1.

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Pensa a te, che tanto non lo fa nessuno.

C'è qualcosa dentro di me, come dei mostri che mi uccidono sempre di più, che mi fanno scoppiare la testa. Mostri che escono durante la notte, quando tutto il buio ti avvolge e il silenzio regna nelle quattro mura in cui ti ritrovi. Ma il problema è che non capisco da dove vengono questi mostri che mi tormentano, non mi manca nulla dalla vita. Ho un famiglia bellissima, un fratello che tutti vorrebbero avere, una bella casa, tanti soldi, tanti amici. Eppure ogni volta che mi fermo a pensare a queste cose, mi rendo conto che mi sembra di appartenere a un qualcosa che non è mio. Come se questa vita non fosse mia, ma ovviamente mi sbaglio.
Sono qui seduta su questa poltrona di pelle color crema scomoda, scomoda perché mi sembra di essere seduta su un'asse di legno. Seduta è un parolone, dato che la posizione in cui mi trovo è davvero strana, con le gambe appoggiate alla tastiera della poltrona mentre la testa penzola fuori da quest'ultima, con i miei capelli lunghi che toccano la moquette color sabbia. Amo stare seduta così, vedere la stanza al contrario. Mi aiuta, mi aiuta a vedere il mondo da un'altra prospettiva, proprio perché il mondo in cui viviamo fa schifo grazie a noi. Osservo bene la stanza per la milionesima volta.
Le pareti bianche, la scrivania color mogano, gli scaffali e la libreria dello stesso colore della scrivania, la poltrone di pelle e la simpaticissima dottoressa Stilinski.
Mi fissa mentre cerca di non imprecare contro di me. Tiene stretto il suo block notes sulle sue gambe lunghe accavallate, mente picchietta costantemente la penna sul bracciolo della poltrona.
È così fastidiosa, per non parlare di quello stupido chignon nero che tiene in testa. Sempre bello e perfetto, lucido e senza un capello fuori posto. Quanto vorrei alzarmi da questa poltrona, avvicinarmi a lei, e spettinarle tutti quei capelli. Odio vedere tutto perfetto, tutto monotono, senza vita.
Mi chiedo se anche nella vita privata è una così perfettina del cazzo, mi spiacerebbe per il suo ragazzo, sempre che ce l'abbia.
<< Lola, il tempo sta quasi per scadere.>> mi avvisa, cercando di non sbuffare.
<< Ok.>> rispondo semplicemente mentre lei si porta le mani alla radice del naso, chiudendo gli occhi. Quanta pazienza che ha.
Sposta la gamba accavallata, portandola per terra e si sporge in avanti fissandomi ancora.
<< Mi piacerebbe che tu iniziassi a parlare con me, che ti aprissi di più.>> mi dice con calma mentre anche io torno a sedermi normalmente.
<< Perché mai dovrei farlo? Io non ho nessun problema esistenziale.>> dico ridendo e alzando le mani in aria.
<< Non sono problematica come tutti i suoi pazienti che l'aspettano in sala d'attesa. Quando lo capirete?!>> chiedo alzandomi in piedi e andando verso la porta.
Afferro la mia borsa di Prada, allungo la mano sulla maniglia e prima di abbassarla la dottoressa Stilinski mi blocca.
<< Tu pensi di non avere dei problemi, ma tuo padre lo pensa.>> questa sua risposta mi fa irrigidire sul posto.
Mi giro sorridendo sfacciatamente incrociando le braccia al petto.
<< Cos'è questa cosa che sta facendo? Uhm? Lo dice solo perché pensa che così le parlerò dei miei problemi? Bhe, si sbaglia di grosso.>> dico nel tono più acido possibile.

<< Mio padre non sa un cazzo!>> aggiungo.
Lei sorride sotto i baffi, per poi segnare qualcosa sul block notes.
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< Cosa c'è da ridere?!>> che maleducata..
<< Semplicemente che hai appena ammesso di avere dei problemi, quando cinque minuti fa, dicevi di non averne.>> cazzo, almeno questa è più intelligente dei mille strizza cervelli che ho avuto in passato. Peccato che non so cosa dire, mi ha spiazzata.
<< Ti dico solo che tuo padre ti ha mandata qui perché ti sente gridare nel sonno quasi tutte le notti, Lola.>> dice alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi piano a me.
Perché non me ne ha parlato? Perché non ne ha parlato prima con me?! Ora mi sto davvero incazzando.
<< Non sono problemi suoi.>> dico girandomi di spalle e aprendo la porta. Esco e la sbatto forte, attirando l'attenzione di tutte le persone in sala d'attesa.
<< Bhe signori e signore, è tutta vostra la dottoressa Stilinski ora!>> grido andandomene.
Loro mi guardano non capendo, facendomi alzare gli occhi al cielo. Idioti.
Vado verso le scale di emergenza e inizio a scenderle velocemente, non voglio far aspettare l'autista..anzi mi da proprio fastidio averlo e non poter essere come tutte le ragazze della mia età con una cazzo di macchina.
Ma anche volendo è impossibile averla, il mio caro padre non vuole che io guidi. Se solo sapesse che amo le macchine, i motori, le ruote..ma ovviamente non ha tempo per queste cose.
Spingo la porta di emergenza e finalmente mi ritrovo in strada. In lontananza noto Carlos, l'autista, che mi aspetta appoggiato alla limousine
<< Carlos, andiamo.>> dico aprendo la portiera.
<< Signorina Moore, cosa ci fa qui? Non è presto?>> mi domanda mentre osserva il suo orologio al polso.
<< Carlos, lo sai che odio venire qui. Ora per favore andiamo.>> dico semplicemente, sedendomi.
Carlos chiude la portiera e corre verso il posto di guida. Sale e chiude la portiera, mettendo subito in moto.
<< Ah Carlos..>> lo richiamo.
<< Si signorina Moore?>> mi domanda gentilmente.
<< Chiamami Lola per favore, ti scongiuro.>> lo supplico mentre mi guarda dallo specchietto retrovisore.
<< Va bene signorina.. Lola.>> dice sorridendomi.

BAD LIES #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora