18.

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Posso essere la droga del sabato sera, oppure il del lunedì pomeriggio.


Scendo in tutta fretta dalla macchina, correndo verso l'entrata della casa per scappare da quel abitacolo di macchina che stava iniziando a farmi sudare freddo e a farmi mancare il respiro mentre le lacrime minacciavano i miei occhi per uscire, ma ogni volta alzavo gli occhi verso il tettuccio della macchina per ricacciarle indietro. Non avrei mai permesso di farmi vedere debole davanti a lui davanti a quella persona che fin'ora mi ha mentito, che avrebbe usato le mie lacrime per dirmi che sono solo una bambina.

Spalanco la porta di casa, ritrovandomi un Kevin posto di fianco alle scale.
<< Lola, possiamo spiegarti..>> la sua voce calma mi arriva alle orecchie, irritandomi solo di più. E la cosa che mi irrita di più è che lui abbia sentito ogni parola uscita dalla mia bocca e da quella di Jonathan.

Faccio un sorriso schifato, superandolo e salendo velocemente le scale, provocando una serie di tonfi profondi a ogni mio passo pesante.
Spalanco la porta della mia camera, chiudendola con un calcio violento. Il quadro posto sulla parete della porta cade per terra, facendo disperdere una serie di frammenti di vetro sul pavimento.

<< Fanculo..>> impreco, cercando di raggiunge il letto che fatico a trovare nella stanza buia, illuminata solo dalla luce della luna che si riflette nella porta finestra della stanza.
Mi siedo, togliendo le scarpe e iniziando a sentire la mia testa pesante per la magnifica serata passata a scoprire la verità di una grande bugia. O almeno, una piccola parte di una misera verità.
Perché lo so, perché lo sento.

C'è molto altro dietro tutta questa storia, ci sono molte cose che non so, cose che forse non sono pronta a scoprire, ma cose che non posso non sapere.
Sbuffo sonoramente, lanciando il mio stivale contro il muro. Mi porto le mani tra i capelli in un movimento disperato, per poi appoggiare i miei gomiti sulla mie gambe.

Piano piano inizio a sentire il buio sulla mia pelle, come se mi stesse assorbendo a sé, come se volesse farmi diventare un tutt'uno con lui.

Prendo la mia testa fra le mani, guardando il vuoto davanti a me e sentandomi parte di esso; e inizia a piangere.
Tanto ora potevo piangere, sono da sola. Mi posso mostrare debole per un attimo e immergendomi nella mia tristezza.
Quella tristezza che a volte prende il sopravvento senza che neanche ce ne accorgiamo. Il nostro sguardo cambia e sembra che il mondo ci stia crollando addosso.

L'anima piange e noi sofferenti rimaniamo in silenzio aspettando che le lacrime scendano, aspettando che i nostri occhi diventino rossi e gonfi.
Magari mettiamo pure la musica lenta giusto perché così aumenta la tristezza e per farcela passare più in fretta. Perché alla fine ci sono sempre giorni che succede tutto ciò e molte volte non sappiamo nemmeno come.

<< Non sbattere più la portiera della macchina in quel modo.>> la voce fredda di Jonathan mi causa un fitta alle tempie, facendomi digrignare i denti.

<< Non me ne frega un cazzo della tua macchina. E ora fuori fai coglioni.>> rimatto il più fredda possibile.

<< Come hai detto scusa?!>> mi domanda irritato.

<< Hai capito benissimo!>> grido alzandomi in piedi di getto dal letto e girandomi verso di lui.
Chiude gli occhi, cercando di moderare il suo respiro mentre si snoda la cravatta, lasciandola pendere lungo il suo collo.

Si gira verso la porta, dandomi le spalle. Per la prima volta mi ascolta, incamminandosi verso quest'ultima.
Ma mi rimangio ogni parola nel momento esatto in cui la sua mano possente entra in contatto con la porta, chiudendola con un grande tonfo che avranno sentito pure in Cina.
Mi irrigidisco, puntando i piedi per terra e cercando di trovare la forza per affrontarlo.

BAD LIES #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora