Capitolo 22

61 3 0
                                    

L'inverno mi piaceva più di qualunque cosa.

Amavo starmene sul divano, accoccolata tra le coperte, mentre guardavo uno di quei programmi natalizi, che di solito, iniziano a programmare anche prima che uno possa iniziare a rendersi conto che Natale è alle porte.

Adoravo bere cioccolata calda insieme a mia madre, mentre lei mi raccontava dei clienti strani che le arrivavano al bar ogni mattina, e di come ogni tanto avesse quello sfrenato desiderio di bere caffè, anche sul posto di lavoro.
Io ridevo. Ridevo sempre.
Aveva quello strano modo di raccontare le cose, come se te le facesse vivere in prima persona.
Era così, anche quando ero bambina, e insieme a mio padre, leggeva la mitologia greca.
Amavo le dodici fatiche di Ercole, e le avventure di Giasone.
Me ne aveva fatto innamorare, e la adoravo per questo.
Le bambine volevano le barbie a Natale, io invece una spada.
Facevo a pezzi il pupazzo di neve che costruivo insieme a mio padre, e poi lo rifacevamo.
Sempre, uno dopo l'altro.
E ogni volta c'erano solo piccole parti da aggiustare: un braccio tagliato, la testa mozzata, o il corpo deformato.
Ma non ci davamo mica per vinti, eh!
Se c'era una cosa di cui mio padre non era privo, erano la pazienza e lo spirito di iniziativa.
Ci buttavamo a capofitto sotto la neve, in quella cittadina dove passavamo le vacanze, e a volte prendevamo la febbre, insieme.
Ma non ci importava mica! Era solo il pensiero di andarsi a riparare dopo dentro casa, affiancati insieme, su quel divano di stoffa beige, con la cioccolata in mano, e un sorriso da ebeti stampati in faccia, mentre i denti battevano e battevano, per il forte freddo.

Bastavano solo la consapevolezza di stare insieme.

Mentre mia madre si affacciava della finestra, e urlava a mio padre di rientrare. "Le farai venire la febbre, Steve! Non è meglio farla giocare al Monopoli? Cassie, non rotolarti nella neve! Ti verrà la polmonite!"
E lo ripeteva sempre. Ogni quarto d'ora.
Sbucava data finestra, tutta avvolta nella sua sciarpa rossa a righe bianche, e inventata sempre una scusa per farci rientrare.
La nonna non mi diceva mai nulla. Ne a me, ne a mio padre.
Quando usciamo, compariva dalla cucina, ci squadrava da capo a piedi, e poi esclamava:
"Chi dei due sporca per primo l'ingresso di neve e terriccio, se la vedrà con me"
E poi spariva. Non avevo mai capito perché dovessimo portarla con noi ogni vacanza, ma dopotutto, mio padre era appena entrato nell'esercito, e di conseguenza lei non vedeva più spesso suo figlio.
Quindi, forse in fondo non mi dispiaceva.

Mi mancava mio padre. Mi mancava ogni giorno, ogni notte. Ogni mattina a colazione.
Mi mancava durante la giornata, e di fronte le difficoltà. Perché a volte, quando avevo un problema, c'era lui a consigliarmi, a dirigermi.
Era lui la spalla dove trovavo appoggio.

Mi mancava mio padre. Mi mancava tutto di lui, fino all'ultima ruga che aveva in viso.
Fino all'ultima cicatrice che si procurava ogni volta che tornava dalla guerra.
Le avevo contate tutte una volta.
Mel'ero spassata, mentre lui si tirava su la maglietta sbuffando, ed io iniziavo la mia folle conta di tutti quei piccoli taglietti quasi invisibili.
Erano diciotto. Solo sul torace.

Mi mancavano il sorriso, gli occhi.
La risata.
Mi mancavano le sue gigantesche mani che mi si poggiavano sulle spalle, e a volte sulle guancia. Mi mancavano le sue labbra che mi baciavano in fronte.
Mi mancava lui.

Ma mio madre non era morto invano, no?
Aveva sacrificato la propria vita, aveva detto mia madre.
Per quel Peter. Peter Taylor.
Il padre di Chris.

Oddio, faceva ancora uno strano effetto pensarci. Io e lui eravamo più vicini di quanto immaginassi, più vicini di quello stupido bacio che ci eravamo scambiati.

Mi toccai il labbro, come una stupida, ed alzai gli occhi verso il cielo di Austin.
Aveva iniziato a nevicare, e non me n'ero neppure accorta.

Young Love. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora