36. Bugie

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Harry's pov.
Sapete cos'era, anche e soprattutto, irrazionale? Quel fastidioso e soffocante senso di colpa con cui mi svegliavo la mattina. Quello era irrazionale.
Quando aprivo gli occhi e trovavo Scarlett distesa al mio fianco, o rannicchiata contro il mio corpo, piccola e dolce, quel senso di colpa opprimente mi ricopriva, non lasciandomi quasi possibilità di respirare. Il senso di colpa dovuto alla consapevolezza di starle mentendo, alla coscienza di non essere del tutto sincero con lei, che invece anche solo guardandomi negli occhi mi raccontava qualsiasi verità. Sapevo quant'era preoccupata per me, quanto fosse terrorizzata dalla possibilità che io potessi aver smesso di amarla e probabilmente mi stessi concedendo anche ad un'altra donna, lo vedevo e lo capivo quando poi gli giuravo di amarla, glielo giuravo sulla mia vita, e lei sospirava e sorrideva, quasi come se le avessi alleggerito un peso sul petto con la mia confessione. Ma nonostante io fossi certo di amarla, sicuro e senza dubbi, i miei giuramenti non so quanto poi valessero, perché anche la mia stessa vita, dopo la morte di mio fratello, aveva smesso di avere senso.
E sapevo anche che tutte quelle bugie prima o poi sarebbero venute a galla perché si sa che le bugie hanno le gambe corte. Ma tiravo avanti con le unghie e con i denti quella messa in scena cercando in tutti i modi di portare il più lontano possibile il giorno in cui Scarlett avrebbe scoperto dove realmente passavo le mie giornate, dove stavo fino a tarda notte, e mi avrebbe lasciato senza pensarci due volte. Ero così egoista da sperare che lei quella verità non la scoprisse mai, così da poterla tenere accanto a me tutto il tempo che volevo.
Ma le mie speranze erano vane.

Erano le dieci di sera e quel pub era pieno più del solito; la gente si accumulava al centro della pista, con la musica che dava loro il ritmo per muovere i corpi e strusciarsi così gli uni addosso agli altri. C'era poi un altro ammasso di gente rifugiata accanto al bancone, mentre tirava giù, uno dopo l'altro, bicchieri colmi di alcool.
Io, che ero appena entrato, mi sentivo già soffocare volevo soltanto quello di cui avevo bisogno. Mi feci spazio tra la gente, cercando Jasper lì in fondo al locale, dove era sempre stato.
Jasper era lo stesso uomo che mio fratello frequentava, quello che io stesso, invece, più volte gli avevo raccomandato di lasciar perdere; Jasper era stato un tossico, che c'era rimasto quasi secco, poi divenne uno spacciatore che abitualmente si faceva, senza paura di lasciarci le penne; dopo un po', con questa vita, smettiamo tutti di preoccuparci della morte.
Quando lo raggiunsi, mi sorrise, ma io odiavo quel sorriso; in realtà, odiavo Jasper. Lo odiavo perché era colpa sua se mi ritrovavo a cercarlo fra la gente a quell'ora, in un pub, era colpa sua se ero costretto a mentire a Scarlett la maggior parte del tempo, era solo colpa sua se mi ritrovavo succube di un girone che io stesso, prima di allora, classificavo come malato.
"Styles! Che piacere riaverti qui."
Mi diede due pacche sulle spalle, ma io mi scrollai le sue mani di dosso e lo avvertii di non toccarmi in modo sgarbato.
"Vedo che siamo nervosi, stasera." Sghignazzò, "Tieni, tira un po' di erba, così ti rilassi."
Mi passò una canna, che io presi tra le dita e portai tra le labbra, accendendola ed aspirando quanto più possibile per sentir scivolare via dal mio corpo e dalla mia pelle tutta la tensione accumulata.
Ed in pochi tiri il viso di Scarlett presente nella mia mente, si dissolse ed io ebbi un po' di tregua da tutti quei miei sensi di colpa, da tutta quella paura, da tutto quel mio dolore.
Jasper rise dinanzi la mia espressione rilassata ed io mi buttai di peso sul piccolo divano in pelle bianca posizionato all'angolo del locale. La testa mi girava, ma era una sensazione così dannatamente piacevole.
Una ragazza sui vent'anni, dai capelli schifosamente biondi, mi si avvicinò, sedendosi, senza vergogna, sulle mie gambe; quel vestito che indossava, talmente corto e scoprente, si alzò sulle sue gambe, lasciando scoperto gran parte del suo corpo; se si fosse mossa un altro po', avrei potuto vedere benissimo le sue mutandine.
"Ciao tesoro, mi piacciono i tuoi tatuaggi." Sussurrò, con la bocca attaccata al mio orecchio.
Con la punta delle dita percorse il mio avambraccio, lasciato scoperto dalla camicia che stavo indossando.
Ma quel tocco non era quello che io amavo, quelle non erano le mani di Scarlett, quella non era la sua voce, quello non era il suo corpo e se non era lei, non desideravo nessuno.
Mi portai la canna alle labbra, poggiai le mani sulle spalle della ragazza e la spinsi, non preoccupandomi nemmeno quando questa cadde con il sedere a terra e strillò proprio come quell'oca che era.
"Stammi lontano, ho una ragazza, non ho bisogno né di te e né di nessun'altra." Sputai.
Lei si alzò da terra, guardandomi furiosa; si abbassò il vestito e si tirò i capelli dietro le spalle.
"Ah, sì? Beh, dov'è adesso la tua puttanella?" Sputò, incrociando le braccia al petto.
"Non sono cazzi tuoi. Adesso levati dalle palle."
Lei in un mormorio mi mandò a quel paese e poi sparì tra la mischia di persone.
Buttai la testa all'indietro, chiudendo gli occhi e lasciando che il fumo mi rilassasse. Ma le mani di quella ragazza mi avevano fatto venire il voltastomaco e la nausea ed una canna non sembrava più abbastanza per rilassare i miei muscoli e spegnere la mente; si univa poi il pensiero di Scarlett, a casa e da sola ad aspettarmi, che mi consumava.
Allora mi avvicinai a Jasper, ch'era seduto con una rossa, mentre si succhiavano schifosamente la faccia a vicenda.
"Jasper." Lo chiamai.
Si allontanò dalle labbra della ragazza e sulle sue vi erano i segni del rossetto rosso che lei portava; mi sorrise, mentre con una mano teneva ancora ferma e vicina la ragazza, stringendole la coscia. La mia nausea aumentò quando i miei occhi caddero sulle sue mani invadenti, notando il modo disgustoso in cui la ragazza si faceva toccare e scoprire senza vergognarsi del luogo in cui si trovava.
"Vuoi unirti a noi?"
La rossa mi sorrise prima di chinarsi a lasciare languidi e bagnati baci sul collo di Jasper.
Storsi il naso.
"Fottiti." Gli dissi, inacidito.
"Ci pensa lei a fottermi." 
Sorrise e si calò a baciare la ragazza sulla bocca, stringendole la gamba ed attirandola al suo corpo; lei rise e si lasciò toccare e baciare senza vergognarsi, o quanto meno avere un minimo di contegno, quando il suo intimo fu ben evidente.
"Jasper, ho bisogno di quella roba." Ringhiai, "Adesso."
Lui si allontanò un attimo dalla rossa, costringendola a sedersi sul divano e dandole un ultimo bacio sulla bocca prima di alzarsi e farmi cenno con il capo di seguirlo.
Mi portò fuori da quel locale, in un vicolo nel retro dove ogni tossico faceva il suo tiro, o si bucava, ed ogni spacciatore vendeva la sua roba. Jasper lì era il più gettonato, la sua roba dicevano avesse una qualità migliore; ma comunque io non ci capivo un tubo e volevo soltanto qualcosa mi spegnesse la mente.
Quando fummo lontani da occhi indiscreti, Jasper mise una mano in tasca ed io tirai fuori dal mio portafogli i soldi che gli dovevo.
Anni di lavoro buttati via con quella merda, che però sembrava essere l'unica cosa in grado di farmi stare meglio; ed io ero così addolorato, così stupido.
Avere quella dannata polverina bianca tra le mani, mi fece tremare le dita. Jasper, dopo averlo pagato con i fiocchi, mi aiutò a prepararla, sistemandoci sul cofano della sua auto lì parcheggiata. Rotolai un pezzo di carta con le dita, mentre lui sistemava una dose di eroina su di un foglio; mi sorrise e con un cenno del capo mi indicò ch'era pronta ed io mi chinai a tirare dal naso tutto quello che io non capivo, ma che mi avrebbe soltanto ucciso.
Non era la prima volta, ma quando succedeva, era sempre una sensazione nuova per me; il cuore che mi batteva e rimbombava nelle mie orecchie, il vuoto dentro la testa, la leggerezza nel mio corpo. Mi appoggiai con le spalle al muro, scivolando fino a sedermi a terra e a sentire le mie gambe tremare; chiusi gli occhi, godendomi a pieno quella sensazione di assuefazione ed appagamento.
Jasper rise, prima di lasciarmi da solo nel mio stato di quiete e rilassamento, al buio, in quel sporco vicolo.
Sapevo che se Scarlett mi avesse visto in quello stato ed in quello momento, non ci avrebbe pensato due volte a lasciarmi; per questa ragione volevo non venisse mai a saperlo e per questa ragione tardavo sempre prima di andare a prenderla, o andare a passare la notte da lei, mentre aspettavo che quella sensazione un po' svanisse, permettendomi di alzarmi e salire sull'auto.
Sapevo anche che se mio fratello fosse stato in vita, mi avrebbe preso a calci in culo ed urlato contro, rinfacciandomi l'enorme cazzata che stavo facendo. Ma a pensarci era anche colpa sua s'ero arrivato fino a quel punto, a causa della sua scelta di togliersi la vita e lasciarmi da solo.
Che da solo non ero, ma stupido e cieco sì.

Di Vetro [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora