le nostre mani legate quasi a fondersi in un'unica cosa.
"Lo spero. Anche perché non so più come si vive senza di lei."
A quel punto i miei occhi erano così lucidi ed il mio cuore così a pezzi; volevo stringerlo, rassicurarlo, amarlo ancor di più, se possibile.
"Lei mi ama, lo so che mi ama tantissimo. E questa sera mi è successo qualcosa che mi ha reso così felice, anche se non le ho detto nulla. Mi ha fatto una sorpresa talmente bella, che nonostante io possa solo immaginare quanto le stia costando, non posso fare a meno di esserne felice." Soltanto allora si girò a guardarmi, i suoi occhi puntati nei miei, "Lo so che non le dico più niente, lo so che non sono mai stato bravo a dirle le cose. Lo so che sono difficile. E tante volte mi chiedo se lei invece sa quanto le sono grato per starmi così vicino, se sa quanto la amo." Mormorò.
A quel punto non mi importava se tutti attorno ci guardavano, perché io stavo sorridendo con la bocca premuta contro la sua e qualche stupida lacrima mischiata ai nostri sapori.
"Lo sai?" Sussurrò perché lo sentissi solo io.
Che mi ami.
"Lo so." Annuii.
Tutti attorno batterono le mani, ma in quell'istante esisteva soltanto il nostro mondo. Contorto, doloroso e dannato, ma mio e suo._____
Buongiorno!
Per concludere questo anno, vi lascio con quest'aggiornamento.
Né approfitto per ringraziarvi di tutto il sostegno e di tutti i complimenti che continuate a farmi. Sono davvero felice del piccolo successo che sta riscuotendo questa storia.
Vi anticipo che ho già in progetto un'altra storia ed un bel po' di cose appuntate, ma non pubblicherò nulla al momento perché voglio dedicarmi per bene e fino alla fine a questa, considerando poi che ci tengo così tanto a questa storia.
Ad ogni modo, vi auguro di passare l'anno che verrà come meglio potete.
Sono felice di poter condividere i miei pensieri e ciò che scrivo con voi, spero non mi abbandonerete con l'anno a venire ahaha
Spero anche riusciate a trovare un piccolo spazio di tempo nei vostri impegni di oggi per leggere questo capitolo.
Un bacio, endless love. x
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Di Vetro [HS]
FanfictionTi guardo dormire e mi chiedo come hai fatto ad arrivare fino a questo punto; mi chiedo ancora com'è stato possibile spezzare il tuo cuore fino a portarti a tanto. Forse sei di vetro: appari così forte, ma ti distruggi al primo impatto. ___ Stato: c...