Lo guardo per chiedere una conferma tacita alle mie supposizioni, e vengo catapultata in una sorta di trance quando egli annuisce con un piccolo cenno della testa per poi abbassare lo sguardo mortificato.
"Purtroppo il tumore si trova già in uno stadio avanzato." Asserisce, schiarendosi la voce nell'intento di assumere un tono più neutrale. "Come al solito, si tratta di una corsa contro il tempo. E' necessario intervenire il prima possibile."
Mi sembra di sentire ogni singola parola come se provenisse da lontano, attutita da un vento che mi raffredda le guance e mi secca le labbra quasi dolorosamente. Ma non sono veramente in balia di mille follate di vento, sono ancora nell'ufficio del dottor Harville, che ora mi pare stia girando intorno a me, prendendosi gioco della mia incapacità di restare concentrata e capire ciò che mi sta succedendo.
"Forse se l'avessimo scoperto prima..." Riflette mia madre in un tono stridulo, posando le mani sulle ginocchia e stringendole come se rischiasse di perdere l'equilibro.
"I sintomi, più delle volte, tendono ad essere molto generici, pertanto è difficile rendersene conto senza appositi esami. Certamente, la situazione sarebbe molto diversa se l'avessimo scoperto in una fase ancora iniziale. Però, posso assicurarvi che io e i miei colleghi ne discuteremo e stabiliremo quale sia il modo migliore per procedere, al più presto. Mi dispiace.""Grazie." Sussurro, e ricevo delle occhiate cariche di stupore, giacché probabilmente nessuno dei due si aspettava di risentire la mia voce così presto. E, in effetti, persino io stento a credere che sia ancora in grado di proferire parola.
In questo preciso istante, mi sento come se la mia io interiore mi avesse abbandonata, portandosi con sé ogni tipo di emozione e sentimento...prosciugandomi del tutto e togliendomi la possibilità di reagire dignitosamente.Ma non è forse naturale sentirsi fuori di sé quando una notizia talmente forte e distruttiva ti investe, in tutta la sua potenza?
Io credo che il mio sia quasi una sorta di periodo di transizione, prima di metabolizzare il fatto che ormai devo lottare per continuare a vivere quella vita che finora mi è sembrata del tutto scontata."Guido io." Asserisco fermamente,mentre usciamo dall'ufficio del dottore, notando gli occhi lucidi di mia madre. La donna mi guarda come se mi fosse spuntata un'altra testa, perciò, senza dire nient'altro, sottraggo le chiavi della Camaro dalla sua presa e aumento la velocità dei miei passi, precedendola nell'uscire dalla clinica.
Mia madre piange silenziosamente per tutto il tragitto, fermandosi soltanto per sussurrare qualche parola dall'aria incoraggiante. Dal canto mio, sono ancora lontana dall'assimilare la notizia, ancora estremamente fresca. Cosicché, a tratti, provo del fastidio nel sentirla blaterare affermazioni su come io sia abbastanza forte per poterne uscire.
Eppure, capisco che lei abbia già metabolizzato questa nuova prospettiva della realtà, perciò rispetto il suo dolore e resto in silenzio, analizzando segretamente ogni parola del dottor Harville.Una volta arrivate a casa, mi dirigo a grandi falcate verso la mia stanza, dove mi rinchiudo a chiave e mi butto a peso morto sul letto, per poi dare inizio all'avvio delle cosiddette fasi di elaborazione di un evento traumatico.
La prima è la negazione: affondando la testa nel cuscino, ripeto continuamente nella mia testa quanto sia assurda questa situazione, e mi rifiuto di pensare che ci sia qualcosa di vero.
Tutte le parole sentite oggi, i risultati della risonanza e il mio stato, precario, di salute basterebbero per convincermi del contrario.
Eppure, inizialmente niente di tutto ciò è abbastanza per farmi accettare che questa sia la pura verità e che non si tratti di una finzione.E non importa quanto il mio cervello si stia sforzando di assimilare queste nuove informazioni, è un processo naturale che richiede il suo tempo e non può essere velocizzato a mio piacimento. Difatti, soltanto dopo un paio di ore di pianto ininterrotto e innumerevoli colpi nella porta,senza rendermene conto, la rabbia mi abbandona per lasciare spazio alla seguente fase: la depressione.
Il senso di stanchezza che mi ha sempre accompagnata in questo periodo, sembra si sia amplificato a dismisura. Malgrado questo, però, non riesco a chiudere occhio e mi limito a restare immobile, immersa nel buio della stanza. Quel buio che mi ha sempre spaventata poiché, nel frenetico desiderio di essere circondata dalla luce- soffusa o forte che sia, non mi sono mai accorta che il buio fa parte di me.
Non ho mai realizzato che il buio si nasconde dietro ad una marea di cose: l'odio, il dolore, la paura, l'insicurezza...tutte emozioni che proviamo ogni giorno e che ci catapultano in balia dell'oscurità.
Perché la vita è questo...buio e luce, che si intrecciano in una battaglia continua.
A volte vince la luce, e altre volte, invece, vince il buio.Ormai il silenzio è calato in tutta la casa e i colpi nella porta sono anche essi cessati.
E' quasi mezzanotte e nonostante sia stremata sia fisicamente che psicologicamente, mi è impossibile lasciarmi avvolgere dalle braccia di Morfeo.
Ho voglia di andare via e vagare per le strade fino all'alba, finché le gambe mi tremeranno e il respiro sarà affannoso. E magari è il desiderio più stupido e insensato del mondo ma, per la prima volta, non voglio essere razionale.Dopo aver raccolto il giacchetto, buttato malamente per terra tante ore fa, giro la chiave nella toppa, provocando un rumore fastidioso- in contrasto con il silenzio tombale della casa. Oltrepassando la soglia della porta, rischio di tirare un urlo per la paura quando quasi mi scontro con la figura di Justin. E' seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro e ha gli occhi chiusi.
Nonostante il primo impulso sia quello di proseguire, senza far notare la mia presenza, mi chino leggermente e gli tocco la spalla. Egli, dopo qualche istante, sbatte leggermente le palpebre col chiaro intento di mettere a fuoco la mia immagine avvolta dalla luce soffusa del corridoio.
Agile ed elegante come una pantera, si alza in piedi e punta il suo sguardo stanco nel mio."Da quant'è che sei qui?" Chiedo a bassa voce.
"Un paio d'ore." Risponde, passandosi la mano sul viso. Probabilmente molti dei colpi nella porta, che ho accuratamente ignorato, erano suoi, e questa consapevolezza mi fa provare un pizzico di colpevolezza.
"Avresti dovuto dirmi che eri tu." Ribatto, passandomi la mano tra i capelli disordinati.
"Ho pensato avessi bisogno di stare un po' da sola." Dice, a sua volta, riducendo la distanza tra di noi. Dopo di che appoggia la sua fronte calda sulla mia e intreccia le nostre mani, alleggerendo per qualche attimo il peso che, da oggi, ho cominciato a portare sulle palle.Non si lancia in nessun monologo su quanto sia dispiaciuto, anche se so che ne sia stato informato, e sospetto che il suo silenzio sia mirato. E, dal canto mio, preferisco il silenzio piuttosto che mille inutili parole.
Preferisco sentire le sue braccia forti stringermi in un abbraccio, malgrado mi provochino un attimo di cedimento in cui le lacrime minacciano di riprendere a scorrere senza sosta.
"Sto andando a fare una passeggiata." Affermo, infine, riprendendo le distanze e fissando un punto indeterminato, assicurandomi di essere lontana dallo scoppiare in lacrime.
Con la coda dell'occhio, vedo Justin mentre si asciuga velocemente gli angoli degli occhi, per poi ritornare a posare l'attenzione su di me.
"Non puoi uscire da sola, è pericoloso." Ribatte, senza distogliere lo sguardo dalla mia figura. "Ti accompagno."
"Ho bisogno di stare da sola." Dico velocemente, confermando le sua supposizione di poco fa.
"Mi terrò ad una debita distanza. " Continua, riassumendo un tono fermo.
"D'accordo." Asserisco, scrollando le spalle, per poi girare i tacchi e prendere a camminare.E come promesso, mi viene lasciato lo spazio desiderato mentre vago senza meta su strade quasi del tutto deserte. Tant'è che a volte mi ritrovo a voltarmi per assicurarmi che Justin ci sia ancora, e che non mi abbia abbandonata.
Puntualmente, lo vedo in lontananza mentre sta osservando attentamente ogni mia mossa, per poi farsi affiorare un piccolo sorriso rassicurante, invitandomi con lo sguardo a proseguire il mio cammino.
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Not only stepbrothers
Fanfic"E giuro che non vorrei essere così maledettamente stronzo con te, Rosaly, ma è insano guardarti e pensare che potresti essere tutto ciò che ho sempre voluto e che mai vorrò. Sapere che mi odi mi salva dal buttarmi ai tuoi piedi e supplicarti di ved...