Capitolo 27

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Fu solo dopo che ebbi spalancato la porta della villetta di Houston, preso un grosso respiro, e sfilato via l'elastico dai capelli legati in modo esageratamente approsaimativo, che potei finalmente dire di sentirmi...bene.

Certo, mi facevo ancora schifo da sola, avrei voluto andare a casa, si.
Ma Logan non era riuscito ad evitarlo.
Dopo essere saliti in macchina, per un momento mi ero aspettata che mi portasse al parco per fare quattro passi, al mio posto segreto, in gelateria, a casa sua persino!
Ma mai avrei immaginato che veramente facesse tutti quei chilometri per tornare indietro.
Così, mi ero ritrovata di nuovo ad Houston, il luogo da dove all'inizio non volevo fare altro che andarmene via.
Scappare.
Tornare a casa.

Eppure Logan aveva avuto ragione su tutto: non avrei mai avuto il coraggio di dire a mia madre il perché fossi tornata.
In quel momento volevo solo poche domande e poche attenzioni.
Volevo stare da sola, ma non del tutto.

Così, con diciotto chiamate perse da parte di Mya -la quale avevo mandato precedentemente un messaggio dove le avevo detto di non essermi sentita bene- varcai la soglia di casa, e mi buttai a peso morto sul divano.
Stanca. Distrutta, e particolarmente esausta.

Logan, finalmente, riemerse da quello che sembrava essere il peggior parcheggio della storia.
Mi venne in contro, e si sedette di fianco a me.

Sospirò, portandomi una mano sulla guancia.
"Stai bene?"

Sentii una vibrazione nel basso ventre, così a corto di parole, annuii.

"Okay" sussurrò, per poi mostrarmi un sorriso sbilenco.
Il suo pollice continuava a circoscrivere cerchi perfetti sul mio zigomo.
"Okay" ripeté.

"Sei stanco?" chiesi, portando la mia mano sulla sua.

"Non lo so. Tu?"

"Non lo so."
Nessuno parlò per qualche secondo.

"Vuoi..." partimmo insieme.
Lo fissai, e poi scoppiò a ridere.
Io feci lo stesso, dopo quella che mi parve un'eternità.

"Stai ridendo" disse, nonostante la cosa fosse ovvia. "È un buon segno."
Scossi la testa, ridacchiando.

"Andiamo di sopra?" Mi propose lui, alzandosi in piedi e sfregandosi i palmi sui jeans.

"È un'invito, o cosa?" Mi alzai. "E, mi sbaglio o sei...nervoso?"

"Io? Nervoso?" ridacchiò, avviandosi verso le scale.

"Ti conosco. E poi, fai quel genere di cose ch-"

"Quali genere di cose?"

Lo spintonai, facendogli per poco perdere l'equilibrio sulle scale.
Mi lanciò un'occhiataccia, ma fu difficile prenderlo sul serio, mentre sorrideva e cercava di non ridere.

"Lo sai! Ti guardi in giro vago, ti sfreghi le mani, non stai mai fermo, e po-"

"Ehi ehi frena. Da quando sai molte cose di me, persino più di me?"

Risi. "Non è difficile rendersene conto" alzai le spalle.

"Davvero?"

Abbassai la maniglia della prima camera da letto, per poi alzare lo sguardo sugli occhi di Logan.
Mi fissava con lo sguardo di chi ha qualcosa da dire.
Qualcosa di grande, urgente, e qualcos'altro misto a...dolore.
Mi guardava come qualcuno che ha appena trovato qualcosa di prezioso, di cui sapeva non avrebbe più fatto a meno.

"Davvero."

La camera da letto era immacolata. Il letto aveva le coperte ben piegate di lato, e una vecchia trapunta (che sapeva tanto di 'vecchio regalo della nonna') era stesa sul letto.
Per il resto, solo un vecchio armadio di legno e una scrivania dello stesso materiale animavano quel senso di vuoto che la stanza dava.
Un leggero venticello faceva fluttuare le tendine di pizzo.
Intravidi la luna all'orizzonte.

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