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-Jb io sto andando da lei.- disse Jackson dall'altro lato del telefono.
Jb era sconcertato. Avevano rapito Youn? Se non avesse fatto qualcosa al più presto il suo amico si sarebbe cacciato in un grosso guaio. Ma cosa poteva fare?
-Jackson resta dove sei! Chiamo aiuto.- ma l'altro aveva già riattaccato.
-Jb, che succede?- chiese Mark preoccupato.
Poteva sembrare un ragazzo freddo, ma in realtà si preoccupava molto per i suoi compagni, specialmente per Jackson.
-Riguarda, Taeyoun. È in pericolo e lui ha deciso di testa sua di aiutarla e di correre gravi pericoli.- spiegò Jb, il suo sguardo era concentrato e riflessivo.
-L'avevo detto che quella ragazza lo avrebbe messo nei guai!- sbottò Mark.
-Mark, che diavolo stai dicendo. Taeyoun è nostra amica è normale che lui voglia aiutarla!- replicò Junior.
-Jackson è un idiota, non è colpa di Taeyoun.- commentò Bambam sospirando.
Mark stringeva i pugni. Non poteva accettarlo.
-Lui non... non doveva mettersi in pericolo per lei.- replicò serrando la mascella.
-Mark.- intervenne Jb, il suo tono era serio e paziente, -questo non è il momento di fare scenate di gelosia. Cerchiamo di trovare un modo per aiutare Jackson.-
Mark non poteva credere alle sue orecchie, ma decise di tacere per non peggiorare la situazione in cui si trovava.
-Junior tu e Mark venite con me, voi altri cercate di coprirci con il manager.- decise Jb.
La sua determinazione e la sua capacità di trovare soluzioni efficaci in breve tempo, erano alcuni dei motivi per cui era il leader dei Got7.

Jiho aveva raggiunto Seoul con il treno. Il mezzo aveva avuto un ritardo, perciò era arrivato solo nel pomeriggio.
Aveva trovato la porta di casa aperta, come se qualcuno fosse uscito di fretta e si fosse dimenticato di chiuderla a chiave.
-Mamma!- la chiamò a gran voce.
Era da così tanto tempo che non la chiamava in quel modo. Si era comportato freddamente con la sua famiglia per così tanto tempo che ora voleva solo tornare indietro nel tempo e riabbracciare la sua mamma.
'Devo averla fatta preoccupare tantissimo. Mentre cercavo di salvare solo me stesso. Sono stato così egoista.' Pensò mentre si inoltrava nella casa.
Era stato l'appartamento in cui era cresciuto, in cui aveva passato i migliori anni della sua vita. Ma ora aveva qualcosa di diverso. Tutto era al proprio posto, la signora Woo non aveva spostato nulla, eppure c'era qualcosa di profondamente sbagliato. Qualcosa che non andava.
Poi lo trovò. Non fu difficile, considerando l'odore dolciastro di morte che alleggiava nel salotto. Jiho non aveva mai avuto la sfortuna di sentire quell'odore. Fino a quel giorno.
-Mamma...- mormorò rivolto a quel volto freddo e privo di espressione.
Ma la sua mamma non si sarebbe mai più svegliata. Non avrebbe mai più potuto chiederle scusa per averla lasciata sola. Non le avrebbe più guardato la schiena mentre era indaffarata in cucina, né avrebbe più sentito il suo odore di sapone di Marsiglia che impregnava l'aria e non l'avrebbe più sorpresa ad addormentarsi con un libro di cucina sulle ginocchia. Ricordò di quando da piccolo l'aiutava a stendere il bucato e si nascondeva dietro le lenzuola linde. Giocava ad essere un ninja e lei rideva felice.
Era giovane a quel tempo, la sua mamma.
Jiho pianse. Più di quando aveva mai fatto. Non riusciva a paragonare quel dolore a niente di così straziante.
Gli venne da vomitare e si trascinò nel bagno, dove in seguito chiamò la polizia.
Dietro di lui comparve una figura.
-Jiho, avresti dovuto startene a Busan come ti avevo detto.- disse l'uomo.
Jiho si girò lentamente.
L'ospite indesiderato sospirò con disappunto.
-Bongsoo.- mormorò Jiho.
-Sai ti credevo un po' più sveglio. Hai due organizzazioni criminali alle calcagna, saresti dovuto stare a Busan.-
Il ragazzo scosse la testa.
-Sei tu quelli nei guai!-
-No, no.- rispose Bongsoo schioccando la lingua.
Aveva un ghigno odioso sulla faccia.
-Tu sei stato il mio complice più fedele. Senza di te nulla di tutto ciò si sarebbe realizzato.-
-Io ti ammazzo! Maledetto!- Jiho si avventò su Bongsoo. Ma l'uomo lo fece inciampare sul proprio bastone da passeggio.
Bongsoo schiacciò con la propria scarpa la guancia del ragazzo per tenerlo fermo a terra.
-Ti pesterò così forte da spezzarti la spina dorsale.- dichiarò l'uomo.
Jiho grondava di lacrime rabbiose. Stringeva i denti reprimendo con tutto se stesso il desiderio di ucciderlo con le sue stesse mani.
-Uccidimi pure così la polizia troverà ben due cadaveri.- disse Jiho. Bongsoo lo fulmino con lo sguardo, poi tramortì il ragazzo con un colpo di bastone alla testa. Era tornado nella casa degli Woo per cancellare le prove che avrebbero potuto accusare Chungsin. Ma se la polizia stava già per arrivare aveva pochissimo tempo. Cercò di fare tutto in fretta, eliminando qualsiasi traccia del passaggio della figlia. Poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Sentì l'ascensore arrivare al piano in cui si trovava e l'inconfondibile voce di Taehyung provenire dall'interno.
Bongsoo sgattaiolò verso le scale di servizio e si precipitò fuori dal palazzo come se niente fosse.
Non mancava che raggiungere Chungsin e insieme consegnare il loro biglietto vincente per vivere per sempre felici e contenti.

L'unico posto in cui a Jackson venne in mente di cercare Youn, fu alla villa dove era stato sequestrato il fratellino qualche tempo prima.
Ma l'edificio si rivelò vuoto e abbandonato.
Jackson si morse il labbro. Non sapeva dove altro cercarla.
'Youn dove sei? Ti prego...'
Si sentiva disperato come non mai. Aveva litigato con Taeyoun poco prima e non poteva permettere di perderla senza prima essersi scusato.
Probabilmente era un'idea folle, ma decise di tentare a scriverle un messaggio. Forse si era svegliata nel baule dell'auto e avrebbe potuto aiutarlo a trovarla.
'Youn, sono Jackson. Ti scongiuro dimmi che stai bene. Dimmi come posso arrivare a te.' Scrisse.
La risposta, con sua sorpresa, non tardò ad arrivare.

-Chungsin! Smettila di giocare col telefono di Taeyoun.-
La ragazza ridacchió. Guardò il padre che stava guidando con calma.
-Scusa papino. Ma è più forte di me. Le scrive un ragazzo veramente bello!- esclamò Chungsin.
Il padre la guardò teneramente.
-Ti piace?- chiese dandole una carezza affettuosa.
-Sì papà! Posso averlo?-
-Non puoi avere una persona Chungsin!-
La ragazza non ascoltò il padre e come se niente fosse rispose al messaggio di Jackson.
Gli scrisse dove si sarebbero dovuti incontrare. E probabilmente Jackson pensò si trattasse di un colpo di fortuna.
Bongsoo ricevette una chiamata.
-Leon? Che vuoi? Abbiamo finito con gli affari?- sbottò Bongsoo.
-Sto venendo a prenderti gran figlio di puttana.- rispose una voce rauca dall'altra parte del telefono.
Bongsoo rabbrividì.
-So che hai intenzione di fare. Ma non ti lascerò fare un chilometro di più.- continuò l'uomo misterioso.
-Papá chi è chi è?- chiese Chungsin preoccupata.
Bongsoo la ignorò. Era troppo impegnato a preoccuparsi di Leon.
Che diavolo voleva? Aveva saldato il debito con il suo capo, non era costretto ad avere a che fare con Leon.
-Leon, vai al diavolo. Non sono affari che ti riguardano.-
Si sentì una risata.
-Ti consiglio di fermare l'auto e di liberare la ragazza che hai rapito. Altrimenti ti uccido tra dieci secondi.-
Bongsoo guardò intorno al suo veicolo dagli specchietti. Non vedeva nulla di sospetto, a parte lui la strada era deserta.
Per tutta risposta l'uomo accelerò per precauzione.
Il collegamento telefonico si interruppe. Bongsoo trattenne il fiato mentre contava fino a dieci. Sapeva di non potersi permettere di prendere alla leggera le minacce di Leon. Era fin troppo bravo nel suo lavoro. I dieci secondi erano ormai passati e Bongsoo si asciugò il sudore della fronte con la manica. Come aveva previsto era impossibile fermare un'auto in corsa. Gli venne da sorridere. La dimora del Mae era vicina. Sentiva già la libertà.
Una volta pagato il suo ultimo debito, sarebbe potuto andare via con sua figlia.
-Ricorda, Chungsin. Tutto questo l'ho fatto per te, perché ti voglio b...- ma non fece in tempo a finire la frase che una moto gli sfrecciò davanti tagliando loro la strada. Bongsoo inchiodò con tutta la forza che aveva nel piede e frenò, sterzando di un lato.
L'auto si capovolse su se stessa più volte per poi schiantarsi contro un palo della luce.
Si sentì il rumore assordante di vetri che si frantumavano e lamiere che si accartocciavamo. Poi il debole urlo di Chungsin.
Rimaneva solo un ammasso di lamiere e tre corpi inermi sull'asfalto.

 Rimaneva solo un ammasso di lamiere e tre corpi inermi sull'asfalto

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