34. L'inizio della fine

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L'inizio della fine accadde quella notte. Quella notte di pianto disperato e voglia matta di fuggire, quella notte di whisky fino al vomito ed emicrania da impazzire.
Quella notte in cui Harry non sembrava più essere se stesso, ma soltanto una mina vagante, con il cuore a pezzi, apparentemente impossibile da ricostruire.
Ed io, quella notte, giurai che ce l'avrei messa tutta per rimetterlo in sesto, per rimediare al suo dolore e farlo stare meglio.
Harry era diventato tutta la mia vita ed ogni suo dolore ero irrimediabilmente mio, ogni suo problema era mio; avrei allora lottato per lui e con lui senza fermarmi mai.
E quella notte lui la trascorse a piangere, a disperarsi, a cercare quel conforto che le mie braccia gli davano, scavando la testa nel mio petto, fino a sfinire e crollare, addormentandosi con la testa appoggiata sulle mie gambe e le braccia strette attorno al mio bacino.
La mattina dopo era visibilmente scosso, con profonde occhiaie sotto gli occhi e l'aria confusa e triste perennemente presente sul suo volto.
Lo lasciai a dormire su quel letto sfatto, raggomitolato su se stesso, per preparargli la colazione. Avevo già deciso che quel giorno non sarei andata al lavoro, o da qualsiasi altra parte, ma sarei rimasta lì con lui, a dimostrargli che io c'ero ed ero pronta a tutto pur di farlo stare bene, che l'avrei coccolato per tutta la giornata e lui non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla. Ero pronta ad ascoltarlo, a consolarlo.
Dopo aver rimesso tutto a posto, aver accantonato i quadri rotti ed i fogli strappati in un angolo della casa, perché ero consapevole che io non avrei mai potuto buttare nulla, che la scelta di cosa fare di tutte quelle macerie di tutto quel lavoro spettava a lui, entrai in cucina per preparargli la colazione. Ma la mia intenzione di portargliela a letto fu rovinata quando lo vidi entrare in cucina e sedersi al bancone con aria desolata.
Spensi il fornello e lo scoppiettio provocato dalle uova che friggevano sul fuoco, si annullò, lasciandoci avvolgere soltanto dal più triste dei silenzi.
Harry si stringeva la testa tra le mani, così mi avvicinai per abbracciarlo.
"Ehi." Sussurrai.
Portai un braccio attorno al suo collo, mentre lui si lasciava andare alle mie carezze e poggiava la testa sul mio petto; un sospiro profondo lasciò le sue labbra, prima che potesse allungare una mano per attirarmi più vicina in mezzo alle sue gambe.
Riuscivo a sentire anche soltanto dal modo in cui mi stringeva che piangere l'intera notte non era bastato, che probabilmente niente mai sarebbe bastato per farlo stare bene. Le sue mani tremavano, erano instabili mentre accarezzavano il mio corpo. Non ho mai ben capito cosa Harry realmente cercasse di trasmettermi con quelle carezze, oltre ovviamente il dolore dovuto alla perdita di suo fratello, eppure sembrava esserci qualcos'altro di nascosto, qualcosa da nascondere con delle carezze simili a delle scuse.
In ogni caso, strinsi le dita tra i suoi capelli, obbligandolo ad alzare la testa dal mio petto per guardarlo in viso e negli occhi.
La delusione scosse momentaneamente il mio petto quando, guardandolo negli occhi, non riuscii più a vedere quelli di cui mi ero perdutamente innamorata; quelli erano più spenti, più cupi, privi di quella brillante luce che mi aveva sempre spezzato il respiro.
Mi ripresi dai miei pensieri preoccupati, allungandomi per baciarlo. Non oppose resistenza, ma si lasciò stringere, ricambiando quel bacio, scontrando insieme le nostre bocche in modo molto pacato e calmo, senza fretta, ma semplicemente con bisogno. Non ci baciavamo da un po', in realtà; in quegli ultimi giorni, Harry era stato talmente distante che persino baciarlo era sembrato inopportuno, inoltre non credevo lui ne avesse proprio voglia, non dal momento in cui io gli chiedevo come andava e l'unica cosa che faceva era scuotere le spalle e continuare a fissare il vuoto.
Quando quel bacio si concluse, lui rimase con gli occhi chiusi ancora per un po'; io, invece, gli accarezzai la guancia destra con le dita, aspettando che qualsiasi pensiero nella sua mente si riordinasse.
"Amore." Sussurrai, quando sbatté le palpebre e mi guardò.
Lasciai un bacio sulla sua guancia, uno sul suo zigomo, un altro ancora sulla punta del suo naso.
"Oggi resto con te, non ci vado a lavoro." Annunciai.
Soltanto allora lui si allontanò, con la fronte aggrottata. Si alzò dallo sgabello, recuperando il pacchetto di sigarette all'interno della tasca laterale dei pantaloncini che indossava. Se ne portò una alle labbra ed ispirò fino a scavare la guance nel momento in cui l'accese.
"Vai a lavoro, Scarlett." Disse.
La sua voce era bassa e rauca, più del solito, come segno dell'incostante pianto durante tutta la notte.
"Non ti lascio da solo." Ribattei, decisa.
Ma lui scosse vigorosamente la testa, allontanandosi definitivamente da me, per camminare intorno al bancone della cucina ed appoggiarsi al ripiano cottura dall'altro lato della stanza. Con le dita raccolse la sigaretta dalle sue labbra, scuotendo la cenere all'interno di un posacenere.
Odiavo quando fumava in quelle situazioni, quando era ovvio che le nostre idee si scontravano e non si incontravano mai, quando avrebbe semplicemente dovuto parlare piuttosto che nascondersi dietro le nuvole di fumo di una sigaretta accesa.
"Posso stare da solo un paio d'ore. Ti ho detto va a lavorare." Rispose secco, ma senza voltarsi per guardarmi, almeno non fin quando non gli risposi anch'io con lo stesso suo tono tagliente.
"Ed io ti ho già detto che odio quando mi dici cosa fare e cosa non fare."
Era già capitato altre volte, durante qualche discussione, che lui cercasse di impormi cosa fare, o come comportarmi. Ma io gli avevo sempre sbraitato contro che non avrei mai reagito ad una sua richiesta, non se fatta in quel modo. Tante volte, Harry, quand'era arrabbiato o nervoso, non pensava abbastanza.
"Mi rendi impulsivo più di quanto io generalmente sia."
Mi aveva detto la notte in cui m'aveva confessato d'amarmi. Probabilmente era vero, probabilmente a volte i miei comportamenti testardi lo mandavano in bestia ed agiva o parlava senza pensare, ma di questo non avrei potuto fargliene una colpa, io ero anche peggio quando mi impuntavo su qualcosa.
Si girò e mi guardò; sguardi arrabbiati erano i nostri.
"Se tu la smettessi di essere così testarda, forse io la smetterei di doverti dettare degli ordini." Mimò delle virgolette con le dita, quando parlò di dettarmi ordini.
Incrociai le braccia al petto, colpita in pieno e consapevole delle sue ragioni.
Restammo in quella situazione ancora per un po' ed il tempo che scorse venne chiaramente segnato dal fatto che la sua sigaretta fu consumata dal suo respiro. Soltanto quando la spense, le mie spalle, che fino a quel momento erano state tese, si rilassarono, rendendomi conto che quello non era affatto il momento migliore per litigare, Harry non aveva bisogno di questo. Lo guardai avvicinarsi, anche lui evidentemente più calmo: la sua fronte non era più aggrottata, i suoi occhi non erano più arrabbiati e le sue labbra non erano più strette in una linea dura.
Circondai il suo collo con le braccia, inaspettatamente, stringendolo a me.
"Io non voglio lasciarti solo, davvero. Non voglio più vederti come ieri notte." Gli sussurrai all'orecchio.
Si allontanò soltanto per guardarmi negli occhi, passandomi un dito sulle labbra per cercare di cancellare il mio broncio da bambina.
"Piccola, non puoi trascurare la tua vita, i tuoi impegni, per me. Non te lo permetto."
"È soltanto per oggi." Protestai, cercando di persuaderlo.
"E tu pensi che restando con me oggi, tutto il dolore che provo possa svanire? Questo non penso passerà mai tanto facilmente."
Deglutii, scuotendo la testa. Odiavo essere consapevole del fatto che stesse soffrendo, lui più di tutti, per quella perdita; odiavo non poter far nulla al riguardo.
"Oggi andrai a lavoro e poi verrai da me e dormiremo insieme." Concluse.
In risposta, lo abbracciai, sotterrando il viso nel suo collo e beandomi del calore che il suo corpo ogni volta riusciva a trasmettermi.
"Dovrei essere io a consolare te e non il contrario." Borbottai.
Harry sorrise, mentre si allontanava dalla mia stretta, ma quel sorriso non raggiunse nemmeno per sbaglio i suoi occhi e la finzione di questo era più che evidente.

Di Vetro [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora