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Dopo l' imbarazzante incontro con Jiho, Minjeen pensava soltanto a come poter sopravvivere se si fosse nascosta per sempre in casa, dove la vergogna non l'avrebbe raggiunta.
Jiho l'aveva squadrata dalla testa ai piedi, sfoggiando la propria fotografia appena trovata.
Alla fine Minjeen aveva deciso di raccontagli la verità, o meglio una mezza verità.
Sua mamma era in pensiero per lui e le aveva chiesto di tenerlo d'occhio.
-Mia mamma è preoccupata?- disse lui sospirando.
-Sì. Ma perché sei venuto a Busan al posto di stare con lei?-
-Questi non sono affari tuoi.-
Minjeen deglutì.
-Ma cosa ti danno da mangiare la mattina per farti essere così simpatico?- chiese sarcastica.
-Neanche questo è affar tuo.-
-La simpatia deve proprio essere di
Famiglia, anche quella tua parente... Chungsin, non scherza.-
-Chungsin?-
La ragazza annuì.
Jiho sembrava confuso.
-Chungsin chi?- chiese.
-Ma come? Adesso vive con la signora Woo, dice di essere tua sorella.- affermò Minjeen stupita del fatto che Jiho fosse perplesso.
Il ragazzo rimase qualche attimo a fissare il vuoto sconcertato.
-Vieni, saliamo a casa di mio zio.- disse e si fece seguire da Minjeen.
-Andiamo a piedi.- decise imboccando le scale.
Arrivati al piano Minjeen era distrutta.
Aveva salito così tanti piani, di cui aveva perso il conto dopo il piano tre, che non si sentiva più i piedi.
Jiho si girò per controllare che fosse ancora dietro di lui, e lei si raddrizzò immediatamente per non far capire quanto si fosse affaticata.
'Fortuna che ho dei buoni polmoni.' Si disse abbastanza fiera di se stessa.
Entrò nell'appartamento. Era più piccolo e discreto di quello in cui viveva Taeyoun.
Ma non era niente male. Anzi era accogliente e grazioso. Tenuto pulito. Però era evidente che fosse un appartamento per soli uomini.
Gli scaffali erano sgombri di oggetti, non c'erano tappeti, e le tende erano bianche e semplici. I mobili scuri ed essenziali.
-Siediti pure dove capita. - disse il ragazzo.
Minjeen si tolse il giaccone e lo adagiò accanto a se sul divano.
Osservò il ragazzo muoversi liberamente per l'appartamento, riaprendo le finestre per far entrare la luce e svestendosi della giacca.
-Dovevo andare a comprare una cosa, ma ormai temo che dovremo fare due chiacchiere noi due.- disse Jiho sedendosi sul divano di fronte alla sua ospite.
Minjeen arrossì.
-Ma è la vigilia di Natale.- notò lei.
-E quindi? I centri commerciali sono aperti.-
Lei si rese conto che Jiho non aveva tutti i torti e cessò di contraddirlo.
-Allora spiegami. Come è fatta questa Chungsin?-
Minjeen gliela descrisse come meglio poté, cercando di non tralasciare le sue abitudini antipatiche con cui perseguitava Taeyoun.
-Mio dio...- mormorò Jiho.
Si passò una mano sui capelli.
-Che cosa significa? Taeyoun è in pericolo? -
-Chungsin... lei è... mia sorella, ma non di sangue. Era stata adottata dai miei genitori prima della mia nascita- affermò.
Minjeen era sconvolta. Come mai non l'aveva mai vista allora?
-Quand'ero piccolo tentò di soffocarmi. Perciò i miei genitori la portarono da uno psichiatra. Chungsin é una persona malata. È da quando avevo sette anni che non la vedo. Pensavo fosse stata ricoverata in una struttura apposita... ma deve essere stata dimessa.-
-Pensi che tua madre sia in pericolo?-
Lui scosse la testa.
-Non lo so... ma di sicuro non credo provi molto affetto per la madre che la rinchiuse in una struttura, abbandonandola.-
-Ma tua mamma è con tuo padre giusto? Lui la proteggerà!-
-No, mio padre è a Daegu adesso. Lei è sola.-
-Perché sei a Busan? Devo saperlo!-
Minjeen lo guardò con fermezza.
-Fossi in te non mi impiccerei più di tanto. Devo tornare subito a Seoul. Al diavolo se mi prendono.- disse alzandosi in piedi.
-Aspetta Jiho, ho il bisogno di sapere. Devi spiegarmi!-
-Ti ho detto che non sono affari tuoi!- ripeté lui.
Lei lo seguì mentre lui si allontanava.
-Jiho, devo saperlo per Taeyoun. Perché non vuoi dirmelo?-
-Sei davvero insistente tu!-
Ma la ragazza si stava davvero preoccupando moltissimo per la sua migliore amica. Adesso che sapeva dell'infermità mentale di Chungsin non si sentiva per niente tranquilla. Voleva sapere tutto riguardo quella storia. E forse Jiho poteva dirglielo.
-Non mi arrendo, continuerò a chiedertelo finché non me lo dirai...- affermò.
Jiho sospirò poi afferrò Minjeen per le spalle e la mise contro il muro.
La ragazza sussultò. Con il cuore in gola sentì la superficie fredda della parete premerle contro la schiena.
-C-Che stai...- balbettò.
Jiho la teneva ferma con una gamba in mezzo alle sue e tenendole i polsi contro il muro.
-Non posso dirtelo lo vuoi capire? Smettila di fare l'impicciona.
Il corpo di Jiho premeva contro il suo, il viso del ragazzo stava a pochi centimetri dal suo e quello sguardo freddo le stava raggelando il sangue.
Non osò muoversi perché la gamba di Jiho la stava schiacciando. Era completamente impotente e in balia di quel ragazzo. Aveva paura. Ma non voleva che lui lo sapesse.
-Non ho paura. So che non mi farai del male.- disse lei cercando di rimanere calma. Ma come poteva. Se non fosse stato per lui, lei si sarebbe già afflosciata a terra. Era solo l'adrenalina a farla parlare adesso.
-Ah no?- disse lui stringendola più forte.
I polsi cominciarono a farle male sul serio.
-Non sei cattivo.- insistette lei.
-Non lasciarti convincere mai più ad entrare in casa di un uomo da sola.- le disse quasi sussurrando.
Detto questo Minjeen si sentì liberare dalla stretta.
-Sparisci adesso.- le disse indicandole la porta e consegnandole il giaccone.
Minjeen fece per uscire.
-Aspetta.- la fermò lui.
Lei si girò.
'Cosa vorrà mai adesso?' Si chiede agitata.
-Hai la scarpa slacciata.- affermò il ragazzo e si chinò ad allacciargliela.
Ma cosa stava succedendo? Min lo fissò a bocca aperta. Quando ebbe finito Jiho la spinse quasi fuori dalla porta e chiuse la porta subito dopo.
Un ragazzo senza dubbio molto strano.
Quel pomeriggio Minjeen tentò di chiamare la sua migliore amica per informarla di ciò che le aveva rivelato Jiho, sul conto di Chungsin.
Ma Youn non rispose.
Le arrivò solo un messaggio con scritto che aveva da fare e di non chiamarla.
Molto strano.

Dopo aver visto Youn correre via, con gli occhi lucidi, Jackson rifletté a lungo sul da farsi, decidendo poi di andare da lei per scusarsi.
Non avrebbe dovuto dire così. Si era pentito nel momento stesso in cui aveva pronunciato quelle parole.
Raggiunse in bici il palazzo in cui abitava la sua amica ma ciò che vide lo lasciò scioccato.
Una ragazza, probabilmente sui venticinque anni, stava aiutando una persona a salire in macchina.
Si trattava di una figura esile che Chungsin teneva stretta sulle spalle.
Con fatica la adagiò sui sedili posteriori della macchina. Sembrava un corpo svenuto o peggio, morto.
E poi quegli scarponcini, sembravano proprio quelli di Youn. Jackson non volle creder alla scena che stava vedendo.
Nascosto dietro un albero, a quella distanza, non poteva essere visto dalla ragazza che stava portando via in macchina probabilmente Taeyoun. Rimontò sulla bicicletta e cercò di pedinare l'auto ma quella era troppo veloce per lui.
-Taeyooouuuun!- gridò.
Per quanto stesse pedalando a perdifiato, l'auto lo seminò.
Tornò indietro verso il palazzo di Youn, forse da lì avrebbe capito dove era diretta l'auto che stava inseguendo.
Era nel panico.
Avevano rapito Youn.
Quando tornò, vide qualcuno. Forse era esattamente chi stava cercando: l'uomo col cappello nero.
Jackson sentì una rabbia incontrollata salirgli da dentro.
-Ce l'avete fatta alla fine!- esclamò.
Gettò la bici a terra e, avvicinandosi, afferrò il colletto della giacca dell'uomo.
L'uomo era sconcertato da quel gesto.
-Ci siete riusciti a prendervela! Avere preso Youn!- gli disse scuotendolo.
L'uomo prese un braccio di Jackson e glielo fece girare dietro la schiena.
Jackson ringhiò per il dolore acuto alla spalla. L'uomo l'aveva immobilizzato quasi senza muoversi.
-Di cosa parli.- fece l'uomo. La sua voce sembrava avere qualcosa che non andava.
-Seguivate Taeyoun, e finalmente siete riusciti a prenderla, bastardo lasciami!-
L'uomo non si mosse ma continuò a tenere fermo il ragazzo.
-Forse dovresti prendertela con te stesso, se l'hai lasciata da sola.- affermò l'uomo col cappello.
Così piegato Jackson poteva vedere il mento e il naso dell'uomo che sporgevano dall' oscurità.
-Hai visto la targa dell'auto?- chiese l'uomo.
Jackson non rispose. L'altro cominció a scuoterlo per farlo parlare.
Jackson gliela disse.
-Lasciami adesso! Devo andarla a salvare!-
-Resta dove sei. Ci penso io.- lo ammonì l'uomo. Portandoselo dietro lo legò al palo di un'insegna con un foulard. Sembrava un esperto di nodi, perché Jackson non riusciva a liberarsi.
L'uomo col cappello si allontanò.
Stava veramente andando a salvare  Youn? Oppure...

MUL [Jackson Wang]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora