Chains

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"Le senti anche tu Justin?" Bofonchio, continuando a strofinarmi gli occhi mentre sono seduta sul letto, avvolta nel buio della stanza.
Justin si affretta ad accendere una lampadina, per poi puntare il suo sguardo assonato su di me. La sua espressione è un misto tra preoccupazione e irrequietudine. Mi sta guardando come se mi fosse spuntata, all'improvviso, una seconda testa.
"Casa...cosa dovrei sentire?" Mi chiede cautamente, prendendomi gli mani e fermandomi dal tormentare ancora i miei occhi.
"Le catene...il loro rumore metallico. Falle smettere." Piagnucolo, cercando di liberarmi dalla sua presa. La testa mi sta rimbombando, provocandomi un dolore atroce e non riesco a concentrarmi sull'immagine di Justin, che è letteralmente in preda al panico, poiché continuo a sentire questo bizzarro rumore di pesanti catene che vengono trascinate forse sul pavimento... o forse su qualche altra superficie. Fatto sta che è assordante e sovrasta persino la voce vellutata di Justin che cerca, invano, di tranquillizzarmi.

"Ros, non si sente niente, in questa stanza...soltanto le nostre voci." Mi informa, indicando con un cenno della testa la stanza da letto, nella sua casa sulla Park Avenue. "Deve trattarsi di un effetto collaterale di quei fottuti farmaci. Ucciderò quello stronzo di Eric."
"Ho smesso di prenderli un paio di giorni fa." Confesso, sdraiandomi in posizione fetale, senza però smettere di tenermi la testa tra le mani. "Cazzo, falle smettere!"
Potrei sembrare pazza e, in effetti, è proprio così che mi sento. Sono davvero sull'orlo del precipizio e temo di stare per trascinare Justin insieme a me.

E' visibilmente scosso e ad un passo dal urlare per la frustrazione, quando prende la mia borsa e comincia a frugarci dentro in cerca dei farmaci. Lo sento imprecare animatamente per tutti gli oggetti che ci trova dentro e, se non fossi in queste pessime condizioni, riderei di gusto per la sua improvvisa goffaggine.

"Prova nuovamente a prenderli." Mi intima, posando un bicchiere di acqua sul comodino e i due flaconi di farmaci, dopo essere sparito per qualche secondo.
Sedendosi accanto a me,mi accarezza la schiena e mi sussurra parole confortanti che mi convincono a seguire il suo consiglio. Perciò, mi alzo giusto per qualche attimo, in modo da poter buttare giù un paio di pillole, e poi ritorno nella mia posizione iniziale, aspettando e bramando qualche piccolo miglioramento.

Avremmo dovuto usare queste due settimane, in cui i nostri genitori sono nel viaggio di nozze, per divertirci e goderci la, temporanea, libertà. Ma sto rovinando ogni cosa con i miei cambi repentini di umore e salute. Un momento sto bene, e il successivo mi piego su me stessa- stremata da qualunque forza e senza alcuna voglia di continuare a respirare.
Ho già rovinato la prima settimana e dubito che nei prossimi giorni la situazione cambierà.
E mi sento tremendamente in colpa per questo.

"Vieni qui." Sussurro, picchiettando lo spazio vuoto accanto a me, mentre mi distendo nuovamente in una posizione comoda, sul letto. Il mal di testa ha cominciato a placarsi e, pertanto, ritorno ad essere in pieno possesso delle mie facoltà mentali...
Beh, magari non del tutto pieno, ma comunque abbastanza da permettermi di lasciarmi sbranare dai rimorsi.
"Domani Eric mi dovrà sentire." Replica Justin, stendendosi accanto a me. Lasciandomi sfuggire una risatina, appoggio la testa sul suo petto nudo e ringrazio Dio per avermi ridato la possibilità di sentire soltanto i battiti del suo cuore.
"E cosa gli dirai?" Lo stuzzico, dopo che egli ha spento la lampadina e il buio ritorna a regnare nella stanza.
"In realtà non ho intenzione di spiaccicare chissà quante parole. Mi limiterò a strappargli le palle e lasciarlo morire dissanguato." Afferma in un tono cantilenante, guadagnandosi un'altra risata da parte mia.

"Abbiamo ancora qualche ora per dormire, prima di andare al college. Che ne dici se cerchiamo di risposarci?" Lo supplico, quando le palpebre iniziano a diventare pesanti, poiché noto che egli non abbia affatto intenzione a chiudere occhio. Ogni tanto mi lascia qualche piccolo bacio sulla fronte, continuando ad accarezzarmi dolcemente e a sussurrarmi quanto mi ama.

Sta impiegando tutte le sue forze per sembrare forte e mantenere la sua aria da "invincibile", ma è palese che sia terrorizzato e che la preoccupazione lo stia divorando dentro.

"Ti ho già detto che domani faremo visita al fottuto Eric. Non pensare che ti farò andare al college, fiorellino." Ribatte, passando la mano attraverso la mia chioma bionda.
"Ma non voglio cominciare già a saltare i corsi." Borbotto, dandogli un piccolo colpo sul petto.
"Niente ma. Riposati, amor mio."
"Solo se ci proverai anche tu."
"Lo farò." Mi promette.
Ma so che è lontano dal mantenere questa promessa, poiché le sue mani non smettono mai di toccare ripetutamente la mia pelle, ed il suo sguardo è sempre puntato su di me, come se il buio non costituisse alcun ostacolo per la sua vista.

Il mattino seguente vengo risvegliata dai potenti raggi del sole che penetrano dall'ampia finestra, della stanza di letto di Justin.
Lanciando uno sguardo veloce al cielo perfettamente azzurro, ipotizzo che siano già le dieci del mattino. E questo, insieme ad un breve momento di smemoratezza, mi fa entrare nel panico- constatando quanto io in ritardo per i corsi mattutini.

Successivamente, però, mi ricordo della conversazione avuta con Justin nel bel mezzo della notte, e ritorno ad appoggiare la testa stancamente sul cuscino, pienamente consapevole del fatto che mi impedirebbe a tutti i costi di cercare di frequentare ancora qualche corso.

"Buongiorno!" Esclamo , non appena entro in cucina e colgo Justin alle prese con la preparazione dei miei amati pancakes. Approfittandomi che egli sia girato di spalle, lo abbraccio da dietro e gli lascio un piccolo bacio sulla spalla, sorridendo contro di essa quando sento come un piccolo brivido gli attraversa il corpo.
"Come stai?" Mi chiede in un tono stanco. E quando egli si gira, finalmente, verso di me- noto, mio malgrado, che anche il suo aspetto riflette la stessa condizione.
Ha le borse sotto gli occhi, iniettati di sangue, e il suo sorriso è tirato- più simile ad una smorfia che ad un vero e proprio sorriso.

"Chiamerò Eric." Asserisco, dopo qualche minuto, mentre sto consumando la colazione preparatami da Justin. Potrei fare a meno di richiedere l'ennesima seduta, ma se questo gioverà alla sua salute mentale, che in questo momento sembra seriamente compromessa, starò al gioco senza ulteriori indugi.

Perciò, sotto lo sguardo stanco, ma già più allegro, di Justin mi accingo a chiamare Eric per riferirgli lo strano episodio avvenuto questa notte. Quest'ultimo, mi chiede esplicitamente di recarmi nel suo studio il prima possibile, lasciando trapelare lo stupore e l'allarme nella sua voce.
E così, non ho nessun'altra scusa per evitare questo incontro che potrebbe portare a galla cose spiacevoli.

"Non devi aspettarmi qui, sempre." Sussurro, ancora una volta seduta nella salta d'attesa dello studio di Eric.
"Voglio farlo." Afferma Justin in tono sicuro, passandosi la mano attraverso il suo ciuffo disordinato. Nonostante sia palese che abbia bisogno di un po' di riposo, resta ancora bello da mozzare il fiato ed, in effetti, anche solo guardarlo mi manda in fibrillazione.
"Non c'è bisogno, Justin, davvero. Andrà tutto bene." Continuo, prima che la mia attenzione venga attirata da Eric che fa capolino dal su studio, indicandomi di raggiungerlo con un gesto della mano, prima di scusarsi con una donna seduta accanto a me e prometterle di farla aspettare il meno possibile.

"Risparmia le energie Eric, non voglio un'altra ricetta." Lo ammonisco, osservandolo mentre sta frugando nei cassetti della sua scrivania di legno color miele. Il suo viso si contorce in una smorfia quando non trova ciò che sta cercando e, successivamente, passa a rassegna anche la superficie del mobile, rovinando l'ordine quasi maniacale.
"Non devi assumere più alcun farmaco." Sbuffa, guardandosi intorno con aria smarrita. Poi, quasi avendo una rivelazione, afferra la sua ventiquattrore e la ispeziona prima di tirare fuori quello che, a prima vista, sembra un biglietto da visita.

"Questa situazione è fuori dalla mia competenza medica." Afferma, con un velo di tristezza nella voce.
"Cosa vuoi dire?" Chiedo confusa, osservandolo mentre mi porge quel bigliettino tanto ricercato.
"Sospetto che il tuo sia un problema fisico. Quindi ti consiglio di fare una serie di analisi approfondite." Mi spiega cautamente, come se fosse consapevole che questo potrebbe scatenare la mia ira.

Not only stepbrothers Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora