Trentadue

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Lui spalanca la sua bocca in un ghigno perfetto e vedo avvicinarsi anche il fidanzato di mia mamma.
Tremo , ma non per la paura, ma perché ho una scarica di adrenalina che mi scuote il corpo.
Misuro i loro sguardi su di me , come un animale davanti ai bracconieri.
Osservo ogni loro movimento, spalle al muro.
E mi rendo conto che io voglio lottare, che non mi sottometterò senza farlo.
Che non mi darò a loro, senza graffiarli, scalciare e urlare. Non sarò una vittima silenziosa, non accetterò  il male che vogliono scaricarmi addosso , sulla mia pelle, infettando la mia anima.
Guardo negli occhi Micheal e poi lo scarto di lato. Prova ad afferrarmi, sento le sue dita che tentano di arpionare il mio polso.
Sento voci, urla,qualcuno mi afferra per i capelli e tira.
Le lacrime mi si condensano negli occhi, ma so che se mi prenderanno , se lascerò che quel semplice dolore fisico mi fermi, ciò che mi aspetterà sarà più terribile. Sento una ciocca strapparsi.
Qualcuno mi afferra, ma sono cieca, ogni mio gesto, ogni mio movimento è dettato dall' istinti. Dal puro istinto di sopravvivenza.
Mi voltano la testa di scatto.
Incrocio degli occhi chiari, respiro con forza, cercando di far entrare più aria nei polmoni possibile.
Le mani mi stringono, mi accarezzano come veleno sulla pelle.
Non so più a chi appartengono, non mi interessa.
Brucia, fa male.
Vedo sorrisi, bocche spalancate un ghigni terrificanti.
E poi qualcuno prova a baciarmi, a poggiare la sua bocca con violenza su di me.
Sento la sua lingua che si insinua nella mia bocca, mentre con una mano mi serra la mascella.
E appena sento la sua umidità nella mia bocca, mordo, forte, con violenza, con cattiveria, paura, vergogna e rabbia.
Lo sento scattare indietro, imprecando e urlando.
Cozzare contro l' altro ragazzo.
Il sapore del suo sangue mi pervade la bocca, la incendia.
Sento un conato risalirmi in gola, ma so che devo scappare, correre.
E così faccio.
Corro verso la cucina, sento dei passi dietro di me.
Qualcuno che urla che mi ammazzera' appena mi prenderà, che mi farà rimpiangere di essere nata.
Vedo una mano afferrare il coltello dal ceppo sulla tavola e poi uno scintillio.
La lama bronzea che riflette la luce della lampada.
E poi buio.

Sento il mio respiro forte, l' accelerare del battito del mio cuore e le urla dietro la porta.
Guardo la porta chiusa che divide me da loro.
Sono nello sgabuzzino.
Intorno a me scope, stracci e prodotti per la pulizia della casa.
L' odore di candeggina si insinua nelle mie narici.
Ma non sono qui per nascondermi, perché so che non funzionerà, che prima o poi entreranno.
Perché le spinte che danno alla porta, la loro rabbia e la loro forza, avranno la meglio sullo strato di legno che mi separa.
Prendo il telefono dalla giacca e appena sento la superficie dura e familiare sui polpastrelli, ringrazio Dio, di non averlo perso nella colluttazione.
Dalla flebile luce vedo che le mie mani tremano mentre digitano il messaggio all' unica persona che so mi può aiutare. All' unica persona che non mi giudicherà e mi proteggerà.
Invio e tremando lo rimetto in tasca.
Sto sudando, le botte si fanno più insistenti.
Sento che chiamano mia madre.
Vogliono la chiave. E so che lei gliela darà. Ci vorrà un po' perché non credo sappia dove sia , dato che lei non ha mai fatto le pulizie in questa casa, ma so che prima o poi si ricorderà che tutte le copie delle chiavi sono nel cassetto nell' ingresso .
Perciò guardo la piccola finestrella che illumina la stanza.
Prendo un secchio, lo rigiro e ci salgo sopra.
Apro la finestra e spero di passarci.
Butto la parte superiore del corpo fuori.
Sento l' erba del giardino sotto le dita.
È fresca, la rugiada mi bagna le mani.
Provo a far uscire i fianchi, ma sono incastrata.
Il panico mi attanaglia.
Sento il metallo segarmi la vita, le loro voci e il mio cuore batte impazzito.
- Ti prego, ti prego.-, invoco, spero.
Sento il sapore salata delle lacrime sulle labbra.
Ne lecco una.
Alzo gli occhi al cielo, sempre uguale, sempre lì, perfetto, immutabile.
Riderebbe di me, che mi trovo a un passo dalla libertà, metà del mio corpo fuori all' aria e metà ancora dentro, perché ho sperato di potermi salvare , di farcela,senza pensare .
Poggio una mano sui fianchi e spingo, mi do' una spinta con Le gambe.
Sento la lamiera e il vetro tagliarmi e stringo forte le labbra, celando il mio grido muto.
Sento qualcosa di caldo colarmi sulle gambe e delle fitte sui fianchi, ma sembro impazzita.
- Ti prego, ti prego, non voglio... non voglio che mi prendano. Ti prego..-
Piango, in silenzio e mi dimeno.
Mi mordo il labbro per trattenere le grida, mentre la pelle si lacera.
Alzo la testa e poi spingo più forte .
Guardo la luna e uso tutto la mia forza per uscire.
Quando l' aria tocca le mie gambe nude, mi esce un singhiozzo sordo.
Mi alzo velocemente in piedi.
Mi scappa un lamento di dolore, che freno subito.
Devo fare piano. In silenzio.
Mi trascino sul prato.
Non ho una scarpa.
È rimasta nello sgabuzzino.
Mi volto verso la finestrella aperta.
E poi sento del trambusto in casa.
La porta si apre.
Qualcuno sta uscendo.
Ha pensato alla finestra.
Il panico mi assale e comincio a correre.
È ancora lontano e non mi ha visto.
Arrivo al cancello ed esco.
Corro per la strada.
Mi fa male la milza.
Continuò a correre.
Il cemento mi graffia il piede nudo.
Corro.
Il fianco brucia e pulsa.
Corro.
Poi la luce di una macchina mi illumina.
Aumento il passo.
Si avvicina.
- No,no..-, ormai le mie parole non sono altro che ansiti senza respiro.
Sento il mio battito nelle orecchie.
E poi qualcuno che mi prende per il braccio.
Mi giro di scatto.
E urlo.
- Emilia, sono io. Va tutto bene. Ci sono io.-
Ci metto un secondo per capire che la persona che ho di fronte è il mio salvatore. Non il mio carnefice.
- Andiamo tesoro.-
Appena prova a sfiorarmi, mi scosto istintivamente.
Mi sento subito una stupida.
Non devo avere paura di lui.
- Andiamo in macchina. Non è sicuro stare qui sulla strada.-
Lo seguo.
Will.
Il mio salvatore.
La persona che ho chiamato ed è subito venuta per me.
Ad aiutarmi.
Mi apre lo sportello e mi rannicchio sul sedile.
Entra in macchina.
Accende il riscaldamento, probabilmente perché sto tremando come una foglia.
Anche se entrambi sappiamo che non è per il freddo.
- Ti porto a casa mia. I miei dormono, perciò non dovrai dare spiegazioni o altro.-
Guardo la sua mano sul cambio.
Seconda, terza.
Non chiede.
Mi aiuta e basta.
- Andrà tutto bene, te lo giuro Emilia.-
E solo in quel momento lo guardo.
Incontro i suoi occhi castani e sinceri.
E scoppio a piangere.
Come una cretina, come una ragazzina.
E non riesco a fermarmi, all' inizio c è solo dolore, poi umiliazione, poi rabbia. Mia madre, il male che mi hanno fatto. Ciò a cui sono scappata.
La paura.
Poi sollievo.
Will è qui. Sono uscita, sono salva.
Lui si ferma, si toglie la cintura di sicurezza e mi guarda.
Non mi tocca.
So che vorrebbe abbracciarmi, farmi sentire che c ' è, che è qui per me, ma io lo so già, non mi servono contatti fisici.
Non ne ho bisogno, non ora.
E lui lo sa, per questo si limita a guardarmi e accarezzarmi, proteggermi con lo sguardo.
E io piango, finché non ho più lacrime, finché la gola mi fa male per i troppi singhiozzi.
Eppure stavolta è diversa dalle altre volte, in cui ho pianto da sola.
Stavolta so che  davanti a lui posso essere fragile e sbagliata.
Ed è un sollievo.
E alzo la testa e lo guardo.
E vedo solo affetto.
E tutto ciò che accade dopo è come avvolto dalla nebbia.
Sento l' adrenalina scemare e il mio corpo si rilassa lentamente.
Entriamo in casa, mi fa salire delle scale.
Mi porta in bagno.
Mi dà un asciugano bagnato.
Mi fa sedere sul water e e si inginocchia.
Mi chiede il permesso con gli occhi e mi comincia ad asciugare il sangue sul polpaccio, sul piede.
E solo in quel momento vedo che sono piena di sangue.
Ovunque.
Gambe, piedi, braccia.
E so che anche il fianco sta sanguinando e non posso farmi medicare da lui ovunque.
E in quel momento, mentre quelli occhi castani mi guardano, io vedo due occhi scuri al loro posto.
E dentro di me vorrei aver chiamato lui.
Mark.
Ma non l' ho fatto.
E so di aver fatto la scelta giusta.
- Posso farmi una doccia.-
Lui annuisce e si alza.
Mi dà un accappatoio e posa garze e disinfettante sul lavandino.
Poi esce.
Mi spoglio e vedo che il mio corpo è coperto di lividi, graffi , escoriazioni e sangue .
Mi butto nella doccia.
E appena tocco l' acqua, sobbalzo. Fa male.
Mi fa male tutto.
Il sangue sulle cosce, sui fianchi. Il livido sotto i capelli.
Minuti dopo esco dal bagno.
Mi sono medicata alla meglio .
Will è fuori della porta.
- Vuoi andare dalla polizia?-
Scuoto la testa.
Lui fa un sospiro.
Vorrebbe che io parlassi, che denunciassi quelle persone.
- So che dovrei, ma ora non ce la faccio.-
- Non puoi lasciare quella persona impunità.-
E nei suoi occhi vedo la verità.
Vedo che ciò che dice è giusto.
Che il motivo per cui non voglio farlo è per non mettere in mezzo mia mamma, per non farla soffrire, ma è stupido.
- Non smetterà. Tanto più se è in casa tua. -
Ed è vero.
- Emilia, io ti voglio aiutare, permettimelo.-
Allunga una mano.
E io so che dovrei prendergliela, che dovrei fidarmi e seguire ciò che dice.
Ma non ce la faccio.
Il telefono squilla.
E io sposto gli occhi dai suoi, perché non ce la faccio a sostenere lo sguardo.
Due messaggi.
Afferro il telefono.
E li apro.
Il primo è di mia mamma.
" Non so dove tu sia, ma non provare a parlare, hai capito Emilia? Non dire una cazzo di parola. Questi sono affari nostri, non di estranei.Sono cose di famiglia. Se parli , tutti sapranno chi sei e come sei rovinata."
Sento la nausea e il senso di malessere pervadermi.
Cose di famiglia...
Il fatto che mi violentino, che lei li lasci fare, che mi picchino..
Che una ragazzina, che sua figlia sia sottoposta a questo... per lei è normale.
Apro l' altro messaggio.
Ed è dell' unica altra persona, capace di straziarmi il cuore.
Mark .
Quattro semplici parole.
" Ho bisogno di parlarti"
È di trenta minuti fa.
Proprio mentre io cercavo di scappare.
Mentre io ero terrorizzata.
Il telefono comincia a suonare.
E il viso di Mark appare sullo schermo.
Rimango ferma a fissarlo, senza accettare la chiamata.
Poi smette.
Ma il mio cuore continua a battere.
Come se lui sapesse.
E io tremo, come poco prima.
Lui sa solo farmi del male.
Con altre ragazze, per allontanarmi,farmi soffrire.
Allora prendo il cellulare e lo spengo.
- Non lasciare che nessuno abbia questo effetto su di te.-
Sono sconvolta.
Mia mamma, Mark..
Perché chi più amo mi ferisce ?
Allungo la mano e prendo quella di Will.
- Aiutami a fare la cosa giusta.-

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